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' È Ò - A b) + È a * Ù il î Ù » " ®: Tei . Ù n Î, } È, n Di , ì < z Tre È x , Lg P } è "® i Ù ' 4 . Si ko a i “i - ue BOLLUENMPINO DELLA SEeGIETA DI NATORALISTI OTIS at LIA TAV AG A BOLLETTINO DELLA ETA DI NATURALST EINIONI A POLE —_—_e=—_ SERIE I.— VOLUME XVIII. ANINO P_». Posteriormente, Clos 1) di questo genere dà maggiori rag- guagli e vi assegna soltanto due specie, ambedue africane. Bentham ed Hooker ?) ascrivono parimente al Doryalis 2 specie dell’ Africa australe. Baillon ®) vi riferisce 7 specie, delle quali 6 africane. Warburg, il monografo delle Flacurziacee dell’ Engler e Prantl 4), ha unito al Doryals i generi Abderia Hochst. e Roumea A. Rich. determinando una vera confusione. Così formato, il genere avrebbe i seguenti caratteri: ‘< Fiori dioici. Masch.: 4-5-7 sepali.—Petali 0. Stami numerosi « (10-20) disposti su di un talamo piatto, alternanti (?) con grosse « glandule pelose (?). Rudimento di pistillo 0. — Fem. Sepali «< 5-9. Petali 0. Ovario libero, circondato da un disco ciatiforme alquanto lobato, a logge da 2 ad 8, incomplete.—- Placente con « 1-6 ovuli. — Stimmi 2-3. — Frutto bacca. « Frutici o piccoli alberi, con o senza spine ascellari ». Vi assegna 11 specie, così distribuite : 4 dell’Africa del Sud; 2 dell’Abissinia; 2 dell’Africa occidentale e 1 del Ceylan. A questo punto giova far notare, che l’autore ha soltanto enumerate 9 specie e non ci dice la patria delle altre due. Egli propone la seguente classifica : 1) Cros.—Rev. des genres et espèces appart. à la famille des Flacourtiantes. NXmmn..Sc. Nat. Ser. 4. vol. 8, p. 238. 2) BenrHAM et Hooxer — Genera Plant. vol. 1, pars. 1.8 pag. 128. 3) Barron. — Hist. des plantes, vol. 4, pag. 304. 4) WarBure in EnaLeR-PrantL— Naturl. Pflanzenfam. III, Teil 6.2 pag. 44. ® SI OS 2 © (3) x L n EUDORYALIS 3 . . € | Doryalis rotundifolia Thunb. (Harwey) Frutto gla- | 5 del Capo. bro. Semi poco pelosi. | deWi La Calice a Dee] 2 AUXODORYALIS >) D . 8 | Doryalis rhamnoides Harw. del Capo. 2 ; . . D_c ad: n sa PLYMICEOL ‘hst. d ? ci 2-3 placente Doryalis verrucosa Hochst. dell’ Abis 2-5 stimmi sinla. $ HI. T'RICHODORYALIS g E ni hi IU DS Fr, Pi Y A D) sro peloso. . | Dor. Zeyheri Sond. del Capo. S PIE Dor. tristis Sond. del Capo. Hi Dor. longispina Harw.—Natal. = > | Dor. macrocalyx (Oliv.) Warb. Angola (©) \ Dor. mollis (Oliv.) Warb.— Angola. / $ IV. EUABERIA 4-8 placente AN ioni i SPIMATRI Dor. abyssinica (A. Rich.) Warb. del- l’ Abissinia. Dor. hebecarpa (Gard.) Warb. di Ceylan: Dor. caffra Hook. fil. et Harw.—Natal. A chiarimento di quanto vado a dire, è necessario premet- tere che anche nel Giardino botanico di Palermo sì coltiva una pianta iliciforme e con il falso nome di Olmedzella Cesatiana. Di questa pianta (la quale, a differenza di quella coltivata in Na- poli, è pistillifera) vennero spediti alcuni rametti fioriferi al Prof. Delpino. Ebbi così agio (grazie alla cortesia del Prof. Delpino , il quale gentilmente mi fornì di materiale) di stabilire una serie di studii comparativi morfologici ed istologici sulle due piante e venire alla conclusione che, tanto quella coltivata nell’ Orto bo- tanico di Napoli, quanto quella esistente nell’ Orto palermitano, SRO I appartengono non solo alla stessa famiglia, ma ancora allo stesso genere ed alla stessa specie. Anche il talamo dei fiori pistilliferi dell’ Olmediella è occu- pato da 2 (raramente 1-3) cicli di nettarii, colorati in giallo- aranciato. Fra questi nettarii si notano alcuni staminodii, ad an- tere più o meno rudimentali. L'ovario è composto da 6-8 foglie carpidiali, formanti dei sepimenti incompleti. Ora se io fossi del medesimo parere del Warburg , dovrei senz’ altro riferire la Olmediella al genere Doryalis, perchè, come si è visto, il Warburg vi riferisce i generi Roumea (A. Rich.) ed Aberia (Hochst), e ne allarga i confini. Ma nel Doryalis sì hanno fiori pistilliferi forniti di un disco annulare carnoso, lobato, e que- sto non si riscontra nella nostra pianta. Aftine al Doryalis è il genere Aberza, del quale, è detto, che 1 fiori staminiferi hanno il talamo cosparso di emergenze netta- rifere inframmezzate agli stami !), e che quello dei fiori pistilli- feri presenta ora un disco lobato, ed ora 8-12 glandule nettari- fere ?). Ma la Olmediella Cesatiana non può essere riferita a que- sto genere per non pochi caratteri, e sovratutto per la speciale costituzione dei suoi fiori staminiferi, i quali risultano formati dalla fusione di più fiori, e questo è dimostrato dalla forma del ricettacolo, dal numero dei lobi calicini e dagli stami, i quali non maturano né contemporaneamente , nè con ordine basipeto o centripeto, ma a gruppi distinti. Questi caratteri così salienti, ì quali invano si cercherebbero in altre flacurziacee, autorizzano a fondare un novello genere. Le leggi, che regolano la moderna nomenclatura botanica, vietano di denominare altrimenti una pianta, già nota. sotto al- tro nome ed ascritta a famiglia non propria; ma non lo vietano quando il nome della pianta ricorda un errore. Nel caso nostro, il genere Olmediella fu stabilito in seguito ad una creduta somiglianza tra i suoi fiori staminiferi e quelli del genere Pseudolmedia, la qual cosa è del tutto insussistente. Continuare a chiamare la pianta Olmediella, significa continuare l’errore, e la sostituzione di un tal nome con altro è necessaria per non generare dubbii. La pianta, della quale mi occupo, ha una storia, che si con- fonde con quella del nostro Orto. Vi è stata introdotta poco dopo 1) BeNTH. et Hoox. lc. p. 128. 2) Cros l. c. p. 295. CF | la sua fondazione ed ha visto succedersi l’un dopo l’altro tutti i botanici, i quali vi hanno appartenuti. Tra questi botanici, il Prof. Licopoli ha maggiormente lavo- +. rato per l’incremento della scienza, e tanta parte della sua atti vità ha speso a prò dell’orto stesso. Bios dl Propongo chiamare Licopolia sincephala la pretesa Olmediella Cesatiana, a fine di ricordare chi troppo prestamente ed ingiu- stamente è stato dimenticato. Assegno alla pianta in discorso i seguenti caratteri : Arbusto sempreverde, non spinoso. Foglie alterne, ellittiche, a margini dentato-spinosi, quelle dei rami inferiori; ovali, a mar- gini interi, quelle dei rami superiori; brevemente picciuolate, con picciuolo un po’ scanalato; reticolinervie, a nervature anastomiz- DO a zate; con apice più o meno acuto; e terminate da 2 nettarii, sotto forma di piccole foveole. Stipule minute, caduche. Fiori dioici. Fiori maschili raggruppati in infiorescenze racemiformi ascel- lari, portanti 8-9 fiori pedicellati ed articolati ad una altezza variabile (fig. 1.). Brattee ovali-ellittiche, acuminate, con 2 denti più o meno profondi; accompagnanti ciascun fiore ed inserite in quei inferiori alla loro base, verso l'articolazione, a misura che vanno portandosi all’ alto dell’ infiorescenza, e nei 2 laterali al fiore mediano la brattea è inserita a livello dell’ articolazione. Fiore mediano più grande degli altri e primo ad aprirsi. Ca- lice con 14-15 (raramente più) sepali gamofilli alla base, ovali (fig. 2), apicolati, glabri esternamen- te, rivestiti di peluzzi internamente, a prefiorazione imbricata. Corolla 0. Stami numerosi per ciascun fiore (circa 60); filamenti brevi, glabri, libe- ri; antere ovoidali, biloculari, a dei- scenza longitudinale. Talamo con nu- Fig. 4. merose emergenze nettarifere (fig. 3) inframmezzate agli stami, quasi coniche rilevate (fig. 4) ed obbli- quamente tagliate, secernenti nella loro parte superiore, di colore giallo-aranciato. Un tal colore lo vanno assumendo poco per volta: dapprima verdicce, diventano gialle e quindi giallo-aranciate , a misura che maturano gli stami, la qual cosa avviene per gruppi distinti e non contemporaneamente o con ordine basipeto o cen- tripeto. Gineceo nullo. Fiori pistilliferi raggruppati in piccole infiorescenze racemi- formi (fig. 5), le quali per solito portano 4-6 fiori avvicinati fra Si) di loro e ciascuno accompagnato da una brattea ovale-allungata, glabra nella pagina inferiore, sparsa di peluzzi in quella supe- riore e con 1-2 denti ai margini. Fiori di varia grandezza: maggiore quello mediano termi- nale, minori quei laterali ed inferiori, aprentisi dall’ alto verso Fig. D. il basso dell’infiorescenza, in modo che il terminale è sempre il primo ad aprirsi, l’inferiore l’ultimo. Pedicello fiorale lungo circa 1 centimetro, glabro, articolato. Sepali in numero di 7 0 9, ovali, apicolati (fig. 6), formanti un calice gamofillo alla base, glabri esternamente, rivestiti di peli pluricellulari lunghetti e diafani internamente, Corolla 0. PENTTOTO Talamo con emergenze nettarifere colorate in giallo-aranciato inconstanti nella forma e nella grandezza, disposte (fig. 7) in 2 (raram. 1-83) serie, e secernenti alla loro sommità. Fra tali emergenze sono interposti degli staminodii, dei quali alcuni hanno l’antera molto rudimentale, altri meno, quantun- que imperfetta ed indeiscente. Pistillo pluricarpellare con ova- rio supero (fig. 7 e 8); stilo bre- vissimo e con 6-8 stimmi canalico- lati, per accartocciamento dei mar- gini, espansi e papillosi all’ estre- mo. Ovario con 6-5 foglie carpidia- li, formanti dei sepimenti incom- E pleti, inflessi fin presso all’ asse, Fig. 6. o Sea senza però fondersi in colonna as- sile, e quindi ripiegati nella cavità da essi prodotta. Ovoli marginali. Frutto sferico, non accompagnato dal calice. Patria ignota. Negli Orti botanici di Napoli e di Catania vien coltivato l’individuo staminifero; in quello di Palermo V'in- dividuo pistillifero. Su di alcune Flacurziacee nettarifere. — Nota del socio (+. RiIPPA. (Tornata del 13 dicembre 1903). JE Le Flacurziacee, sotto il punto di vista sistematico , sono tuttora poco note; e ciò non perchè fossero numerose o di parti lontane della terra, ma perchè presentano tali caratteri di atfi- nità, da potersi facilmente confondere con piante di altre fami- glie. A conferma di quanto ho detto, sta il fatto che E. Meyer stette lungamente in forse nel collocare il suo genere Doryalis se nelle Ramnacee o nelle Euforbiacee, benchè fosse più propenso a riferirlo a queste ultime. Fu soltanto in seguito, che il Doryalis venne riconosciuto quale flacurziacea , cosi come lo furono an- cora parecchi altri generi, dapprima ascritti ad altre famiglie. Per contrario, non manca qualche euforbiacea, che potrebbe dirsi anello di congiunzione con le flacurziacee. Qualcuna fr: le numerose specie di Gelornz1m ne offre esempio, ed a me pare potersi sicuramente ritenere che in questo genere sieno state er- Ca roneamente incluse specie, che nulla hanno da vedere con le eu- forbiacee. Eguale sorte è toccata ad una pianta, che nell’Orto botanico di Napoli si è lungamente coltivata (dapprima sotto il falso nome di Ilex gigantea e poi sotto quello non meno erroneo di Olmedzella Cesatiana). la quale venne nel contempo riferita alle Monimiacee !) ed alle Artocarpee *). Solo dopo accurate ricerche potei dimostrare che la pretesa Artocarpea 0 Monimiacea non era se non una Flacurziacea tut- tora malamente descritta, e da riferirsi ad un novello genere. Conviene aggiungere che le Flacurziacee, come sono poco note dal lato sistematico, lo sono ancora meno da quello biolo- gico; e ciò trova la sua ragione nel fatto, che sono abbastanza raramente coltivate negli orti botanici. 1) Pasquare G. A.— Notizie botaniche relative alle province meridionali di Italia, pag. 9. 2) Barron H.— Sur deux Artocapdes anormales et mèconnues-Bull. Soc. Linn. Paris, 1880, N.° 32, pag. 252-583. e tia ea Fra i diversi adattamenti biologici offerti da queste piante, si rileva che in esse la funzione mirmecofila raggiunge un rag- guardevole sviluppo, ma la mancanza di materiale non permette di dimostrarlo. Invero, dopo quanto il Prof. Delpino ha scritto sul proposito !), poco o niente resta a dire. Egli cita come net- tarifere 16 specie, su 160 che la famiglia comprende, e ne trae come conseguenza che la proporzione delle specie nettarifere è del 10 °/, e non a torto aggiunge che « verisimilmente questa cifra è molto al di sotto del reale ». In seguito a questa osservazione, avendo avuto occasione per alcuni miei studii di riscontrare le Flacurziacee dell’Erbario Webb, volli esaminare se fra esse si trovasse qualche specie non ancora indicata come mirmecofila. Infatti ho avuto opportunità di osservarne due, le quali non figurano tra quelle citate nell’opera predetta, ed 10, a titolo di aggiunta, le descrivo nella presente nota. Le specie osservate sono da riferirsi ai generi Monospora ed Osmelia, ma amendue in detto erbario non sono determinate. Per il genere Monospora si noti che nella maggior parte delle opere fitografiche è ritenuto come sinonimo di 7ymeria >), e comprende specie spontanee per l’ America australe. La specie, da me os- servata, non può identificarsi con le due conosciute. Le sue fo- glie alterne e penninervie sono oblunghe ed alquanto acuminate. Alla sommità del picciuolo (fig. 17) sono evidentissime due emer- genze, talora poco rilevate e di modeste dimensioni, tal altra di discreta grandezza ed abbastanza rilevate. "Tali emergenze , di forma circolare e con apice tronco, non esito a dichiarare net- tarii estranuziali, e questo non solo per la loro forma, ma ancora per la posizione, analoga a quella dei nettarii di altre Flacurziacee. Come ho detto, ho trovato nettarifera anche una specie in- determinata di Osmelia. In questa pianta i nettarii estranuziali a- vevano una duplice sede: l'una sul picciuolo, poco più giù della base del lembo; l’altra nella pagina inferiore di questo. I nettarii picciuolari da me osservati erano circolari, sollevati dal pieciuolo ed infossati nel mezzo. Probabilmente per ogni foglia il numero di tali nettarii è variabile, verisimilmente superiore a due. I net- tarii, insiti nella pagina inferiore della lamina, presentavano an- ch’essi una forma circolare; erano quasi allo stesso livello dell’e- pidermide ed irregolarmente sparsi. 1) DeLpimo F. — Funzione mirmecofila nel Regno vegetale , riprodotta nel Bullettino dell'Orto botanico di Napoli, pag. 1. 2) BrnrHAM et Hooker — Genera plantarum, vol. 1. pag. 129.— BAILLON, Hist. des plantes, vol. IV, pag. 304. E Risulta quindi che la potenza della funzione mirmecofila in questa specie indeterminata di Osmelza ha raggiunto un notevole sviluppo, e lo stanno a dimostrare non solo i molteplici nettarii picciuolari, ma ancora quelli che si scorgono nella faccia infe- riore della lamina. Dalle opere fitografiche non si rileva se anche le altre Osme- lie siano mirmecofile; in tutti i medi, questo, come il genere prece- dentemente detto, dev'essere annoverato tra le Hacurziacee eser- centi funzione adescativa. Tr Fiesse Nello stesso erbario Webbiano mi è capitato rinvenire esem- plari di Z/acouwrtia Benthamii, raccolti da Hartwig nella Colum- bia nell’anno 1848. Di questa specie si è già occupato il Prof. Delpino 4), il quale, benchè non ne avesse visti esemplari, pure, basandosi sulla descrizione fatta dal Tulasne ?). ne ha indicata la funzione mirmecofila. Ma poichè da detta descrizione non è chiaro se le foglie presentino collofori o nettarii, il Prof. Delpino dice che « occorrono osservazioni sovra esemplari viventi ». Ora tali osservazioni non possono se non confermare quanto l’illustre scienziato avea intraveduto. 1) DeLPINO, Op. cit. 2) Turasne. Plant. nouv. de la Columbia in Ann. Se. Nat. Ser. TIT. tom. VII. SG Ed infatti gli esemplari da me osservati toglievano ogni dubbio, perchè alla base del lembo, ed alcune volte ai margini di questo, in ciascuna foglia si notavano due piccoli nettarii cir- colari ed un po’ depressi nel centro, quasi simili a quelli che ven- gono descritti per la Mlacowrtia prunifolia (Fig. 2 e 3). HI: I NETTARII FIORALI DELLA Lecopolia sincephala. Ho gia detto che col falso nome di Olmediella Cesatiana nel- l'Orto botanico di Napoli sì coltiva l'individuo staminifero di Fig. 2. Fig. 3. una pianta creduta per lungo tempo quale genere anormale di Artocarpea, benchè di questa famiglia non presentasse neanche il più lontano carattere, — 16 — In altra mia pubblicazione ho dimostrato che la pretesa 04- mediella Cesatiana non può riferirsi alle Artocarpee; ma per i suoi caratteri deve ritenersi per una flacurziacea tuttora indeter- minata, la quale, in omaggio al com- pianto Prof. Licopoli, ho proposto de- nominare Licopolia sincephala. Questa pianta, evidentemente dioi- ca, ha i fiori starniniferi raggruppati in piccoli grappoli ascellari, accompagnati ciascuno da una brattea ovale allunga- ta, acuminata, d’ordinario con due denti profondi, o talvolta con uno 0 due net- tarii, ricordanti quelli che si trovano alla base del lembo. Ciascun fiore !) è fatto da un perianzio semplice, rappresen- tato da un un calice gamofillo alla base e con un numero varia- bile di lobi ovali, apicolati, glabri esternamente, rivestiti di pe- luzzi pluricellulari internamente. L'androceo si compone di nu- merosi stami liberi, con antere biloculari, a deiscenza longitudi- nale. Il ricettacolo presenta, inframmezzate agli stami, numerose emergenze nettarifere. di colore giallo-aranciato, quasi coniche, rilevate ed obbliquamente tagliate , secernenti nella loro parte superiore (fig. 4). !) Son d’avviso che la Zicopolia sincephala presenti un caso evidentissimo di psendoanzia; ma di questo ho già detto altrove. (Vedi Bullet. Orto botanico di Napoli, pag. 278). Pf gie dn La presenza di nettarii è comune nei fiori di parecchie fla- curziacee ; non pertanto la loro disposizione ne è differente nei diversi generi. Nella /desta polycarpa tali nettarii sono situati non Fig. 6. tra l’androceo ed il calice, come si scorge da una figura inserita nella monografia delle flacurziacee di Engler-Prantl !), ma fra la prima serie di stami e quelli susseguenti (fig. 5). 1) EnaLER-PrantL. — Natur. Pflanzenf. ILL, Teill. 6, to ALII I nettarii infrastaminali della Licopolza sincephala adempiono, almeno nei fiori staminiferi, ad una duplice funzione : a quella vessillare ed a quella adescativa, propria di tutti gli organi mel- liferi. Difatti, mancando il fiore di corolla, ed essendo il calice colorato in verde, l’attenzione dei pronubi non potrebbe altri- menti essere attirata, se non dal colore vivo degli organi mel- liferi, colore che vanno assumendo poco per volta, essendo dap- prima colorati egualmente al calice. E poichè nei fiori gli stami non maturano contemporanea- mente, ma in gruppi béne distinti, non è difficile rimvenire in uno stesso fiore nettarii variamente colorati. Osservati al microscopio“fig. 6) si mostrano costituiti da uno strato esterno fatto da una fila di cellule, a parete esterna leg- germente ispessita e contenenti piccoli granuli quasi incolori. Tale strato è di tratto in tratto interrotto dalla presenza di soluzioni di continuo, destinate a dar luogo alla fuoriuscita del nettare. Questa fila di cellule limita il tessuto interno proprio del nettario, il quale tessuto è fatto da cellule di forma e grandezza variabile, con pareti sottili, contenenti numerosissimi granuli di un bel colorito giallo-aranciato. Le cellule interne, a contenuto granuloso, formano uno strato di 14-16 file, ed un ‘po’ più basso di queste file si osserva un tessuto all'apparenza nettarifero, ma a granulazioni poco colorate. Questo tessuto confina col paren- chima del ricettacolo, sul quale stanno inserite le glandole mel- lifere. I fiori pistilliferi della Licopolia sincephala, i quali ho potuto avere dall’Orto botanico di Palermo, sono anch'essi forniti di net- tari, disposti in diverse serie; ma di essi non mi sono potuto occupare, stante la scarsezza del materiale avuto e lo stato di poco perfetta conservazione in cui mi giunse. Tombe preistoriche di Colle Sannita (Banevento).* — Nota del socio A. pe BLaAsIo. (Tornata del 13 decembre 1908). Nel febbraio del 1896, in quel di Colle Sannita e propria- mente sul Zoppo S. Filippo +), che è sito a sud-ovest dell'abitato tra le vie rotabili Provinciale-Bebiana è Comunale per Reino e la Montagna, ad un tale, che scavava sull’incolto terreno dei profondi solchi per piantarvi una vigna, venne dato scoprire una tomba primitiva. Era questa situata quasi sul declivio meridionale della col- lina, in prossimità della vetta. N Fig. 1.8 — Schema del Toppo S. Filippo; A. Cappella di S. Maria del Carmine, B. Toppo S. Filippo, C. Tomba a tre scheletri scoperta nel febbruio 1896, D Tomba scoperta dall’ ingegnere Meomar- tini, E. Montagna di Colle. Il lato lungo del sepolcro era normale al declivio e vede- vasi scavato a cassa, a pareti verticali nella originaria roccia are- naria-silicea, che costituisce il monticello in parola. * Le notizie risguardanti tale trovamento le debbo alla cortesia dell’ in- gegnere Almerico Meomartini di Benevento, il quale mi fornì pure lo schema del luogo di rinvenimento di dette tombe e le fotografie della suppellettile funebre. Il colto amico s’abbia da me i più sentiti ringraziamenti. 1) Il Toppo S. Filippo dista dall'abitato mezzo chilometro circa ed è così chiamato, perchè sul culmine di esso, un tempo, vedevasi una chiesetta dedi- cata al Santo di cui tuttora porta il nome. Data) Ca Il terreno vegetale non superava lo spessore di dieci centi- metri. Vuolsi che detta collinetta sia stata un tempo tutta rive- stita di olmi, dei quali se ne notano ancora dei superstiti sul versante settentrionale. Nessun rivestimento di muratura o di pietrame esisteva nel cennato ipogeo. Scheletri e suppellettile funebre erano stati ricoperti dal solo materiale ivi scavato. Il contadino assicurò che la fossa era profonda non meno di metro 1,50 e conteneva tre scheletri giacenti in posizione su- pina e disposti l’uno accanto all’altro (fig. 2.9). I due laterali ave- vano il teschio rivolto nello stesso senso. Il terzo invece, che vedevasi intercalato fra gli altri due, guardava in senso opposto. I detti resti umani, meno pochi, che si conservano tuttora dal Meomartini e che consistono in un avanzo di scatola ence- falica ed in certe reliquie di ossa lunghe, furono vandalicamente dispersi da’ curiosi, che, alla notizia della scoperta, si erano a frotte recati sopra luogo. Dalla positura del corredo funebre si deduce che all’ epoca dell’inumazione fu, dietro il capo di ciascun defunto, posto un vaso di creta ed a portata di mano dei due cadaveri laterali un’ arma di pietra lavorata. Il Meomartini, che è anche un valente cultore di archeolo- gia, accorato che di tanto rinvenimento non fosse stato preso esatto rilievo, nel settembre dell’anno dopo, trovandosi in Colle Sannita per affari professionali, fece eseguire sul culmine del Zoppo S. Filippo altri scavi. Infatti nel giorno predetto, presso i ruderi dell’ex santuario, fatto togliere i pochi centimetri di terreno vegetale, sì scoprirono le linee precise di un fosso da inumazione di forma rettangolare disposto col lato lungo parallelo al pendio del colle. Alla profondità di circa 60 centimetri si rinvenne, dopo aver tolta l’arenaria, uno scheletro privo del teschio (fig. 3). Questa mutilazione il chiaro ricercatore l’addebitò alle acque, poichè nel lato settentrionale, dove, all’ epoca dell’ inumazione, fu posta a poggiare la testa del defunto, vi doveva essere, come attualmente v'è, un declivio, che si prolunga fino al torrente « Z Torti ». Gli scoscendimenti della collina fecero sì che, un po’ per volta trasportato il materiale di coprimento, venisse posto allo scoperto anche il cranio, che, a sua volta, andò perduto. — 21 La suppellettile funebre di questa seconda tomba consisteva in alcuniso1 ti di pàtera ed in un cerchietto di bronzo. Premesso ciò, passiamo a considerare partitamente il conte- nuto di ciascuna tomba. PRIMA TOMBA I manufatti trovati nella prima tomba, come abbiam già detto, consistevano in tre vasi di creta ed in un pugnale di selce piromaca, essendo l’altro andato disperso o più probabilmente ru- bato e gelosamente custodito da qualche contadino , poichè nel beneventano la superstizione detta, che chi porta addosso le saette (così vengono chiamate le armi di pietra conformate a frecce) non cadrà mai vittima del fulmine. Tutto questo materiale fu dal Dr. Paolucci, che VP ebbe dal contadino , donato al Meomartini , il quale mi fornì le seguenti misure. Î VASETTO | VASETTO VASETTO | Nadia elooNi 2 N. 3 Diametro dell’ apertura. . . . . 60 mm. 155 mm. 53 mm. » delEcolle ge et. 60. » 19» o) » della pancia . . . ... 3 SA ZIONI 10506 » della fibase se ee 40» O È 56. » Nltezzatidel“collo sii. ot 0 nai 49M 6205 | SCE Arce e e ta 10 | je | { Questi vasi sono di pasta grossolana, nerastra , malamente cotti e fatti senza l’aiuto del tornio. La forma di essi si può paragonare a due coni tronchi uniti hS: la base, col ventre più o meno arrotondato nei vasetti 2 e 3, e leggermente carenato nell’ altro. L’utensile n.° 2 presenta ad uno dei lati avanzi di un’ansa disposta in senso verticale, mentre degli non dubbi accenni di manico si riscontrano anche sul vasetto n.° 3. Dalle impronte delle dita lasciate sopra uno di detti manu- tatti s' inferisce che l’artefice, dopo avere eseguiti i due coni, li cernita univa per la base, sovrapponendo al vertice di uno di essi il collo. Oggetti litici. — Il coltello-pugnale è il solo fittile lapideo che si possiede di detta tomba ed è di selce lattina-sporca. La faccia inferiore di esso è leggermente concava, levigata, lucente e corrisponde al nucleo di distacco. La faccia superiore è lievemente convessa e mostra in tut- ta la sua lunghezza uno spigolo mediano, dal quale partono due faccette disposte a piano inclinato decorrenti da sopra in Fig. 2.8 — Tomba scoperta nel febbraio 1896: 1-2-3 manufatti di creta, 4 arma di selce. sotto o dall’interno all’ esterno e portate a squisita fattura me- diante piccoli ritocchi. Quest’ arma è lunga 187 mm., dei quali 30 ne spettano al codolo. La massima larghezza misura 30 millimetri e corrisponde dove la lama si conforma a manico. SECONDA TOMBA Il corredo funebre rinvenuto nella tomba scoperta dal Meo- martini consiste in alcuni cocci di stoviglie, che posti insieme co- struiscono la metà di una paàtera (fig. 3,n.° 1-2) con orlo rove- sciato in fuori. L’ apertura ha il diametro di 190 e la base di (0 mm. IL’ altezza segna 62. Quest’utensile è di fattura superiore, essendo di pasta fina ed omogenea, ben cotto, fatto al tornio e rivestito in ambo le facce da una patina nerastra tirata a lucido. I vasi rinvenuti nelle due tombe non sono decorati ed an- che quei graffiti geometrici molto elementari, consistenti in linee DI x . . . Pssal! Fig. 3.4 — Tomba scoperta dal Meomartini: 1. avanzo di patera; 2. spaccato della stessa: 3. cerchietto di bronzo. rette ora sole, ora a combinazione, ora spezzate ed ora ondulate, vi mancano del tutto. L'altro manufatto che accompagnava il cadavere della se- conda tomba è un massiccio anello di bronzo, il cui- diametro esterno misura 44 e quello del lume 14 mm. Se la diagnosi degli antichi tumuli è basata , secondo pa- recchi, sulla suppellettile funebre che in essi sì suol trovare, bi- sogna convenire che le tombe di Colle Sannita si appartennero alla fine del periodo neolitico ; poichè era in quell’epoca remotis- sima che si solevano ancora accompagnare i defunti colle armi di pietra, che avevano tenute più care e con vasi per alimenti e bevande. Facendo poi la differenza fra l’uno e l’altro ipogeo si deduce che quello a tre cadaveri si appartenne a povera gente ; mentre quello scoperto dal Meomartini si spettò a qualche capo, i cui dipendenti per perpetuarne la memoria non solo gli scavarono la fossa in un sito più elevato, ma vollero che l'emblema della nuova civiltà, il bronzo, gli facesse compagnia anche dopo morto. ant; Siccome il contadino che scoprì la prima tomba asserì che il precedente proprietario del fondo aveva rinvenuto altre simili sepolture nel versante meridionale della collina e gli antichi alunni collesi del Prof. Corazzini, una al dottor Paolucci, assicu- ‘ano che in prossimità del. Zoppo San Filippo, benchè non vi fos- sero indizi di abitazioni preistoriche, pure non vi facevano di- fetto i manufatti di pietra; così sono indotto ad ammettere an- che che in detta località dovette avvenire qualche scaramuccia, il che rilevasi dal modo tumultuario come vennero sepolti i ca- daveri, posti cioè gli uni accanto agli altri in pieno suolo e senza che un appropriato lastrone avesse. reso ai defunti meno pe- sante il terreno che doveva coprirli. Breve illustrazione delle Solanacee italiane, pel socio LkopoLpo MARCELLO. (Tornata del 15 dicembre 1903) A complemento delle mie precedenti pubblicazioni sulle So- lanacee !); mi è sembrato opportuno di fare una revisione delle varie specie italiane di questa famiglia, parendomi che gli autori non sempre sì trovino concordi nel bene caratterizzarle. Con que- sto scopo ho consultato le principali Flore italiane e straniere , ho osservato un buon numero di specie viventi nel R. Orto Bo- tanico di Napoli ed anche in altre parti dell’ Italia meridionale, ed ho, infine, consultato i classici Erbarii di Gussone e di Teno- re, per la cortesia dell’ illustre prof. Delpino, direttore dell'Orto napolitano, al quale rendo sentite grazie. In questa revisione ho creduto di accogliere anche parecchie specie abbondantemente coltivate o naturalizzate in varie parti d’Italia, e di aggiungere alla descrizione morfologica , altresì, quelle notizie teratologiche e biologiche, che meglio valgono ad illustrare le singole specie; parecchie delle quali note furono de- dotte da osservazioni originali su piante viventi. I diversi generi e specie, comprese nella flora italiana, furono disposti secondo la classificazione da me precedentemente propo- sta in altro lavoro critico sulla sistematica delle Solanacee. Ometto poi di dare le generalità della famiglia, imperocché queste sa- ranno comprese in un prossimo lavoro sulla morfologia delle So- lanacee, il quale viene ad aggiungersi alle altre pubblicazioni in- torno a questa famiglia. 1) MarceLLo L. — Contributo alla istologia di alcuni Solanum. Cava dei Tirreni, 1902. — Note biologiche sulle Solanacee. Cava, 1902. — Osservazioni critiche sulla sistematica delle Solanacee. Cava, 1902. — Distribuzione geo- grafica delle Solanacee. Cava, 1902. — Morfologia delle Solanacee. Salerno, 1903. FAMIGLIA DELLE SOLANACEE SOTTOFAMIGLIA I -SOLANINEE TRIBÙ I. — SOLANEE Genere Lycopersicum Tourn. 1. Lvyvcopersicum EscuLeNnTUM Mill. Mill: Dico? Bert FI. I. v. TL p. 06087 Parla/N4o VI. p. 688. Arc. FI. I. p. 389.—Fior. e Paol. FI: It. v. DE p. 401.—Guss. FI. Ste. v. I. pi 203. Sin. Solanum i Li. iSpr PI! parl50: Icon. Reich. Icon. FI. Germ. v. XX, tav. 183.—Fior. e Paol. Icon FI. It. p. 340. n. 2874. Pianta succosa, villoso-pubescente, glandulosa, puzzolente, — Fusto prostrato, ramoso.--Foglie picciolate, interrottamente pen- natosette, a segmenti di varia grandezza, ovato-cordati, inciso- dentati, glaucescenti al di sopra. Fiori in cime oppositifolie, a pedicelli articolati ed in fine reflessi; calice di media grandezza, a lacinie linearo-lanceolate; corolla gialla, rotata. — Frutto bacca torulosa, solcata, glabra, multiloculare. Semi squamulosi.— Estate, Pianta originaria dell'America merid. (v. Alph. De Candolle Orig. d. Plant. cult. p. 281), abbondantemente coltivata e spesso sfuggita alla cultura. Secondo il Gussone, sì è perfettamente na- turalizzata nelle I. Eolie. OssERVAZIONE MORFOLOGICA. -— Il Lycopersicum si può ben tener distinto dal genere Solanum per la natura della polpa del frutto. Nei Lycopersicum infatti la polpa del frutto è originata dalle placente, che, dopo la fioritura, mandano tra gli ovuli dei prolungamenti, i quali finiscono per avvolgere gli ovuli stessi da tutte le parti, e si trasformano in una massa polposa che si avan- za fino alle pareti del frutto , senza però contrarre alcuna ade- renza con esse. Così a maturità la massa placentaria, ridotta in polpa, si separa attorno ai semi in tanti sacchi arilloidi, spessi e succolenti. Nel genere Solanum invece , dopo la fioritura si osservano delle ripiegature dell’endocarpo, che si avanzano verso l’interno del giovane frutto e finiscono per raggiungere le placente, ed saldarsi con esse, interponendosi fra i semi in modo da costitui- LN) - 27 re altrettante cavità separate. A maturità tutta questa massa di tessuto cellulare proveniente dall’ endocarpo si riduce in polpa, nella quale sono annidati i semi (V. Caruel « Observations sur la nature et l'origine de la pulpe, ecc. » Ann. d. Sc. Nat. Ser. IV, N22): OSSERVAZIONI TERATOLOGICHE. — Duchartre |< Note sur des feuilles ramifères de Tomates » in Ann. d. Sc. Nat. 3.0 Ser. T. 19. p. 241. e tav. 14. »] descrive alcune foglie di questa specie portanti gemme, che vanno sviluppandosi in rami. — G. A. Pa- squale |« Su di una varietà di Lycopersicum esculentum » Nap. 1866] cita alcuni casì teratologici di questa specie con prolifera- zione di carpidii sporgenti dalla sommità della bacca. OssERVvAZIONI BIOLOGICHE.—I peli glandulosi, che ricoprono tutte le parti vegetative di questa pianta, la rendono somma- mente viscosa e fetida, e ciò, con probabilità, costituisce un ot- timo mezzo di protezione contro gli animali. Genere Solanum Tourpr. Sez. I Tuberarium. 1. SoLANUM TUBEROSUM L. 1 (Sp. Et p. 282:—Bert. FI. KH. v. IL p..637.—Pad, BK v. VL p. 683.—Arc. FI. It. p. 389.—Fior. e Paol, FI. It. v. II, p. 099. Icon. Reich. Icon FI. Germ. v. XX. Tav. 12. Fior e Paol. Icon. Fl. It. p. 340. n. 2870. Pianta minutamente pubescente, con stoloni sotterranei por- tanti tuberi più o meno grandi, sub-rotondi. farinosi.-- Fusto er- baceo, quadrangolare. — Foglie picciolate, a base asimmetrica o cuoriforme, pennatosette, con segmenti ovali, acuminati, grandi, alternanti con altri più piccoli.—Fiori in corimbi lungamente pe- duncolati, con pedicelli articolati verso la base; calice 5-dentato; corolla bianca o violacea, a lacinie acute.-- Frutto bacca globosa, gialla a maturità. — Estate. Specie originaria del Chili e del Perù (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. p. 810, ed Orig. d. Spec. p. 36), coltivata, quasi ovun- que, per le proprietà alimentari dei suoi tuberi. OSssERVAZIONI TERATOLOGICHE. — Dewalque nota in questa spe- cie un caso di tuberizzazione di gemme aeree. Duchartre (Bull. Soc. Bot. Franc. 1861. p. 452) descrive alcuni fiori decandri di S. tuberosum, essendo divenuti anteriferi anche i lobi della corolla, come fu da me osservato nella Datura Metel. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. — I] germogli giovani, in questa specie, sono velenosissimi, perchè ricchi di solanzna; mentre gli adulti poco o nulla ne contengono. È questo, certamente, un mezzo protettivo. I fiori poi restano aperti nelle ore calde del giorno e si chiu- dono di notte, curvandosi anche verso terra, a scopo di maggiore protezione. Sono abbastanza odorosi; sembra però che colla col- tivazione, nei nostri paesi, e forse per la continuata moltiplica- zione agamica, abbiano perduto parecchio del profumo, che ave- vano all’epoca della loro introduzione; infatti, secondo 1’ Ecluse, citato da De Candolle, questi fiori avrebbero avuto un fortissimo profumo, analogo a quello dei fiori di Tiglio, cosa che, al giorno d’oggi più non si riscontra; tuttavia questi fiori sono visitati da parecchi insetti, massime imenotteri. Può anche effettuarsi, in essi, l’ impollinazione omogamica, imperocchéè , stante le diverse chiusure ed aperture della corolla, il polline viene a depositarsi sulla corolla stessa e facilmente , da questa viene portata sugli stimmi. Sez. II. Morella. 2. SOLANUM NIGRUM L. L. Sp. Pt. p. 186.—Bert. FI. It. v. IL p. 633.—Parl. FI. I. v. VI: p. 683.—Arc. FI. I. p. 389.—Fior. e Paol. E. I. vw. II p;, 399:—=Ten El Neap: v..I. p. 102.—Guss. FL_.Stc. va dpne Icon. Reich. Icon FI. Germ. v. XX. Tav. 10.—Fior. e Paol. lcon Bi Lp 340; n: 2871. Pianta annua o raramente suffruticosa, eretta, succosa, glabra o più o meno peloso-vischiosa, con odore più o meno muschiato.— Fusto angoloso o quasi alato, spesso porporino-scuro, alto 2-5 dm., con rami divaricati. — Foglie picciolate , ovate , intere o sinuato-dentate. — Fiori bianchi, piccoli, in simpodii racemiformi sub-umbellati, estrascellari, brevemente peduncolati; calice a la- cinie ottuse ed in ultimo ricurve; corolla a lacinie acute, lunga il doppio del calice. — Frutto bacca globosa, nera, grossa poco più di un pisello, portata da un pedicello alquanto reclinato im basso. Primavera ad autunno inoltrato. og Specie comunissima. ovunque. Nel R. Orto B. di Napoli se ne trova spontanea una forma a frutti più grossi e completa- mente sferici. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. — I piccoli fiori di questa specie restano aperti di giorno, coi petali rivolti all’indietro, e di notte sì chiudono completamente. Gl' insetti, che li visitano, debbonsi aggrappare al tubo delle antere od alla base dei filamenti; e quest’ insetti sono piccoli imenotteri. Tuttavia, in questi fiori, dovrà accadere, costantemente, la impollinazione omogamica, se venne a mancare quella staurogamica, perchè si vedono tutti quanti i fiori abboniti in frutti. Varrerà. — Le numerose varietà di questa specie si possono ridurre ai seguenti tipi. a) var. genuinum Guss. Foglie piccole, coriacee, brevemente picciolate, cuneiformi alla base, intere od appena angoloso-den- tate, acute all’apice. Db) var. Atriplicifolium Guss. Foglie piccole, coriacee, bre- vemente picciolate, cuneiformi alla base, acutamente e profonda- mente sinuoso-dentate, acute all’apice. c) var. molle Guss. Foglie piccole, molli, lungamente pic- ciolate, troncate e quasi cordate alla base, interissime, acute al- l’apice. | d) var. Stramonifolium Guss. Foglie assai grandi e larghe, molli, brevemente picciolate, quasi cuoriformi alla base, lieve- mente augoloso-dentate, ottuse all’apice. 3. SoLAaNUM mInIATUM Bernh. Bernh. in Willd. Hort. Berol. p. 286. — Bert FI. I. v. II. p. 635.—Parl. FI. It. v. VI p. 684—Arc. FI. IL p. 389.—Fior. e Paol. FI. It. v. IL p. 400.—Ten. FI. Neap. v. IL p. 223. — Gniss Ea Ste: vo Lp. I. Icon. Reich. Icon FI. Germ. v. XX, tav. 11. Questa specie differisce dal S. nigrum per essere pianta sem- pre annua, più gracile, con fusto e foglie, per solito, pubescenti, e specialmente per il frutto, che è di colore rosso-coccineo 0 giallognolo, mai nero, e di sapore più viroso e non dolciastro. È anche pianta comune dovunque, e, per i suddetti carat- teri, pare si debba tenere specificamente distinta dal S. 29rw, come ha già avvertito il prof. Delpino nella sua nota sul « Di- croismo nell’Euphorbia Peplis L. ed in altre piante » nel Reyd. de. Acc. Sc. Nap. Giug. 1897. ga OSSERVAZIONI MORFOLOGICHE. — Di questa specie sì conoscono anche individui con bacche perfettamente mature, di colore non rosso-miniato, bensì gialle o giallo-verdognole. Sono propenso a ritenere queste forme non come varietà, ma come veri casì di dicroismo, e fors'anche come forme ibride tra questa specie ed il S. nigrum. VarIerà. — Le diverse varietà di questa specie sì possono ridurre a tre tipi principali, cioè: a) var. angulatum Guss. Foglie piccole, un po’ coriacee, brevemente picciolate, cuneiformi alla base, intere od appena angoloso-dentate, acute all'apice. : b) var. Hyosciamifolium Guss. Foglie piccole, strette, coria- cee, brevemente picciolate, cuneiformi alla base, acutamente e profondamente sinuoso-dentate, acute all'apice. c) var. Physalidifolium Guss. Foglie piuttosto grandi, molli, lungamente picciolate, troncate o quasi cordate alla base, inte- rissime, acute od ottuse all'apice. 4. SoLanuMm GRACILE Ott. Ott., Hort...Berol. in DC.. Prodr. v. XIII. p.. 54. Sin. S. Kitaibelii Pasq. Cat. Ort. Bot. Nap. 1867. p. 97., non Schultz FI. Austr. v. IL p. 395.—S. Douglas Ten. in Erb. non Duncan DG eerodry: XII, p. 48. Icon. Marcello in Bul!. KR. Orto Bot., d. Nap. v. IL fasc. LL Pianta annua o perenne, ed allora sub-legnosa alla base. — Fusto eretto. a rami numerosi, patenti, alto 1 m. e più, quasi alato per la decorrenza dei picciuoli , pubescente , grigiastro. — Foglie solitarie, picciolate, piccole, interissime, lanceolate, sub- cuneiformi alla base con lembo decorrente sul picciuolo, acumi- nate all’ apice, pubescenti su entrambe le pagine, verde-grigia- stre.-Fiori circa 6, piccoli e bianchi, in racemi sub-umbellati, refratti a maturità delle bacche, con pedicelli ingrossati alla som- mità ed articolati alla base; calice ciatiforme, 5-dentato, coi se- pali fra loro uniti da espansioni membranacee ; corolla profon- damente 5-fida, con lacinie triangolari, oblunghe, acuminate, ester- namente puberule; antere conniventi, gialle. Frutto bacca deci- samente globosa, grossa quanto un grano di pepe. nero-violacea a maturità, di sapore dolciastro.—-Semi piccoli, giallastri, minu- tamente alveolati.— Lugli0- Settembre. Specie originaria dell'America merid., già da molti annì na- turalizzata nel R. Orto Bot. di Napoli e fors'anche in altri luo- ghi del Napoletano. OSssERVAZIONI MORFOLOGICHE — Questa specie è ben distinta dal S. nigrum, specialmente per il carattere delle inflorescenze refratte dopo la maturazione dei frutti, carattere che non si ri- scontra in alcuna delle varietà del S. wegrum e del S. miniatum. Questo solano fu ritenuto dal Tenore per il S. Douglas Dun. che è affatto distinto, e forse riportabile al vero S. nigrum. Poi il Gussone, come risulta dal suo Erbario, lo ritenne per S. Aztaz- belt Schultz., e, con tal nome, ma erroneamente, fu pure indi- cato dal Pasquale; imperocchè il vero S. Aztaidelti Schultz., se- condo esemplari autentici conservati nell'Erbario Tenoreano e raccolti dal Meyer, non è possibile riferirlo alla specie su descritta, bensì è una semplice forma del S. nigrum, forma assai reperi- bile anche da noi. Così non può essere neppure ascritto al S. hirsutum Dun., come propenderebbe fare lo stesso Pasquale. Il nome di gracele, infine, non è troppo appropriato a questa pianta, che perennizza e diventa suffruticosa; forse le venne asse- gnato perchè fiorisce fin dalla prima età, cioè quand'è ancora piccolissima. Non mi credo, perciò, autorizzato cambiare tal nome con uno più adatto. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. Nell’infiorescenza di questa specie sì hanno due posizioni diverse, in due tempi distinti. Nel primo tempo il peduncolo è eretto ed i fiori, perciò, sono bene esposti al pronubi per la staurogamia: nel secondo tempo, invece, è com- pletamente deflesso, e ciò allo scopo di portare i frutti maturi in posizione più aperta, e quindi più. visibile agli uccelli, che dovranno, attratti anche dal sapore dolce, mangiarli, per effet- tuare la disseminazione. Sez. III. Dulcamara. - 5. Soranum DuLcamara L. L. Sp. Pt. p. 264.—Bert. FI. It. v. IL p. 632.—Parl. FI. It. VANVIL.p. 686.-Arc. FI. It. p. 389—Fior. e Paol. FI. It. v. IL p. 399.— Ten. FI. Neap. v. L p. 102.—Guss. FI. Ste. v. LL p. 270. Icon.— Reich. Icon Fl. Germ. v. XX. tav. 12.—Fior. e Paol. Icon. El. It. p::339. n. 2869. Pianta suftriticosa.— Fusto scandente, cilindrico, cavo, inerme, lungo da 1-3 m., glabro od appena pubescente. — Foglie sparse, picciolate, le inferiori intere, a lembo strettamente decorrente sul picciuolo, cordato-ovate: le mediane spesso astato-trilobe o tripar- I CA tite, con orecchiette basilari ovato-lanceolate e piccole, portanti nella pagina inferiore, all’incontro delle nervature secondarie colla primaria , profonde cavità acarofile ; le superiori intere. Gemme ascellari rivestite di densa peluria, che ricopre le squame formanti la perula. Fiori in corimbi estrascellari, terminali e laterali, peduncolati, nutanti; corolla violacea a lacinie lanceolate, acuminate, retroflesse, con due macchie simmetriche, bianco-ver- dastre, alla base di ciascun lobo. Frutto -bacca ovale, piccola, rossa a maturità. — Zstate- Autunno. Pianta comune nelle siepi e nei luoghi ombrosi umidi, dal mare alla regione montana, per tutto il continente e le isole. OssERVAZIONI TERATOLOGICHE. — In alcune infiorescenze di questa specie, ho trovato un certo numero di fiori presentanti i verticilli del calice, della corolla e dell’androceo tetrameri, an- zichè pentameri (L. Marcello. Bol. Soc. Nat. di Nap., 1903). Tassi (Nuov. Giorn: Bot. It. v. XVIII, p. 318) nota alcuni casi di viviparità in questa specie, ossia trasformazione di fiori in gemme fogliacee. OSSERVAZIONI BIOLOGICHE. In questa specie i fiori, pendoli, mancano assolutamente di. nettare. Le antere sono biporose, il polline è secco. Quasi alla base e simmetricamente disposte ai lati delle nervature mediane di ciascun lobo della corolla, si ve- dono come due macchiette, quasi triangolari, di color verde-chiaro, orlate di bianco-sporco, che risaltano sul fondo violetto-scuro del petalo. Queste macchiette, sulla faccia inferiore del lobo, man- tengono la stessa forma, ma sono di colore bianchiccio. Esse sono state diversamente interpretate. C. Sprengel credeva che fossero nettarostimmi, ossia indicatori di miele, ma siccome il miele manca in questi fiori, non è ai nettarii che si riferiscono, sebbene al polline, il quale è avidamente raccolto da alcune specie di bombi, tra cui il Bombdus italicus, i quali trovano appulso sulle lacinie corolline retroflesse. A_mio credere, perciò, le suddette macchioline, servendo ad attirare gl’insetti pronubi, per fare in modo che essi si prestino, raccogliendo e trasportando il polline, alle nozze incrociate, meritano il nome di pollinindici. Le bacche, inoltre, sono appetite da molti uccelli, che bene ne operano la disseminazione. est Biol c 6. SOLANUM AVICULARE Forst. Horst,Wrodr,n 10" Rior.e Paol Pi di veID p. 402. DO. Prodr. v. XIII. p. 69. Fusto legnoso, eretto, solcato, glaberrimo.- Foglie cuneate, pinnatifide, con lacinie triangolari, acute, intere, la terminale al- lungata, acuminata, acutissima.— Fiori in racemi terminali sub- ascellari, multiflori; calice coriaceo, 5-fido; corolla 5-fida, a lacinie acute.— Frutto bacca ovato-ellissoidea. — Estate. Specie originaria dell'Australia, naturalizzata nel Nizzardo e presso Genova. Sez. IV. Melongena a 7. SOLANUM soDomaEUm L. Deep po St Bert FI. Iv. DE p;868-=Parl. (EV. It. v. VI. p. 688.— Arc. FI. It. p. 389.— Fior. e Paol. FI. It. v. IT. p. 401. Ten. FI. Neap. v. I. p. 103.— Guss. FI. Ste. v. L IIa, Icon.— Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 340. n. 2873. Pianta suffruticosa, con abbondanti aculei dritti e gialli sul fusto, sulle foglie e sui calici.— Fusto ramosissimo , alto fino a 5 m. — Foglie brevemente picciolate , sinuato-pennatifide a seni arrotondati e lobi ottusi, angolosi. — Fiori in corimbi paucifiori, spesso bifidi; calice con lacinie ovato-lanceolate; corolla violacea, a lacinie triangolari, acute.— Frutto bacca globosa, grossa quanto una ciliegia, gialla a maturità.— Primavera ad autunno inoltrato. Specie diffusa per tutta la regione mediterranea nell’ Italia meridionale e nelle isole, quasi sempre vicino al mare, nei luo- ghi arenosi ed incolti. OSSERVAZIONI BIOLOGICHE.—, Tutti gli aculei, che rendono or- rida questa pianta, costituiscono un mezzo di difesa contro molti animali, specialmente mammiferi erbivori. Quelli poi, che rive- stono il calice, hanno l’ufficio di difendere non solameute il fiore, ma anche il frutto. Le bacche, come si sa, vengono disseminate dagli uccelli, 1 quali, o mangiandone la polpa, fanno cadere i semi, oppure, in- ghiottendola intera, emettono i semi cogli escrementi. Ora nel S. sodomaeum la bacca, fino a quando non raggiunga la sua ma- turità, è protetta acconciamente dal calice, che quasi completa- 3 Se mente l’avvolge, e, colle sue numerose spine irte d’ intorno, la difende dagli attacchi degli animali. E ciò perchè durante il pe- riodo che precede lo stato di maturazione, i semi, non essendo ancora maturi e perciò non ancora atti a germogliare, sarebbero sclupati, ove gli animali si cibassero del frutto. Raggiunta poi la maturità, il quale stato è indicato dal colore rosso vivo che assume la bacca, essendo i semi maturi ed atti a venir dissemi- nati, non vi è più bisogno di difesa, ed il calice si allontana, spiegando i suoi lobi in modo da porgere il frutto maturo agli animali, che, cibandosene, debbono operare la disseminazione. -_ 8. SovAanum HeERMANNI Dun. Dun. in DC Prody.vv. XIII. .p. 366.— Bert, WI ae p. 636.— Fior. e Paol. FI. It. v. IL p. 401. Pianta suffruticosa. — Fusto con rami peloso-stellati, aculeati, purpurescenti.— Foglie larghe, pure peloso-stellate, scabre, pinna- tifido-sinuate, con lobi ottusi, aculeati, ciliati.— Fiori in racemi cimosi pauciflori; calice campanulato, peloso-stellato, aculeatissimo, b-partito, con lacinie lineari, lanceolate, acute, a margine sub- scarioso; corolla violacea, 5-fida, a lacinie largamente ovate, cu- spidate; stami il doppio più brevi della corolla.—— Frutto bacca della grandezza di una noce, prima bianca variegata di verde, dopo gialla. — Primavera- Autunno. Specie originaria del Capo di Buona Speranza (V. Alph. De Candolle, Geogr, Bot. t. II. p. 736), naturalizzata ad Ischia, in Calabria, in Sicilia ed a Lampedusa; e ritenuta da A. De Can- dolle ben distinta dal S. Sodomaeum. OSssERVAZIONI BIOLOGICHE. Anche in questo solano, come nel precedente, gli aculei costituiscono una valida difesa contro mammiferi erbivori ed uccelli, precoci disseminatori. 9. SOLANUM CITRULLIFOLIUM A. Braun. A. Braun. Ann. Sc. Nat. Ser. 3.*, v. XII. p. 356.— Parl. FI. It. v. VL p. 688.—Arc. Fl. I. p. 389.— Fior e Paol. MI. H.v. II. p. 402.— DC. Prodr. v. XIII. p. 682. Pianta annua, con rami e foglie aculeati ad aculei assai nu- merosi, sottili, dritti.— Fusto erbaceo.— Foglie, nell'insieme del contorno, sub-triangolari, le inferiori pennate o pinnatifide; le su- periori bi-pinnatifide, decrescenti, con lobi sinuato-dentati, acuti, inferiormente, lungo i margini e nel margine, glanduloso-pelose, — 35 — superiormente glabre. — Fiori zigomorfi, in cime oppositifolie, unilaterali, elongate, multiflore; calice acutissimo; corolla ceruleo- violacea, grande, irregolare; stami ad antere declinate, l’inferiore del doppio più lunga delle altre e curva sulla corolla.— Frutto bacciforme, contornato dal calice accrescente, con numerosi aculei di varia lunghezza. — Giugno- Luglio. Pianta originaria degli Stati Uniti d'America, naturalizzata in varie parti d’Italia, specialmente vicino Firenze e presso Pola. OSsERVAZIONI BIOLOGICHE.— In questa specie, il calice, spino- sissimo ed accrescente, avvolge e racchiude completamente la bacca, anche a maturità, di modo che non si riesce bene a com- prendere come possa avvenire la disseminazione: forse, essendo frutti assai piccoli ed oligospermi, potranno avere una tendenza alla eriofila. 10. SoLANUM BatBisit Dun. Dun. Sol. p. 232. n. 195.— DC. Prodr. v. XIII p. 326. — Pasg, Cat: Ort. Bot. Nap. 1860, p. 97. Sin. — S. brancefolium Jacq. — S. Sisymbrifolium Lam. Ill. n. 2386. Icon.— Ecl. Pt. v. L tav. 7. ; Pianta peloso-glandulosa.— Fusto suffruticoso, ramoso, acu- leato ad aculei perfettamente dritti, giallo-brunastri.— Foglie pic- ciolate, pinnatifide o bi-pinnatifide con lobi acuti, smuato-dentati, molli, sub-glandulosi, aculeate sulle nervature, peloso-ciliate.— Fiori in racemi cimosi, semplici, terminali e laterali, sub-oppo- sitifolii; calice inflato, 5-lobato, aculeato, accrescente nel frutto; corolla 5-fida con lacinie ovate, acute, retroflesse, bianca o ten- dente all’azzurro, ed avente nel mezzo di ogni petalo un mar- cato rilievo limeare lucido.—- Frutto bacca sub-ovata, della gran- dezza di una ciliegia, edule, di color rosso-ranciato, glabra, da giovane rinchiusa nel calice. — Estate. Specie originaria dell'America merid., naturalizzata nell’Orto Botanico di Napoli ed in altri luoghi dell’Italia meridionale. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. In questa specie non solamente il fusto ed i suoi rami, ma ancora le nervature principali e se- condarie delle foglie, i pedicelli ed i sepali, sono sparsi di nu- merose spine, giallicce ed acuminate, che rendono molto perico- loso il contatto colla pianta. Anche qui, come nel S. Sodomaeum, le spine che si trovano sul calice difendono tanto il fiore, quanto il frutto. I rilievi lucidi, dei quali ciascuno occupa la limea me- SEA (gel diana di ogni petalo, possono funzionare da pollinindici, per me- glio guidare i pronubi nelle loro visite fiorali. 11. SOLANUM MARGINATUM L. L. Sp. Pt. p. 147.— Fior. e Paol. FI. It. v. IL p. 402. Icon. Jacq. Icon. Kar. tav. 45. Pianta fruticosa, alta fino a 2 m.-- Fusto eretto, aculeato, superiormente niveo-tomentoso.—-Foglie grandi, picciolate, asim- metriche alla base, sub-cordato-auricolate, sinuato-lobate con lobi ottusi, repandi, aculeate in entrambe le pagine sulle nervature primarie; le più giovani completamente niveo-tomentose; le adulte verdeggianti, nella pagina superiore marginate di bianco.— Fiori in corimbi pauciflori, sub-umbellati, estrascellari; calice campa- nulato, niveo-tomentoso, un poco aculeato; corolla bianca, ondu- lato-marginata, specialmente nei seni interposti ai lobi. — Frutto bacca globosa, grande come una susina, pendula, gialla.— Luglio- Agosto. Specie originaria dell’Abissinia, naturalizzata nel Nizzardo e presso Genova. OSSERVAZIONI BIOLOGICHE. si allontana dalla bacca, solo quand’essa è matura. Anche in questo solano, il calice 12. Soranum MEeLONGENA IL. L. Sp. Pt. p. 260.— Bert. FI. It. v. IL p. 637.— Parl. FI It. v. VI. p. 683.— Arc. FI. It. p. 389.— Fior. e Paol. FI. It. wet prel04e Sin. S. esculentum Dun. in DC. Prodr. v. XIII. p. 355. Icon. — Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 340. n. 2872. Pianta annua, erbacea.— Fusto eretto, ramoso, spesso por- porino-scuro.— Foglie lungamente picciolate, ovate, acute od acu- minate, leggermente dentate o sinuate, tomentose per peli stel- lati, e qualche volta aculeate alla superficie. — Fiori solitari o in 2 o 83, estrascellari, di due forme, gli uni ermafroditi, gli altri maschili: i primi con pedicelli accrescenti e riflessi dopo la fio- ritura, ed a calice pure accrescente ed avvolgente il frutto quand'è giovane; calice con lacinie irregolari, bislungo-lineari, subulate; corolla piuttosto grande, violacea, rotata, a lacinie larghe ed acute. Frutto bacca polposa; ovale, assai grande, violacea 0 quasi scura, qualche volta biancastra. Bar Pianta originaria delle Indie orient. (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. p. 915, e Org. d. Spec. p. 229), sovente coltivata, massime nell'Italia meridionale, per i suoi frutti eduli. —Maggio- Giugno. OssERVAZIONI TERATOLOGICHE.— De Candolle (Mem. Soc. Helv. v. V. t. II.) descrive e figura un caso di deiscenza naturale nel frutto polposo di questa specie, con presentazione, all'aperto, delle placente polpose e dei semi. OSSERVAZIONI BIOLOGICHE. Non abbiamo nessuna conoscenza intorno agli animali che possono effettuare la disseminazione di questa specie, imperocchè i frutti, anche maturi, sono ripieni di polpa molto soda, non dolce, ma di sapore piuttosto ingrato. Potrebbero essere piccoli mammiferi e fors'anche rettili. 13. Soranum Pseuno-MELoNGENA Ten. Ten. Cat. Sem. Hort. Neap.1851.—DO. Prodr. v. XIII. p. 682. Icon.—Ten. Licer. alc. sp. Solani, in Att. d. R. Ist. dInc. di Nap. 1853, tav. I. y Pianta annua. — Fusto inerme, glabro. — Foglie ovate, inte- gerrime, acute, ondulate, atro-virenti.— Fiori a peduncoli cernui sub-unifiori; calice non accrescente, da ultimo marcescente : co- rolla bianca, rotata, a 5 lacinie lanceolate. Frutto bacca grande sferoidale, polposa, quadriloculare, di color rosso-coccineo. — Mag- gio-Giugno. Specie originaria del Brasile, coltivata nel Napolitano pel suo frutto edule. OsseRvAZIONI BIOLOGICHE.—I frutti di questa specie, stante la loro brillantissima colorazione, dovranno, assai facilmente es- sere mangiati da qualche animale, che ne effettui la dissemina- zione; ma per la presenza di polpa molto compatta, non zucche- rina e di sapore poco gradevole, sembra difficile che tali animali siano uccelli. Vi si aggiunga la circostanza che questi frutti ven- gono prodotti alla base del caule, in vicinanza del terreno, e ciò può indicarci una relazione con animali terrestri, forse piccoli mammiferi o rettili. 14. SOLANUM BONARIENSE L. Ji. (Sp. (PI. p. 264—Parl. FI. It v. VL p..633.— Arc. FI. It p-'989.—Fiorse Paol! WI. Zi. v. IL p. 402. liton: “Dilen AA ev I tav. 1272, ti Pianta fruticosa.—Fusto flessuoso, sub-inerme, con rami lun- ghi, sottili, verde-scuri od un poco porporini.—Foglie picciolate, ovato-oblunghe, sinuato-repande o quasi intere, peloso-scabre con peli stellati, acute; le superiori intere e più piccole. — Fiori in corimbi terminali od estrascellari, dicotomi; calice ciatiforme, verde, peloso-stellato, a lacinie lanceolate, lungamente acuminate, acutissime ; corolla bianca, un po’ pelosa esternamente, a lobi Frutto ovato-triangolari, mucronati; stami più brevi della corolla. bacca globosa, gialla. — Luglio-Agosto. Specie originaria dell’ America merid., naturalizzata in vari luoghi del Napolitano, specialmente a Pompei. OssERVAZIONI- TERATOLOGICHE.—Clos descrive un caso di siman- sia di due fiori di questo solano, con 8 sepali. 8 petali e 10 sta- mi. (v. Clos « Ess. d. Terat. Taxin. » in Mem. d. Acta. d. Se. d. Toulose 3» Ser. T. III p. 40). Genere Capsicum Tourn. 1.. Capsicum ANNUUM LL. L. (Sp. «Pt. p. 270. — Arc. FI. It. p. 390.— Fior. e Paol. HI Hi. v. II p. 402. | Icon. Reich. Zeon. Fl. Germ. v. XX, Tav. 13.—Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 340, n. 2875. Pianta glabra.--- Fusto eretto, angoloso, ramoso.—Foglie pic- ciolate, lanceolate, acuminate, intere, lucide, asimmetriche o cu- neiformi alla base, decorrenti lungo il picciuolo.— Fiori solitari o in 2 o 8, oppositifolii, a pedicelli pendenti; calice a denti pic- colissitmi, accrescente nel frutto; corolla bianca, rotata, a tubo brevissimo ed a lobi bislunghi, acuti. — Frutto bacca rigontfia, quasi secca a maturità, cinta, alla base, dal calice e di sapore piccante. — Maggio-Settembre. Specie originaria dell’America tropic. (v. Alph. De Candolle « Orig. d. Plant. cult. » p. 229), abbondantemente coltivata, e qualche volta sfuggita alla cultura. OSSERVAZIONI TERATOLOGICHE.—Terracciano descrive due casi teratologici, uno nel C. grossum, di stami che si trasformano .in carpelli e poi in frutto, ed un altro, nel C. annwwn, di prolifi- cazione del frutto, nell’interno del quale si vedono altri peperon- gini (v. Nuov. Giorn. Bot. It. v. X, p. 28. tav. I). Un fatto iden- tico a quest’ ultimo ho osservato io in una varietà gialla dell’ i- stesso Capsicum. i agi. OssERVAZIONI BIOLOGICHE.—I frutti maturi di questa pianta, essendo colorati in rosso od in giallo, sembra possano essere in relazione con animali incaricati della loro disseminazione. Ed in realtà qualche disseminazione per opera di animali dovrebbe intervenire in questa specie, avendosi numerosi semi per ogni frut- to; ma il sapore molto piccante del frutto stesso non mi pare troppo adatto agli uccelli, quindi potrebbe darsi che , nel loro paese, i Capsicum fossero disseminati da altri animali. Genere Nicandra Adans. 1. Nicanpra PHysaLoIDES Gaert. Gaert. De Fruct. v. IL p. 237.— Arc. FI. It. p. 390. — DO. Prodr. v. XIII. p. 434.—Fior. e Paol. FU. It. v. IL p. 404. Sin. Atropa Physaloides L. Sp. Pt. v. I. p. 260. — Physalis Daturaefolia Lmk. Dict. v. II. p. 102. Icon. Reich.. con. FI. Germ. v. XX, tav. b.—Fior. e Paol. Icom. Hil.It. p-r841.n..-2809. Pianta annua, glabra.—Fusto eretto, semplice 0 poco ramoso a rami angolosi.—Foglie ovato-bislunghe, dentato-sinuate, cuneate alla base, decorrenti sul picciuolo.—Fiori piuttosto grandi, soli- tarli, con pedicelli lunghi quasi quanto il calice, reflessi ; calice membranaceo , 5-partito , a 5 angoli sporgenti a mo’ di ali, ri- gonfio, a lacinie prolungate, ciascuna, in un’ appendice reflessa in corrispondenza dei seni, verdastro, venoso-reticolato, notevol- mente accrescente nel frutto; corolla companulata, azzurro-vio- ‘lacea, col fondo bianco portante 5 macchie cerulee.—Frutto bac- ciforme, secco, incluso nel calice. — Primavera. Pianta originaria del Perù (v. Alph. de Candolle: Geogr. Bot. T. IL p. 736), coltivata e spesso naturalizzata, come a Trieste, a Verona, a Mantova, a Bologna, a Perugia, e presso Napoli, allo Scudillo. OssERVAZIONI BIOLOGIOHE.—Le macchie cerulee della corolla sono un indice per meglio dirigere 1 pronubi nella visita dei fiori. Questi restano aperti poche ore, al massimo dalle 11-16; appena avvenuta la fecondazione, tosto la corolla appassisce e si distac- ca, e così pure lo stilo si disarticola dall’ ovario. Il calice accre- scente ed includente il frutto è, indubbiamente, un mezzo pro- tettivo durante lo sviluppo del frutto stesso. DIA Genere Physalis L. 1. Puysanis ALKEKENGI L. L. Sp. Pt. p. 262.— Bert. FI. It. v. IL p. 629.— Parl. FI. Tt. vi VI. p. 6910 Arci FI. dt. p.-389.— Fior.ce PaelLuvM0lipi 404.— Ten. FI. Neap. v. I. p. 101.— Guss.- FI. Ste. v. I p. 61. Icon.— Reich. Icon. Fl. Germ. v. XX. tav. 9. — Fior. e Paol. Icon. Fl: It. p. 340. n. 2877. Pianta erbacea, glabra od appena pelosa.— Fusto eretto, poco ramoso in alto. Foglie ovato-lanceolate, cuneate alla base e de- correnti sul picciuolo, acuminate, intere o dentato-simuate.— Fiori solitarii, pedicellati; calice 5-fido, molto accrescente nel frutto; co- rolla rotata, bianca o giallognola, concolore.-- Frutto bacca, rossa a maturità, grande come una ciliegia, cinta dal calice a forma di palloncino, pure colorato in rosso. — Primavera. Nei luoghi boschivi ed ombrosi di tutta Italia, abbondante al settentrione e sempre più scarsa verso il Mezzogiorno, dov'è rara o manca del tutto. Nel Napoletano anche si trova, come a Caserta. Gli esemplari esistenti nell’Erbario siculo, raccolti nel bosco di Caronia, differiscono alquanto da quelli dell’ Italia settentrio- nale, per le foglie più coriacee e più piccole, lungamente piccic- late, e per i frutti pure più piccoli. OssERVAZIONI BIOLOGICHE.--- In questa specie si trova un net- tario in forma di cercine carnoso, che circonda la base dell’ovario, e presenta piccoli lobi sul contorno superiore. Questo nettario è" protetto da un nettarostegio, formato da abbondanti peli, che si trovano alla base dei filamenti. Esistono pure, sulla corolla, pa- recchie macchie verdi, che, probabilmente, hanno ’ ufficio di nettarindici. Tutto ciò indica che il fiore è in relazione con pro- nubi provvisti di proboscide. In questa specie, per altro, può avvenire anche l’impollina- zione omogamica mediante la corolla, che, avvizzendo, spinge le antere sullo stimma. Il calice accrescente forma un palloncino, che racchiude, al centro, la bacca; ora questo è un mezzo di protezione, per im- pedire che piccoli animali giungano al frutto e lo danneggino. Esso poi è colorato in rosso, e così può essere facilmente scorto, di lontano, da uccelli, che, lacerandolo, possono impossessarsi della bacca. Ho osservato però che, sovente, questi frutti persi- REA LA stono sulla pianta durante tutto l’imverno, ed allora avviene che colle acque invernali, il calice va marcescendo e di esso rimane solo la reticolatura delle nervature, che racchiudono il frutto come in una gabbia, di modo che, allora, la bacca può essere facilmente scorta anche dall'esterno. 2. PHYSALIS PERUVIANA L. I Spe ye paole10: Bert. “A, Ut ve HM pi 628: == Parl. FI. It. v. VI. p. 693.— Fior. e Paol. FI. It. v. II p. 403.— Gissi. See Ip. 61 Sin.— Ph. esculenta Wild. Act. Nat. p. 61.—Ph. edulis Sins. Bot. Mag. p. 21. Pianta erbacea, perenne, densamente pubescente, villosa.— Fusto eretto, ramoso.— Foglie grandi, cordate, acuminate, intere o quasi, sub-tomentose, non viscose.— Fiori a calice tubuloso- campanulato; corolla pallidamente gialla, con 5 macchie violacee al centro. Frutto bacca globosa, viscida, gialla, odorosa, edule, cinta dal calice accrescente, tomentoso, verdastro. Maggio-Giugno. Pianta originaria dell'America merid. (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. T. II. p. 735), sovente coltivata, naturalizzata nel Nizzardo, nella Liguria, nel Veneto, nei pressi di Bologna e Pe- rugia; abbondante in Sicilia e, più ancora, nelle I. Eolie. Le macchie violacee centrali della OSSERVAZIONI BIOLOGICHE. corolla servono a meglio dirigere l’azione dei pronubi, che visi- tano il fiore. 3. PHYSALIS PUBESCENS L. IRISprCDr pialisa=iBert CHI EVA TDI p. 628 Parl. ET. MEN SMONTIE, pe (693: Acre. AV. SI (p. 389. Bior. @ Paol. Fl I. Asp: 403: Guss: 003 SienvA Topi 61. SIin.— Ph. barbadensis Lamark, Dict. p. 102. n. 12. Icon. Wior.tet Paol: Hconi Ala p.e341., me 2878. Questa specie è assai affine alla P%. peruviana L, colla quale gli autori moderni tendono riunirla; ma ne differisce sufficiente- mente per essere pianta annua, con caule assai ramoso, a rami divergenti e quasi orizzontali; per avere le foglie molto più pic- cole, lungamente picciolate, quasi glabre od un poco viscose, asim- metriche alla base, grossolanamente sinuato-dentate ; per i fiori del doppio più piccoli, a corolla più intensamente colorata, con 2g. ga macchie più scure; per i frutti pure più piccoli, cinti dal calice quasi glabro, di colore giallastro-pallido. — Maggio-Giugno. Pianta ritenuta, come la Ph. peruviana, dell'America merid. (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. T. IL p. 735.), e naturaliz- zata in varii luoghi d’Italia, come presso Bordighera e Bologna, e nelle I. Eolie. (tenere Withania Dun. 1. WITHANIA SOMNIFERA Dun. Dun. in DC. Prodr.: v. XIII. p.:458= Bert. | FI. di p. 627.— Parl. FI. It. v. VI p. 689.— Are. FI. It. p. 389.— Hior. ePaol. N Jh> v. II; p.:403/— Gruss: MS vv pa 268. Sin. Physalis sommnifera Li. Sp. Pt. p. 261— Hipnoticum som- niferum Rodr. ined. in Herb. Boissier. Tcon.— Cav. Icon. Pt. v. II, tav. 103. — Fior. e Paol. Zcon. TINI (pol. n 02876. Pianta fruticosa , densamente lanato-tomentosa , alta circa 1. m.--Fusto eretto, ramoso, cilindrico od angoloso in alto.— Foglie brevemente picciolate, ovate o bislunghe, intere, peloso- stellate, ciliate.—- Fiori agglomerati, piccoli, a pedicelli assai brevi, riflessi; calice a lacinie lanceolato-lineari; corolla poco più lunga del calice, giallo-verdognola. — Frutto bacca, grande quanto un pisello, rossa a maturità, cinta dal calice verde o rossigno. Estate. Nei luoghi boschivi ed ombrosi di Sardegna e di Sicilia, specialmente presso Catania, della quale località ho veduto esem- plari nell’Erbario Siculo di Gussone. TRIBÙ II. — ATROPEE Genere Atropa L. ATtRoPA BeELLADONNA Li. Ti: Sp. 682) = Parly VI w30VE pi 4003 Arc. 4. It. p-:390.:—Fiorve Paol. Fl Iv. HI: p.-405. Icon. Bert. Comm. de Mandr. tav. III. l Pianta piccola, acaule, a fioritura autunnale.--Radice piccola nera.—Foglie ovate od oblungo-lanceolate, acute, attenuate in breve picciuolo. — Fiori lungamente pedicellati; calice a lacinie lanceolato-lineari; corolla grande, violacea, esternamente glabra, meno profondamente divisa che nella M. autumnalis. — Frutto bacca globosa, piccola, gialla, più breve del calice. — Ottobre- Novembre. Nei luoghi erbosi delle vicinanze di Napoli, della Basilicata, ed assai comune in Sardegna. OsservazioNnI MorFOLOGICHE.-—— Col nome di M. microcarpa, si trovano, nell’Erbario Tenoreano, alcuni esemplari macranti, du- bitativamente ascrivibili a questa specie, e raccolti sul Gargano. Alcuni autori considerano questa specie come varietà della M. autumnalis, ma a me sembra sufficientemente distinta, basan- domi anche sull’autorità del Bertoloni e dell’Heldreich. 3. MANDRAGORA VERNALIS Bert. Do Ai vi Apa 648 Parl A dii 0VIC pò 698: Arc. Fi. It. p. 390.— Fior. e Paol. FI. It. v. IL p. 405. [con.-- Bert. Comm. de Mandr. tav. I.-Fior. e Paol. Leon. FI. It. p. 841. n. 2881. Pianta acuale, fetente, a fioritura primaverile.-- Radice grande, carnosa bi-tri-fida, biancastra. Foglie brevemente picciolate, lar- gamente ovate od ovato-oblunghe, corrugato-crespe, spesso roton- date, ottuse all'apice o brevemente acuminate, membranaceo-den- ticulate nel margine. Fiori brevemente pedicellati; calice scabro, con lacinie lanceolato-acute, quasi triangolari; corolla bianco-vio- lacea o bianco-verdognola, piccola, a lobi strettamente lanceolati.— Frutto bacca globosa, di media grandezza, gialla, più lunga del calice. — Marzo-Maggio. Na] gene Nell’Italia settentrionale, specialmente nel Piemonte, nel Ve- ronese e nel Vicentino, nelle Marche e nell’Umbria. Esiste, forse, anche in Sicilia, e si trova naturalizzata a Malta. OssERVAZIONI BIOLOGICHE.— I fiori restano aperti, in questa specie, di sera e di notte, ed in tale tempo esalano un grato odore; si richiudono, però, quando il tempo è piovoso. Sono prov- visti di nettarostegio, formato da peli inseriti sui filamenti degli stami. In questi fiori avvengono dei lenti: movimenti, per cui, nei primi giorni di fioritura, lo stimma, già maturo, occupa il mezzo del fiore, e gli stami, non ancora aperti, sono appressati alla corolla; nel giorno successivo avviene il contrario, cioè lo stimma si curva verso la corolla, e gli stami, colle antere già aperte, vanno ad occupare il mezzo del fiore. Così anche questi fiori sono proterogini. Genere Salpichroma Miers. 1. SaLpiIcHROMA ROMBOIDEUM Miers. Miers in Hook Lond. Journ. v. IV. p. 326.— DC. Prodr. v. MII. = 474.— Arc. FI. It. p. 390. Sin. Atropa romboidea Hook. Bot. Misc. v. I p. 135 i Hook. loco crt. tav. 37. Pianta debole, sub-scandente o procumbente.-- Fusto gracile, sub-flessuoso, quasi quadrangolare, qualche poco suberifero, verde, a rami divergenti ad angolo retto, sub-dicotomi.— Foglie ovato- romboidali, ottusiuscule o quasi acute, un po’ asimmetriche alla base, attenuate in picciuolo, di sopra peloso-pruinose o glabre, verdi, di sotto più pallide, glabre, ciliate ai margini.— Fiori so- litarii o gemini, quasi ascellari, cernui ; calice 5-partito con lobi subulati, dapprima patenti, poi approssimati ed eretti; corolla breve, urceolata, glabra, con tubo lungo e rigonfio alla base e ristretto alla fauce, a lobi oblungo-lineari, acuti, reflessi, bianchi; stami fioccoso-cotonosi alla base.-- Frutto bacca ovato-oblunga, bianca a maturità. Semi ricoperti da peli lunghi e rigidi. Estate. Pianta originaria dell'America merid., abbondantemente na- turalizzata nell’Orto Botanico di Napoli. Questa specie fiorisce e quindi fruttifica solo quando si trova a solatio, in campi aperti cioè, ed anche quando, appoggiandosi su piante vicine, si eleva. OssERVAZIONI MORFOLOGICHE.— Gli autori descrivono la bacca di S. romboideum di colore rosso miniato, mentre nell’Orto bot. dj GARA 7g AA Napoli, essa è costantemente di color bianco-avorio : questo fa supporre sì tratti di specie dicroica, di cui, a Napoli, sarebbe naturalizzata solo la forma leucocarpa. OSsERVAZIONI BIOLOGICHE. Nei fiori di questa specie si ri- scontra un nettario in forma di cercine, che, dalla base dell’ovario, sl estende a coprirlo nei suoi due terzi inferiori, ed ha colore rosso vermiglio. La superficie esterna è liscia, di aspetto cereo, ed il margine superiore è irregolare. Il Prof. Balsamo (Boll. Soc. Nat. d. Nap. An. X. v. X. p. 51), che a preferenza si è occu- pato della sostanza colorante contenuta in questo nettario, dice, a proposito della struttura di esso, che è formato, esternamente, da uno strato di cellule ellittiche o sub-clavate, al disotto del quale vi è il tessuto glandulare « fatto da cellule rotondeggianti, quindi quasi poliedriche, contenenti la sostanza colorante. L’ accesso al nettario , che si trova in fondo al tubo co- rollino, è impedito da un gran numero di peli sottili ed allun- gati, rivolti dall’ alto in basso, che ricovrono quasi i due terzi inferiori della faccia interna della corolla, e da peli più corti, rivolti dal basso in alto, che ricoprono la parte bassa dello stilo. È da notare anche che, sia per la forma della corolla, sia per quella fitta peluria, che trovasi alla base del suo tubo, nel fio- re di questa specie non possono entrare, e quindi non possono prestarsi all’ impollinazione che animali molto piccoli oppure, come dice il Dott. Rippa (Osservazioni biologiche sulla Selpt- chroa romboidea Miers, in Boll. Soc. Nat. di Nap. Apr. 1903), Vim- pollinazione staurogamica può essere effettuata per opera di grossi pronubi a corta proboscide, quali il Bombus hortorum e la Xylo- copa violacea, che, naturalmente, non entrano col loro corpo nel fiore, ma che sono abbastanza robusti per conficcare la probo- scide attraverso i peli, che ostruiscono il tubo corollino. Le bacche sono certamente appetite dagli uccelli, i quali, così, ne effettuano la disseminazione; e ne abbiamo una prova nell’Orto bot. di Napoli, ove, spesso nascono pianticelle di Sa/- pichroma nelle cavità del tronco degli alberi. Esse poi sono an- che ritenute commestibili alla Repubblica Argentina, ove hanno avuto il nome di «uva del campo. Genere Lycium L. In questo genere si osserva che la funzione difensiva viene esercitata dai rami, pungenti all’ apice, e che, su questi rami, si sviluppano dei brachiblasti in numero di due per ogni pungolo, — 48 producenti, ogni brachiblasto, alcune foglie e qualche fiore. Vi è da notare, inoltre, che i fiori di Lycxm sono eterostili, cioè si hanno individui a stami eserti, più lunghi dello stilo, ed indivi- dui a stami non eserti, più corti dello stilo, il quale solo tro- rasì eserto. Quest’eterostilia, analoga a quella della Primula e di altre piante, ha diretta relazione colla staurogamia. Per l’esistenza di due forme in una stessa specie, occorre andar cauti nell'accettare tutte le varietà di Lyciuwm citate dagli autori, potendo, facilmente, essere state descritte come varietà diverse, individui dilertagiati tra loro, solo pel carattere dell’e- terostilia. 1. LyvcruMm EUROPAEUM L. L. Sp. Pt. p. 192. — Bert. FI. It. v. IL p. 639.—Parl. FI. It. v. VI. p.e(01.—Arc. FI. It. p. 388.—Fior. e Paol. FI. Lt. v. II. p. 398.—Ten. FI. Neap. v. INIL p. 230.—Guss. FI. Ste. v. I p. 273. ae Sin.—L. mediterraneum DC. Prodr. v. XIII. p. 523. ich. Icon. Fl. Germ. v. XX. tav. 15.—Fior. e Paol. Icon. FI. di p.,1939..in..#2867. Arbusto alto da 2-4 m.— Fusto ramoso a rami robusti, di- varicati, assai spinoso per spine robuste e dritte, glabro o quasi, a corteccia bianca. Foglie brevemente picciolate, spatolate, lan- ceolate od ovate, carnosette, verdi-pallide, le inferiori fascicolate, le superiori spesso solitarie.—Fiori solitarii o raramente geminati, eretti; calice campanulato a denti brevissimi; corolla dapprima biancastra elegantemente venata di porporino, poi quasi comple- tamente fosco-purpurea, lunga da 11-13 mm., tubuloso-imbuti- forme, col tubo assai stretto in basso, e col lembo più breve del tubo, a lobi oblunghi ; stami sporgenti dal tubo , ma più brevi del lembo, con filamenti pubescenti alla base. — Frutto bacca ovato-globosa, grossa come un pisello, rossa o gialla. Primavera Autunno. Nelle siepi e nelle macchie, specialmente presso al mare, nell'Italia centrale e meridionale, non che nelle isole; rarissimo nell’ Italia settentrionale. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. — In questa specie, dentro il tubo corollino, si ha un'abbondante secrezione di miele, e la base dei filamenti, rivestita di un folto ciuffo di peli, costituisce un buon nettarostegio. I fiori sono specialmente visitati da api, le quali si aggrappano agli stami, e così possono effettuare l’ impollina- SI25/97 o pa zione incrociata. La corolla, pallida nei fiori non ancora impol- linati, cangia colore dopo limpollinazione, affinchè le visite de- gl insetti sieno riservate ai soli fiori che devono ancora essere im- pollinati. Quando il fiore si apre, gli stami sono più corti ‘dello stilo, ma in seguito aumentano alquanto in lunghezza, e le an- tere possono facilmente toccare lo stimma, e così l’impollinazione omogamica può aver luogo, se venne a mancare quella stauro- gamica. VARrIETÀ.—Una varietà ramulosum Dun., chiamata dal Solla Ly. arabicum, ed indicata per Catanzaro e per l’I. di Linosa, si differenzierebbe per essere pianta glabra, più spinescente; con foglie più piccole, quasi lineari, verdi, glabre, cuneate alla base; con corolla a lembo più lungo; e con bacche globose o globoso- ovate, spesso acuminato-apiculate. 2. Lvycium cHInENSE Mill. Mill. Dect. n. 5.—Parl. FI. I. v. VI p. 702. — Are. FI. It piaos$=Rior.se»Paol. PI I. cv. II pi. 398. Icon. Duham. Arbr. tav. 30.—Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 339. n. 2868. Arbusto alto da 1-3dm.—-Fusto ramoso a rami sottili, fles- suosi, pendenti o scandenti, inermi 0 poco spinosi, ed in tal caso con spine assai sottili, glabro. —-Foglie piuttosto grandi, intere, picciolate, ovato-lanceolate, membranacee , spesso fascicolate. — Fiori riuniti a tre; calice a denti lanceolati, triangolari; corolla violaceo-porporina, tubuloso-imbutiforme, col lembo eguale al tubo, stami più lunghi del lembo e sporgenti da quello, con filamenti barbati alla base.--Frutto bacca ovata-oblunga, rosso-cocciniglia. Agosto. Pianta originaria della Cina, naturalizzata abbondantemente nel Veneto, nel Tirolo, presso Pavia, presso Macerata e Viterbo, e nelle vicinanze di Roma. Nell’ Erbario di Gussone si vedono esemplari raccolti a Portici presso Napoli. Varietà. — Il Terracciano (A. Terracciano. « Contr. all’ ist. d. gen. Lycium » in Malpiglia, IV, 1890, p. 472) indica due va- rietà per questa specie: a) var. ovatum.-—-Foglie ovato-lanceolate ed acute, grassotte; bacche ottuse e crasse. 6) var. lanceolatum.—Foglie picciolate, lanceolate o lanceo- lato-ellittiche, ottuse od acute; bacche ovato-cilindriche, ottuse, + Dego ra 3. Lvcruom AFRUM Lu. L. Sp. Pi. p. 191.—Bert. FI. I. v. IL p. 638.—Pafl. FI. Ii. v. VI. p. 701.—Arc. FI. It. p. 388.—Fior. e Paol. FI. It. v. IL p. 398. Ten. FI. Neap. v. INT. p. 229. Icon. Mich. Nov. Gen. Pt. tav. 105.—Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 339. n. 2866. Arbusto alto da 1-4 m.—Fusto spinoso, glabro, ramoso, a rami bianchi, nodosi, quasi orizzontali.—Foglie fascicolate, lineari, car- nosette, attenuate alla base.--Fiori piuttosto grandi, solitarii o raramente geminati, pedicellati, penduli, odorosi; calice campa- nulato, con denti brevissimi, sub-triangolari; corolla tuboloso-0b- conica, lunga 18-20 mm., a tubo porporino ed a lembo dapprima verdognolo, poi porporino , brevissimo, lungo circa 3 mm., con lobi sub-rotondi; stami più corti del tubo corollino, con filamenti pelosi alla base. —Frutto bacca globosa, leggermente solcata, grossa quanto una ciliegia, porporino-scura. state. Specie originaria del capo di Buona Speranza, naturalizzata in Terra di Lavoro, tra Castelvolturno e Mondragone, ed in Terra d’ Otranto a Lecce. Nell’ Erbario Tenoreano si conservano pure esemplari raccolti in Puglia. TRIBÙ III — DATUREE Genere Datura L. 1. Datura MetEL L. L. Sp. Pt. Ed. I. p. 179.—Bert. FI. It. v. IL p. 609.—Parl. FI. It. v. VI. p. 680.—Arc. FI. It. p. 387.—Fior. e Paol. FI. IK. v. IL p. 394.—Guss. FI. sic. v. I p. 266. — Moris FI. Sard. v. EHE: 165: Sin. Stramonium Metel Moench. Met. Pt. p. 456,—St. globo- sum Bubani. Fl. Piren. v. IL. p. 351. Icon. Fior. e Paol. Icon. FI. IH. p. 337. n. 2856. Pianta annua, densamente pubescente, fetente.—Fusto eretto, semplice in basso, ramoso dicotomo in alto. — Foglie piuttosto grandi, picciolate, ovate, acute od acuminate, quasi intere, a base asimmetrica, penninervee, alquanto glandulose.—Fiori brevemente : pedicellati, lunghi 16-20 mm.; calice tubuloso, alquanto rigontfio, a denti ineguali, triangolari, acuminati; corolla bianca, a lembo IR) = e tubo verdognoli, grande, lungo il doppio del calice, a' 10 denti acuminati.—Frutto capsula globosa, pendente, puberula, coperta di aculei brevi e tra loro eguali. — Primavera-Estate. Specie ritenuta originaria. dell’ America tropicale (V. Alp. De Candolle, Geogr. Bot. p. 785), naturalizzata, per l'Italia, nella Calabria occidentale a Tortona; in Sicilia a Messina, verso S. Ste- fano ed a Taormina; nell’I. di Pantelleria; ed in Sardegna sul Flumentosa ed a Muravera. Si crede spontanea nell’ Orto Bota- nico di Napoli. OSSERVAZIONI TERATOLOGICHE.—-Ho osservato in questa specie oltre ai fiori normali, fiori più piccoli, con lobi corollini anteri- feri (v. M. Geremicca « Sopra un caso di metam. progres. nella corolla di D. Metel » Boll. Soc. Nat. Nap. Ann. XIII, 1899). OSssERVAZIONI BIOLOGICHE.—In questa specie si rinviene un nettario in forma di cercine, di colore giallo-chiaro, che circonda l’ovario alla sua base. Esso presenta 5 sporgenze a mo’ di pic- cole unghiette. I fiori, poi, restando aperti prevalentemente di notte ed essendo lievemente olezzanti, sono destinati a pronubi crepuscolari o notturni, provvisti di lunga proboscide, quali le Sfingi, ed appunto la presenza del nettario su descritto ed ab- bondantemente secernente, ci conferma questo adattamento. 2. DarurA StraMmonIUM L. esp XPi Ediz posk09>Berts Sato. pa 6005- Parl. FI. I. v. VI. p. 676:—Are. FI. It. p. 387.—Fior. e. Paol. El. At. v. IL p. 394. — Ten. FI. Neap. v. I. p. 96. — Guss. FI. Ste. v.. I. p. 264. Sin. — Stramonium foetidum Scop. FI. carn. v. IL. p. 157. — S. vulgatum Gaert. Fruct. v. II. p. 243. Icon.—Reich. Icon. FI. Germ. v. XX. tav. 3. fig. 1.— Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 338. n. 2857. Pianta glaberrima, fetidissima, eretta, alta 3-4 dm. — Fusto fistoloso, ramoso @ rami verdi, numerosi, sparsi, patenti, dico sto- mi. — Foglie le prime piccole, lanceolate, intere, le successive ovate, acuminate, sinuato-dentate, asimmetriche alla base, pube- rule sulle nervature, glabre nel resto. — Fiori solitarii , bianchi, piuttosto grandi, lunghi 8-10 cm., eretti, odorosi; calice pentagono, un po’ rigonfio in basso, con angoli acuti sub-alati; corolla lunga .il doppio del calice, con lembo 5-dentato a denti assai larghi e terminanti in punta lunga, lesiniforme. — Frutto capsula eretta, globosa od oblunga, ottusa, puberula, aculeata con aculei eretti, So rd numerosi, sottili, fra loro eguali, quadriloculare nei due terzi in- feriori e biloculare nel terzo superiore, quadrivalve.--Semi nume- rosi, compressi, sub-reniformi, bruno-rossicci. — Estate-Autunno. L'origine di questa specie è incerta: fu ritenuta, a lungo, come proveniente dall'America; ma, più verosimilmente, sembra originaria dei paesi attorno al Mar Caspio (v. Alph. De Candolle Geogr. Bot, p. 731), e pare sia stata portata in Europa verso il secolo XV. Attualmente è naturalizzata in tutt’ Italia, comprese le isole, e si trova abbondante nei luoghi incolti e vicino le abi- tazioni, massime dove il terreno è stato mosso di fresco. Ad Ischia cresce, come risulta da numerosi esemplari osser- vati nell’ Erbario di Gussone, una forma che si allontana alquanto dal tipo, essendo pianta più piccola, poco ramosa, a corolla più corta e capsula più globosa con aculei meno robusti. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. — Anche in questa specie, i fiori restano, di preferenza, aperti di notte, presentano quindi un a- dattamento sfingofilo. Si aprono, per solito, verso le 19 o le 20, e si rinchiudono la mattina successiva, per riaprirsi ancora la sera seguente: così possono persistere più giorni. La corolla, poi, forma, quasi sempre, 5 solchi, che direttamente conducono a 5 nettaropili, lasciati fra un filamento e l’altro degli stami: per tali - nettaropili può passare la proboscide dei pronubi, i quali, quasi certamente, debbono essere grosse farfalle crepuscolari. Tuttavia in questa specie può anche avvenire l’impollinazione omogamica, effettuata dal modo di chiudersi della corolla, la quale spinge le antere contro lo stimma; prova ne è che tutti gli ovarii abbo- niscono nei rispettivi frutti. In questi, poi, le valve , aprendosi, si contorcono alquanto rivolgendosi all’esterno, e così i semi ca- dono più facilmente e son presi dal vento. Nè la disseminazione si opera tutta in una volta, ma rimanendo, per un tempo più o meno lungo, la capsula ‘aperta sulla pianta, a misura che questa, per opera del vento, si agita, i semi sono, a poco a poco dispersi. Per la biologia fiorale vedasi anche Schultz « Beitrage zur Kenntnis der Bestaubungseinrichtnngen und Geschlechtsverthei- G lung. ecc. ». 1888. p. 73. 8. Darura TATULA L. Li. Sp: Pi. Ediz. I. p.. 256. — Bert. FI. It v. IL p. (60%= Parl. FI. It. v. VI. p. 679.— Arc. FI. It. p. 387.—Fior. e Paol, Fi. It. v. II p. 394.—Ten. FI. Neap. v. I. p. 96.— Guss. FI. Sic: vw. L p. 264. ai Sin. Stramoninm tatula Moench. Met. Pt. p. 256. Icon. Reich. Icon. Fl. Germ. v. XX. tav. 3. fig. II Questa specie differisce dalla D. Stramonium, colla quale molti autori tendono riunirla come varietà, peri seguenti caratteri: Pianta più piccola. Fusto solido e non fistoloso, di colore porporino-violaceo, con punti e macchie bianche.— Foglie più piccole e più allungate, di colore verde meno cupo, con picciuoli e nervi pure colorati in porporino violaceo.— Fiori più grandi; corolla violaceo-pallida e non bianca, più espansa; antere assai più piccole, violette-scure; pistillo lungo quanto gli stami. Frutto capsula più allungata ed ovale, quadriloculare solo fin verso la metà e non fin verso i due terzi. Semi di color nero, meno rugosi. — Estate. Questa specie, assai probabilmente, è di origine Americana (v. Alph. de Candolle Geogr. Bot. p. 734), e forse della regione che intercorre tra il Messico ed il Venezuela. Pare sia stata por- tata in Italia nella seconda metà del secolo XVI, ed ha princi- piato a naturalizzarsi attorno a Bologna, ove, anche oggi, si trova abbondante. In Italia è stata altresì trovata presso Pola, nel Ve- neto, nel Trentino, nel Mantovano, nel Ravennate e presso Assisi, e nell'Orto Botanico di Napoli. 4. DATURA FEROX LL. L. Amoen:-Aca. v. IL p. 403.— Bert. FI. IH. v. IL. p. 605.— Par. EI. I. ov. VI. p. 6065. Arc. FI. It. p.:387.—Fior. e Paol, WIRE Gussoet. tte. vi Tip. 266: Sin. Stramonium feror Boc. Plant. Sic. p. 50. Icon. — Zan. Stor. Bot. tav. 29.— Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 333. n. 28358. Pianta annua.— Fusto eretto, assai ramoso, rossastro in basso, nel resto verde con punti bianchi.— Foglie lungamente picciolate, ovato-romboidali inegualmente ed acutamente sinuato-dentate, asim- metriche alla base.—- Fiori piccoli, lunghi 5-6 cm.; calice tubu- loso, 5-dentato; corolla bianca, lunga il doppio del calice.— Frutto capsula oblunga, ottusa, eretta, verde, un po’ pelosa, armata di spine assai robuste e grosse, di cui le quattro superiori molto più grandi delle altre e convergenti tra loro. Semi grossi, reni- formi, alquanto alveolati, grigi. — Agosto-Ottobre. Questa, specie è originaria della Cina (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. p. 754), attualmente si trova naturalizzata in varii luoghi della Sicilia, specie a Messina, di cui esistono esemplari DENGATCI negli Erbarii Gussoneano e Siculo, non che a Catania, dove esi- steva fin dai tempi dello Zanoni: fu rinvenuta pure presso Roma ed a Perugia. 5. DartuRA BerTtOoLONI Parl. Piarl. in Guss! El Ste: Ip. .267.— Bertoni p. 780.— Parl. FI. It. v. VI. p. 673.— Arc: FI. I. p. 387.—Fior. paoli: Ivi 511: pir94 SIin.— D. laevis. Bert. FI. It. v. IV. p. 780, non L. Pianta annua.—- Fusto eretto, semplice o superiormente ap- pena ramoso, fistoloso, solcato, glabro, violaceo in alto.— Foglie lungamente picciolate, con picciuolo canaliculato a solco tomen- toso, largamente ovali o quasi romboidee , acuminate all’ apice, lobato-dentate fin dalla base, sub-ondulate, puberule o quasi scabre, piuttosto carnosette, verdi-scure, con nervature assai prominenti nella pagina inferiore. Fiori piccoli, calice a 5 angoli sub-alati, e lembo 5-dentato; corolla bianca, lunga il doppio del calice, stami di un terzo più brevi della corolla.— Frutto capsula ovale, ottusa, puberula o glabra, inerme od appena rugoso-tubercolata, quadriloculare quasi in tutta la sua lunghezza, accompagnata dalla base del calice persistente. Semi bruni, lisci. — Settembre- Ottobre. Pianta supposta originaria dell’Abissinia, trovata nei campi della regione marittima in Sicilia: è dubbio se esista ancora colà spontanea o naturalizzata, non risultando essere stata raccolta da moderni raccoglitori. Ne ho veduti alcuni esemplari, nell’Erbario siculo di Gussone, raccolti a Romagno presso Palermo. OSSERVAZIONI MORFOLOGICHE.— Questa specie sembra sufficien- temente distinta dalla D. laevis L. e dalla D. inermis Jacq., come appare anche da due esemplari esistenti nell’Erbario di Gussone. OSSERVAZIONI TERATOLOGICHE.— (odron (Mem. Acad. Stanislas 1884. p. 211, e 1873, p. 11) ritiene che questa specie sia una semplice forma teratologica inerme della D. Stramonium. sost 917 RA TRIBÙ IV. NICOZIANEE Genere Nicotiana Tourn. 1. NicorIana RUSTICA L. u. (SPP Val p.7208.— Bert: #0. It. v. IL. p. 616. Arc. RI. It, p. 388.—Fior. e Paol. E. It. v.. IL p. 396. Icon. Reich. Icon. Fl. Germ. v. XX. tav. 5.—Fior. e Paol. Ucon. E. It. p. 338. n. 2865. Pianta erbacea, peloso-viscida.— Fusto eretto, 3-12 dm., ta- lora ramoso dalla base. — Foglie picciolate , ovate od oblunghe, ottuse, intere. — Fiori brevemente pedicellati, in racemi terminali, avvicinati in modo da formare una densa pannocchia; calice a denti brevi ed ineguali; corolla giallo-verdognola , ipocraterifor- me, ristretta alla fauce, lunga circa 2 cm. o meno, a tubo ci- lindrico-ventricoso, ed a lobi ovato-sub-rotondi, reflessi. Frutto capsula globosa. — Estate. Specie originaria dell'America merid. (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. T. II p. 735 e 849), sovente coltivata e qualche volta naturalizzata, come presso Venezia. OsseRrvazIONI BIOLOGICHE.—All’epoca dell’apertura del fiore, gli stami sono un po’ più corti dello stilo, ma poiaumentano di sviluppo, fino a raggiungere ed oltrepassare lo stimma, in modo che il polline può facilmente giungere alle papille stimmali, e così può avvenire l’impollinazione omogamica. 2. NIicoTIANA TABACUM L. L. Sp. Pt. v. Lp. 258.—Arc. FI. It. p. 388.—Fior. e Paol. Riel vi. p:,396. Icon. Reich. Icon. FI. Germ. v. XX. tav. 4. — O. Comes Mon. del gen. Nicot. in Atti r. Ist. Incorag. Napoli, sez. V, v. I, 1399.—Fior. e Paol. Icon. FI. It. p. 338. n. 2864. Pianta erbacea, pubescente, glutinosa.— Fusto eretto, supe- riormente ramoso.—Foglie sessili o brevemente picciolate, le in- feriori decorrenti, semi-amplessicauli, oblungo-lanceolate, acumi- nate. Fiori lungamente pedicellati, disposti in racemi formanti una pannocchia terminale o laterale, sub-corimbosa; calice a denti ovati o lanceolati, acuti, ineguali; corolla rosea o rossa, imbuti- forme, ventricoso-rigonfia alla fauce, lanuginosa all’esterno, a lobi =: patenti, lunga 4-6 cm.—Frutto capsula ovato-conica, inclusa nel calice. — Estate. Pianta originaria dell’ America tropicale (v. Alph. De Can- dolle, Geogr. Bot. T. II. p. 848, ed Orig. d. plant. cult. p. 111), sovente coltivata, e qua e la inselvatichita. OSSERVAZIONI TERATOLOGICHE. — Pepin (« Trasformation d. fleurs d. Tabac » in Rev. Hort 1852, p. 324) descrive alcuni fiori di questa specie con corolla dialipetala, a lobi accartocciati in modo, da sembrare, ognuno, una corolla separata, e privi affatto di stami, persistendo, tuttavia, nel centro del fiore, un pistillo normale. i OssERVAZIONI BIOLOGICHE.-—In questi fiori si trova un vistoso nettario, che secerne abbondante miele, il quale, sovente, riempie, per oltre la metà , il tubo corollino. La peluria che ricovre la base dei filamenti funziona da nettarostegio. Questi fiori possono essere visitati da imenotteri, i quali si aggrappano agli stami; 0 puranche da pronubi volitanti, come, ad esempio, la Macroglossa stellatarum. Anche in questa specie poi, avviene come nella pre- cedente, che gli stami, aumentando in lunghezza durante la fio- ritura, oltrepassano lo stimma, e possono, eventualmente , effet- tuarne l’impollinazione omogamica. 3. NICOTIANA AURICULATA Berter. È Berter in Moris FI. Sard. v. IL p. 7.— Bert. FI. It. v. IL p. 616.—Arc. EI. It. p. 368—Fior, e Paol. FI. It v. IL p. 397. Pianta erbacea. -- Fusto eretto, tomentoso-viscoso. — Foglie piuttosto piccole, alquanto coriacee, pubescenti-viscose con peli stellati, spatolate, lanceolate, acuminate, tutte auricolate alla base, amplessicauli.—Fiori eretti, a pedicelli assai robusti e molto vi- scosi, disposti in pannocchia terminale, unilaterale, bifida, corim- biforme: calice a denti ineguali, ovato-lanceolati; corolla inflata alle fauce con le lacinie del lembo largamente ovate, acuminate.— Frutto capsula ovata, ventricosa, acuta, appena più lunga del ca- lice. — Semi piccoli, di color bruno pallido, alquanto alveolati. — Estate. Questa specie è affine, ma ben distinta dalla N. Tabacum con la quale il Comes l’ha riunita, ed originaria, a quanto sem- bra, del Brasile (v. Alph. De Candolle, Geogr. Bot. v. II. p. 739), ed abbondantemente naturalizzata in Sardegna, lungo i margini dei campi. Esiste, nell’ Erbario di Gussone, un esemplare prove- niente appunto da tale isola e raccolto dal Moris. Sergi 4. NicoriANA GLAUCA Grah. Grah. Bot. Mag. tav. 2837.— Arc. FI. It. p. 388. — Fior. e ao. dev. IL pi 396: Icon.—Fior. e Paol. Icon. FI. IH. p. 388. n. 2861. Pianta legnosa alla base, glabra, glauca.— Fusto eretto, ra- moso, alto 2-3m.- Foglie lungamente picciolate, con picciuolo ci- lindrico, le inferiori inegualmente cuoriformi-ovate, le superiori ovate e lanceolate, acute od acuminate, asimmetriche alla base, intere. — Fiori in pannocchia corimbiforme lassa ; calice glabro, b-dentato a denti triangolari, brevi, ciliati; corolla dapprima verde, poi gialla, all’esterno mollemente pubescente, con tubo relativa- mente largo, sub-ricurvo, lungo 3-4 cm., alquanto ventricoso in alto ed un poco contratto alla fauce, e con lembo assai breve, diviso in 5 lobi crenato-troncati.—Frutto capsula globosa, un po’ acuta, pendente, deiscente per 4 valve, completamente inclusa nel calice. — Luglio-Agosto. Pianta originaria dell’ America merid., coltivata per orna- mento ed abbondantemente naturalizzata in molti luoghi d'Italia, specialmente presso Roma e Napoli (e qui, al Rione Amedeo ed a Posillipo), nonchè in Sicilia. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. — La glaucedine, di cui è coperta ‘ tutta la pianta, costituisce una difesa atta ad impedire che le formiche salgano sulla pianta stessa e giungano ai nettarii fiorali (v. la nota del prof. Delpino sulla funzione della glaucedine, in Milpiohia;!wv. (IV. p. 19). I fiori di questa specie, infatti, presentano un nettario a di- sco, di colore giallo-cereo, posto alla base del tubo corollino, ipo- ginico, e situato dentro all’inserzione degli stami. Il nettare, che è abbondante, si raccoglie nella porzione inferiore e più stretta del tubo corollino, la quale costituisce, per tal riguardo, una netta- roconca. La base di ciascun filamento staminale si dirige in den- tro, verso l’asse di simmetria della corolla, senza però raggiun- gerlo, formando così un gomito, e poi il filamento si porta in alto. Questi cinque gomiti, che sono un po’ più larghetti della parte dritta del filamento, formano, col loro insieme, come una volta, che ricovre e protegge la camera nettarifera, lasciando una apertura centrale, che è attraversata ed ostruita dallo stilo , e, tra filamento e filamento, un’apertura stretta ed allungata; que- ste cinque aperture, o nettaropili, fanno comunicare la nettaro- conca col tubo della corolla, di modo che, per impossessarsi del mne: nettare, i pronubi non hanno altra via che queste cinque aper- ture, attraverso cui spingono la tromba. 5. NICOTIANA LONGIFLORA Cav. Cav. Descr. p. 106.—DC. Prodr. v. ‘XIII. p. 566. Pianta annua, scabro-viscida.— Fusto semplice o sub-ramo- so.—Foglie radicali numerose a rosetta, oblungo-spatolate, sub- sinuate, acute, attenuate in picciuolo; le cauline assai minori, ses- sili, semi-amplessicauli‘, lanceolate , un po’ auricolate alla base, scabre, a margine ondulato-ciliato; le superiori lineari. Fiori in lunghi racemi lassi, estrascellari, pedicellati, sub-orizzontali, con pedicelli irsuti; calice campanulato 5-fido, a lacinie subulate, quasi eguali; corolla verdastra esternamente e bianco-purpurea interna- mente, ipocraterimorfa con tubo-cilindrico , lungo circa 10 cm., gracile, dritto, alquanto ventricoso verso la fauce, e con lembo patente, a 5 lobi sub-eguali, ovato-lanceolati, acuminati; stami 5, di cui 1, per solito, più breve, saldati per i filamenti al tubo co- rollino per tre quarti della lunghezza totale. Frutto capsula glo- boso-acuminata, deiscente per 4 valve, racchiusa nel tubo del ca- lice e sub-eguale a quello in lunghezza. — Luglio-Agosto. Pianta originaria dell’ America merid., spesso coltivata nei giardini, e di frequente sfuggita alla cultura e naturalizzata, come vicino Bologna e nell’ Orto Bot. di Napoli. OsseRvaZIONI BIOLOGICHE.—I fiori di ‘questa specie, di giorno restano quasi chiusi, sub-penduli ed inodori, mentre di notte si espandono completamente, ed allora il lembo corollino, perfetta- mente bianco, è assai visibile, anche a distanza; sì aggiunga, che solo in tale spazio di tempo, esalano un grato profumo. Il carat- tere di restare aperti solo di notte, unito alla lunghezza del tubo fiorale, c’indica esser questa una specie certamente sfingofila; impe- rocchè soltanto le sfinge a lunga proboscide, svolazzando di notte, possono giungere alla base dell’ ovario, dove si trova un disco nettarifero , in forma di anello, di colore ranciato e di aspetto cereo. TRIBU V.- IOSGIAMEE Genere Hyoscyamus Tourn. OssERVAZIONI BIOLOGICHE.— Il rivestimento viscido, che in- vade tutte: le specie di questo genere, è, certamente, un mezzo protettivo, per tener lontano molti animali fitofagi, SL gio A 1. Hyoscvamus ALBUS L. L. Sp. Pt. Ediz. I. p. 180. — Bert. FI. It. v. II p. 613. — Parl. (PI It. v. VI p. 669.—Arc. FI. It. p: 888.— Fior. e Paol. FI. I. v. IL p. 395.—Ten. FI Neap. v. Lp. 98.—Guss. FI. Ste. REST rp. + 266: Icon.—Reich. Icon. Fl. Germ. v. XX. tav. 2.—Fior. e Paol. Icon. Fl. It. p. 338. n. 2860. Pianta annua o raramente perenne.—Fusto erbaceo, ramoso, villoso-irsuto, viscido. — Foglie tutte lungamente picciolate, con lembo un po’ decorrente sul picciuolo, cordate, repando-dentate, sub-rotonde, ottuse, le fiorali spesso intere. — Fiori quasi sessili; calice campanulato, irsuto, decistriato, con denti largamente sub- rotondo-ovati, acuti; corolla giallo-pallida, verde nella fauce, e colle lacinie del lembo ineguali, brevi, sub-rotonde, le tre supe- riori più grandi.—Frutto contenuto nel calice accrescente.—Gen- nato-Dicembre. Pianta comune nei ruderi, ai margini delle strade e lungo le spiagge di tutta la penisola, più abbondante nell’ Italia cen- trale, meridionale e nelle isole, che non nell’Italia settentrionale. OsseRvAZIONI BIOLOGICHE.— Al principio della fioritura gli stami sono più corti dello stilo, ma, in seguito, aumentano rapi- damente di sviluppo, in modo che gli stimmi stessi possono, con faciltà, toccare le antere, e così può avvenire la impollinazione omogamica. Una prova di ciò si ha dal fatto che tutti gli ovarii abboniscono in frutto. 2. HvoscyvAmus MmaJOR Mill. Mall'“Deet. n. 2/—Parl. EVI vi VI. pi 670.—Fior. e Paol. FI. It.-v. IL p. 396.—-Ten. Séilloge, p. 588. Sin.— Hy. vartans Vis. Fl. Dalm. v. IL p. 233. Icon.— Vis. FI. Dalm. tav. XXIV. Pianta perenne.-- Fusto suffruticoso alla base, abbondante- mente villoso-lanuginoso. — Foglie un po’ carnose, tutte lunga- mente picciolate, sub-cuneifoîmi 0 quasi troncate alla base ed un poco asimmetriche, in qualche esemplare alquanto cuoriformi, ovate, smuato-lobate, con lobi ottusamente dentati, ottuse, anche le fiorali più o meno sinuato-dentate.— Fiori ascellari in racemi fogliosi unilaterali, tutti brevemente pedicellati; calice luteo-vi- rescente, tubuloso-campanulato, mollemente peloso, con lacinie triangolari, larghe, patenti, acute, mutiche, quattro volte più brevi del tubo; corolla a lembo irregolare, coi 3 lobi superiori più grandi e piani, gialla, con la fauce interna atro-purpurea; stami alquanto declinati verso il basso ed alla fine rialzati. — Frutto piccolo, contenuto nel calice acerescente , villoso, non membranaceo.— Gennaro- Dicembre. Questa specie si trova abbastanza frequente nell'Italia me- ridionale e specialmente nel Napoletano. Nell'Erbario di Gussone esistono esemplari d'Ischia ed altri del Fusaro. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. La colorazione atro-purpurea della fauce corollina può essere un mezzo per meglio dirigere i pro- nubi nella loro visita. 3. HyoscyAMus NIGER L. LL. Sp. Pi. Ediz. I. p. A79-— Bert. El Iv. IL p. 6182 Parl 9. It:-voVI.p:.667.— Arc. Hl.- It p..887=Fiofe/Pagl Fi. It. v. IL p. 395.— Ten. FI. Neap. v. IL p.-98.- Guss. dI. Stc:ty. apx 26b: Sin. Hy:vulgaris Bub: El. Pirens va Li psdt. Icon. Reich. Icon. FI. Germ. v. XX. tav. 2. fig. IL — Fior. e Paol. Icon. Fl. It. p. 338. n. 2859. Erba mollemente acquoso-viscosa, pelosa, fetida.—Fusto eretto, cilindrico, semplice o ramoso.—Foglie flaccide, bislunghe, acumi- nate od acute, simuato-dentate, con denti poco numerosi, acuti, sub-orizzontali, le superiori semi-amplessicauli e semi-decorrenti.— Fiori quasi sessili, eretti, in spiga terminale semplice, unilaterale, ricurva, fogliosa; calice urceolato , con lembo 5-fido, reticolato- venoso, persistente; corolla giallo-pallida, con denso reticolo di nervature porporine e col fondo dello stesso colore.—Frutto piut- tosto grande, cinto dal calice persistente, villoso in basso e pe- loso-1rto nella metà superiore, alquanto reticolato-venoso.—Aprile- Luglio. Pianta assai frequente nei ruderi e nei luoghi pingui intorno all'abitato, sparsa per tutt’ Italia. OssERVAZIONI BIOLOGICHE. — In questi fiori il nettario è pro- tetto da un nettarostegio formato dai peli, che si trovano abbon- danti alla base degli stami; questi peli lasciano tre sole aperture o nettaropili, per cui può passare la proboscide del pronubo; le venature della corolla, poi, possono considerarsi come nettarindici. Varietà — Nell’Erbario Tenoreano ho riscontrato un esem- plare raccolto negli Abruzzi, e riferito dallo stesso Tenore alla Sg] — varietà agrestis Kit., che differisce dalla specie , essendo pianta più gracile, sempre annua, con caule semplice e pauciflora. Ho poi osservato, nell’ Erbario Gussone, una forma che si allontana alquanto dal tipo, e che proporrei chiamare varietà Blattariaefolius, per la singolare somiglianza che hanno le sue fo- glie con quelle del Verbascum Blattaria. Queste foglie sono meno molli, largamente amplessicauli alla base, profondamente sinuato- dentate, con un numero assai maggiore di denti stretti, sub-acuti, tutti volti verso I apice e non orizzontali. I fiori pure sembrano più grandi e meno reticolato-venosi. Gli esemplari di questa for- ma, contenuti nell’ Erbario Gussone, furono raccolti a Castel di Sangro, in Maggio. Nell’ Erbario Siculo dello stesso Gussone, esistono esemplari di questa specie, raccolti tra Caltanisetta e Valle Lunga, alle Pile di Miceli, i quali ne differiscono per la corolla del doppio più grande, più intensamente colorata, e per il calice maggiormente villoso. Questa forma sembra far passaggio al vero /Hy. reticulatus. 4. Hyoscyamus auRICULATUS Ten. Ten. FI. Neap: v. III. p. 222.—Bert. FI. It. v. II p. 615.— Parl. FI. It. v. VI. p. 679.—Arc. FI. IL p. 387.—Fior. e Paol. ISS ID pi895. Icon. Ten. FI. Neap. tav. 219. Pianta annua. — Fusto eretto, semplice, poco villoso od ap- pena pubescente. — Foglie inferiori e medie picciolate , troncate alla base, col lembo appena decorrente sul picciuolo, accompa- gnato da due larghe orecchiette foliacee, stipoliformi, semilunari, amplessicauli, ed inoltre gradatamente dentato, con denti orizzon- talmente divergenti, acuti, interi ; foglie superiori di eguale forma ma brevemente picciolate o sessili, amplessicauli. — Fiori breve- mente pedicellati; calice tubuloso-campanulato 5-fido, a denti larghi, sub-membranacei, lungamente mucronati; corolla giallo- verdastra reticolata di violaceo , con fauce violaceo-scura , più lunga del calice, largamente campanulata, a lobi ovali, ottusi. — Frutto piccolo, racchiuso nel calice accresciuto, villoso alla base e glabro nella metà superiore, con lobi espansi. — Estate. »+ Specie propria del Napoletano, ben differenziata dall’ _Hy. niger. Se ne trovano, nell’Erbario Gussone, esemplari raccolti ad Avellino, in piena fioritura; e nell’Erbario Tenoreano, altri rac- colti pure ad Avellino, alle falde del M. Calvanico, e presso Si- rino, tra i due principati. OssERVAZIONI MORFOLOGICHE.—Questa specie differisce, parti- ‘ colarmente, dall’ Hy. riger, per la forma assai caratteristica delle foglie troncate alla base, e con denti semplici, grandi, eguali fra loro. Negli esemplari autentici dell’ Erbario Tenoreano, la corolla è costantemente ed elegantemente reticolata di violaceo, e non concolore, come lascerebbe supporre la fig. 219 della Flora Na- poletana dello stesso Tenore. La detta fig. non presenta chiara- mente il carattere delle foglie superiori, che non sono in verità tutte sessili. ° 5. Hvyoscvamus RETICULATUS L. pr PE: pi3200 —Hior.ve Paol. Ii: v.. dp 99 Pianta erbacea, piuttosto piccola, viscoso-pubescente.—Fusto semplice od appena ramoso, assai villoso, pauciftloro.—Foglie pic- cole, le inferiori picciolate, ovato-lanceolate, acuminate, simuato- pinnatifide, con denti poco numerosi volti verso l’apice della fo- glia e perfettamente decrescenti, cuneate alla base, decorrenti sul picciuolo, il quale è un po’ slargato-auricolato in basso ed am- plessicaule; foglie superiori sessili o quasi, ovato-acuminate, den- tate, acutissime, ristrette alla base, villoso-ciliate.—Fiori solitari, ascellari, brevemente pedicellati ; calice accrescente, col lembo membranaceo, 5-fido, a lacinie triangolari; corolla grande, 4 volte più lunga del calice, giallo-rossastra, reticolata di vene più scure, con fauce porporina, ventricoso-campanulata.—Frutto piccolo, con- tornato dal calice accrescente, villoso in basso, peloso in alto, con denti mucronati a mucrone sub-recurvo , reticolato-venosi. Estate. Questa specie è originaria di Candia, di Siria e di Egitto, e si trova avventizia in Sicilia, presso Messina. Genere Scopolia Jacq. Ho collocato, come la maggior parte degli autori, questo ge- nere, in vicinanza del genere Hyoscyamus, perchè ha per frutto una pisside; ma dai caratteri delle foglie e del fiore sembra che esso avvicini assal il genere Atropa, e forse, nella filogenesi delle Solanacee, non sarebbe erronea censiderare Il’ Afropa come una derivazione della Scopolta, però a frutto divenuto polposo e di conseguenza indeiscente, in rapporto alla disseminazione orni- tofila. ped 5 SA 1. ScoPoLiA cARNIoLICA Jacq. Jacq. Obs. Bot. v. I. p. 32.—Parl. FI. It. v. VL 672.—Arc. Fl. It. p. 388.—Fior. e Paol. FI. I. v. IL p. 395. Sin. S. Atropoides Schults.—Hyoscyamus Scopolia L.—Atropa carniolica Scop. Icon. Reich. Icon. Fl. Germ. v. XX, tav. l1.—Fior. e Paol. Jeon. FI. It- p. 338. n. 2861. Pianta perenne, affatto glabra. s'innalzano polloni alti 2-4 dm., pressochè semplici. — Foglie in- feriori quasi ridotte a squame sessili, lineari, oblunghe; le supe- riori bene sviluppate, ovato-od-obovato-bislunghe, intere o sinuato- dentate, gemimate, di cui una più grande ed una pù piccola. — Rizoma orizzontale, dal quale Fiori ascellari, piuttosto grandi, rosso-giallognoli o verdeggianti, pendenti, portati da pedicelli filiformi, lunghi 2-3 cm.; calice breve largamente campanulato ; corolla campanulata, con lembo quasi continuo, lunga circa 2 cm., a preflorazione imbricata-induplicata; stami dritti, piuttosto lunghi.—Frutto pisside, rinchiuso nel calice accrescente e membranaceo. — Aprile-Maggio. ‘Specie alpina propria, per la regione italiana, dei boschi della Carniola. OssERVAZIONI BIOLOGICHE.—Questi fiori sono proterogini, ed in un primo periodo lo stimma occupa il mezzo del fiore, e le antere si trovano addossate alla corolla; nel periodo successivo, lo stimma si ritira verso la corolla e le antere vanno a pren- dere il posto prima occupato da quello. VARIETÀ. — Di questa specie è stata indicata anche una va- rietà, differenziata per le foglie più brevi, e per la corolla ver- dognola: fu chiamata S. Hladnikiana Fleischm, ed abita gli stessi luoghi. SOTTOFAMIGLIA II — CESTRINEE TRIBÙ I. — CESTREE. Genere Cestrum L. 1. Cestrum Parqui L'Herit. iliHent: Step. Prive p. 78.2 Fior. ‘Paol: Fi Il vi IL pi 997- Icon.—L' Herit. .Stirp. Pi. tav. 36.— Fior. e Paol. Icon. El. It. p. 339, n. 2865. Masi 2) pg Arbusto ramoso fin dalla base. — Fusto eretto, alto fino a 2 m.—_Foglie brevemente picciolate, lanceolate, acuminate, intere, glabre, puzzolenti, con le due prime foglioline, od una sola, delle gemme ascellari sviluppate, piccole, falcate o luniformi, si- mulanti stipule. — Fiori in corimbi, brevemente pedicellati, odo- rosì di notte; calice 5-dentato ; corolla giallo-verdognola, lunga 18-20 mm., tubuloso-imbutiforme, a tubo clavato in alto, e lembo b-lobato a lobi lanceolati, prima patenti, poi reflessi, a preflora- zione conduplicata.—Frutto bacca ovale, violaceo-scura, in parte contornata dal calice. — Estate. Pianta originaria dell'America merid., abbondantemente na- turalizzata in Sicilia e, specialmente nel Napoletano, ove si col- tiva anche per siepi. OSssERVAZIONI TERATOLOGICHE—Ho visto (L. Marcello « Sopra alcuni casi di teratologia vegetale » in Boll. Soc. Nat. Nap. 1903 p. 41) in piante di questa specie, raccolte in prossimità di Cava dei Tirreni, alcuni casì di diminuzione o di aumento nel numero delle parti componenti ciascun verticillo fiorale (ad eccezione del gineceo), cambiandosi l'architettura pentamera in tetramera od esamera. Osservai, inoltre, anche sinansie, avverandosi la salda- tura, più o meno completa, di due fiori. 3 Per aberrazioni fillotassiche di questa specie, si veda Del- pino « Teoria generale della fillotassi » p. 281. OssERVAZIONI BIOLOGICHE.—I fiori di questa specie presentano la particolarità che il loro odore, in luogo di essere continuo, è limitato ad ùn certo periodo della notte, e ciò in modo regola- rissimo. Questo fatto, di sicuro, è in relazione con pronubi not- turni, forse sfing? od altre lepidotteri, come PRalene, ecc. , che dovranno effettuarne la staurogamia. Varietà — Presso Napoli ho riscontrato una varietà di questa specie, i cui fiori, molto più piccoli, hanno corolla a lobi più stretti ed allungati. Nell’ Erbario Tenoreano , poi, ho osservato alcuni esemplari di Cestrum Parqui aventi la sopradescritta particolarità delle pic- cole foglioline auricoliformi alla base del picciuolo, certamente raccolti nelle vicinanze di Napoli, e distinti col nome di C. au- riculatum. Corrispondono essi, in realtà, alla figura del L'Herit., Tav. 835, salvo le foglie alquanto meno larghe; non credo però si possano distinguere specificamente: al massimo sì potranno ritenere una varietà affinissima alla specie. Osservazioni intorno ad alcune specie di Heteroco- tylea -- Nota del Socio Fr. Sav. MonTICELLI. (Tornata del 13 dicembre 1903). I. Sull’ Anoplodiscus richiardii Soxsino (1890). Il compianto Prof. Sonsino ha descritto, nel 1890, un nuovo trematode da lui rinvenuto sulle branchie del Pagrus orphus, che distinse col nome generico di Anoplodiscus richiardit e che, a suo avviso, poteva trovar posto nel sistema fra i Tristomi ed i Gyrodattili !) Il Sonsino non ha data alcuna figura di que- sta nuova forma e, finora, non mi consta essa sia stata da altri ritrovata. Il Saint-Remy, nella sua « Synopsis », la colloca in fine dell’ opera, tenendo appunto conto della sua posizione ancora incerta nel sistema. Fa, pertanto, osservare (nota a pag. 7) che il n. g. del Sonsino potrebbe, in generale, confondersi con l Udonella, dalla quale, per altro, si distingue per l'armatura genitale e per l'habitat che è diverso da quello delle Udonelle 2). Nel prospetto generale dei Trematodi, da me dato nel 1892, come appendice al lavoro su Cotylagaster, ritenni l’ Anoplodiscus come un genere ben caratterizzato e che poteva trovar proprio posto fra i Gyrodattili, accanto al genere Calceostoma ). Più tardi lo stesso Saint-Remy nel « Complement du Synopsis » *) colloca, di fatto, il genere Ano- plodiscus fra i Gyrodactylinae , accanto ai generi Calceostoma e Fridericianella , interpretando la ventosa posteriore come « un plateau fixateur inerme ». Certo la descrizione del Sonsi- no « disco posteriore ventosiforme inerme » se non giustifica questa interpetrazione del Saint-Remy., per lo meno, la spiega; perchè, da essa, non si ricava che sì tratta di una vera 1) Soxsmo, P. — Di un nuovo Trematode raccolto dal Pagrus orphus : Pr. Verb. Soc. Tosc. Se. Nat. 16 Nov. 1890. -- _ D'un nouveau Trematode recueilli sur le Pagrus orplus: Arch. Ital. Biologie, 1891, pag. 147-148. 2) Sant-Remy, G. — Synopsis des Trematodes monogéneses: Rev. Bioloy. Nord France, 3° Année, 1891, pag. 75, N. 41. 3) MonmiceLLI, Fr. Sav. — Cotylogaster michaelis e Revisione degli Aspido- bothridae. Festsch. f. Leuchart, 1892, pag. 213. Nota 9. 4) Sarnr-Remy, G.--Complement du Synopsis des Trématodes monogénéses Arch. Parasit. Tome 1, 1898, pag. 524. LET ventosa posteriore. E, d’altra parte, le rassomiglianze che, secondo il Sonsino, l’Amoplodiscus ha con Calceostoma, lasciano, appunto, adito al dubbio che non si tratti di una vera ventosa, ma di un organo analogo al disco (plateau fixateur) di quel genere. Cosicchè la posizione sistematica dell’ Anoplodiscus rimaneva tut- tora dubbia; perchè non si avevano ancora sufficienti dati per poter individualizzare il ge- nere in tutte le sue caratteristiche. Un esemplare di questa nuova forma mi, fu gentilmente comunicato in esame dal Son- sino a mia richiesta col permesso di studiarlo in tutti i suoi particolari. Ciò che feci traendo il miglior partito possibile dal preparato, in glicerina, inviato dal Sonsino; preparato, per altro, reso molto trasparente ed in molti punti poco chiaro. I disegni e le osservazioni fatte rimasero inedite, per mio uso personale, sem- pre in attesa che il Sonsino si fosse deciso a completare la prima descrizione data; ciò che non ha più fatto. Ora, dopo la sua morte, rie- saminati, per la mia revisione sistematica degli Eterocotilei !), gli appunti allora presi, credo opportuno di pubblicare i disegni e le osserva- zioni fatte sul preparato autentico (tipo) di Aro- plodiscus richiardiù per completare le caratteri- Fio. 1 stiche delgenere, ed aggiungere quel tanto sulla DE 5 î 9 . « Anoplodisens richiar. organizzazione della specie che il preparato dii. <15 (da un prepa- rato originale del Son- 3 } sino). allo scopo di precisare in certo qual modo, in permetteva di ricavare. E ciò principalmente base ai dati acquisiti, la posizione sistematica del genere e per- chè possa meglio riconoscersi. Dalla Fig. 1, sì può rilevare la forma del corpo di Ano- plodiscus, com’ esso si mostra nel preparato, leggermente schiac- ciato: essa ricorda molto , nelle sue linee generali, quella di una suola, a punta molto ristretta (estremità posteriore del cor- po). Nella estremità anteriore, subtroncata , slargata, si osserva- no, ai due lati, due organi marginali, che hanno l'aspetto che è fedelmente ritratto così nella Fig. 1, come nella Fig. 2 (nîag- giormente ingranditi). Sono gli organi che il Sonsino chiama 1) MoxntIceLLI, FR. SAv. — Per una nuova classificazione degli Heterocoty- lea: Mon. Z. It. (Rend. Conv. Z. Rimini), Anno 14, pag. 234. botri (« due botri piuttosto che ventose all’ estremo anteriore »). Della loro vera natura non è possibile rendersi esatto conto; ma, certo, non possono interpretarsi nè come ven- tose, nè come botri, come vorrebbe il Sonsino: essi ricordano, invece, in certa guisa, quanto | sì osserva nella estremità ante- riore di Merzzocotyle *). Va, per- tanto, osservato che, come al- trove già ho fatto rilevare *) Fig. 2. Estremità anteriore di Ar0p/odisens richiar- non sl possono riconoscere con dii. >< 51. certezza delle glandole cutanee anteriori; ciò che non permette, per ora almeno, asserire di fatto che questi organi rappresen- tino fascetti di dotti escretori di glandole, come in Merzzocotyle, e certo il loro aspetto non lo esclude , anzi lo lascia supporre. L’estremo posteriore del corpo si termina in una piccola ventosa, sessile, scodelliforme, ventrale, a margine cerciniforme, ispessito; che è. come si vede, proprio una ventosa, e per nulla paragona- bile al disco di Calceostoma, e non può, quindi, in- terpetrarsi come tale, come fa il Saint-Remy. Nel terzo anteriore e molto in avanti, sì aprono, sul mezzo del corpo, gli sbocchi dei genitali: nell’orifi- zio maschile si scorge un pene chitinoso (cirro) che sì presenta all'aspetto come è disegnato sulla Fig. 3: non si riusciva, dal preparato, a constatare lo sbocco all’e- sterno di ciò che il Sonsino indica come vagina con sbocco a sinistra. Il faringe, piccolissimo , si trova collocato molto » o - °°. n rd innanzi: a breve distanza del margine anteriore sì apre, Fig. 8. di fatti, la bocca molto piccola ed appena visibile, che Armatura ge- nitale maschile di 4. richiar. dedurre, è un sacco unico, allungatissimo, che si estende dii.<95. immette nel faringe: il tubo digerente, da quanto si può fino nell’estremo del corpo, come pare, fin dove giungo- no i vitellogeni. Quanto agli organi genitali, essi, come ha bene osservato il Sonsino, sono rappresentati: da un piccolo testicolo uni- co, sferoidale, allogato nella linea mediana del corpo e situato proprio alla fine del primo terzo della lunghezza totale di questo; da un ovario piccolissimo posto innanzi al testicolo , alquanto spostato a sinistra della linea mediana; e da un vitellogeno a 1) ConFoNTAINE, P. — Le genere Merizocotyle (Cert): Arch. Biologie. Tome (997 pag! 332, Ple 1% fi 27. 2) MonricenLIi, Fr. Sav. —Di alcuni organi di tatto nei Tristomidi: V. que- sto Boll. Vol. 5, pag. 108, Nota 3. — 68 — piccoli acini, numerosissimi, estesi per quasi tutto il corpo, che si arrestano anteriormente all'altezza delle aperture genitali e poste- riormente poco prima dell’ inserzione della ventosa posteriore : i vitellodutti trasversali sì originano dai longitudinali innanzi il te- sticolo e si fondono nel loro incontro, formando un grosso e di- stinto ricettacolo vitellino, che s’interpone, ventralmente, fra ovario e testicolo (Fig. 1). La specie misura (secondo il Sonsino) da 5-7 mill. in lunghezza. Da quanto sono venuto esponendo si rileva facilmente che le affinità di Anoplodiscus con Calceostoma ammesse dal Sonsino cadono di fatti: nè, d’altra parte, il genere Anoplodiseus, che, per altro, resta un genere bene caratterizzato, può ritenersi una forma intermedia fra Tristomi e Girodattili, come voleva il Sonsino, né tampoco, un Girodattilide, come da prima ho creduto, e come con- clude di fatto il Saint-Remy, per la erronea interpetrazione da lui data della ventosa posteriore: e tanto meno può essere ascritto agli Udonellidi, come fa il Perrier senza addurne ragione 1). Da tutte le caratteristiche generali esposte si ricava che Amoplodiscus rientra nell'antico grande gruppo dei Tristomi e per l'assenza di vere ventose anteriori, come per la disposizione delle aperture genitali, deve ascriversi ai Monocotilidi e potrebbe trovar posto accanto a Lophocotyle e Merizocotyle. Il Taschenberg per questo gruppo creò la sottofamiglia M o- nocotylinae, accettata da me ?), dal Braun *) e dal Saint- Remy 4). Nel 1892, per le conoscenze acquisite su queste forme, osservai che non mi pareva più sostenibile la aggregazione di queste forme ai 7yistomidae e proposi per essi di formare una famiglia a parte e distinta dai Tristomidi, ed a questa equiva- lente come a tutte le altre degli Heterecotylea ®). La mia proposta, accolta dal Braun 5) e recentemente anche dal Pratt ?), è stata, come __ 1 PerriIeR, E. Traité de Zoologie, pag. 1806. (Tribù Udonellinae. Anoplod?- scus Sonsino different des Udonella par la presence d’ une spicule genital). 2) MonmiceLLI, FR. SAv. — Saggio di una Morfologia dei Trematodi, Napolt, 1888, pag. 38-97. 3) Braun, M. — Bronn’s Klassen. ecc. Vermes ecc. pag. 530. 4) Samt-Remy, G. — Synopsis ecc. pag. 6. 24. 5) MonticeLLI, FR. Sav.-— Cotylogaster ecc. op. cit. pag. 213, Nota 4. 6) Braun, M. — Bronns Klassen ecc. p. 890. *) Pramr, H. S.-- North american invertebrates. XIII. Trematodes, Part I. The Heterocotylea or monogenetie forms: Amer. Nat. Vol. 34, N. 404, 1900. =: vedo, del tutto dimenticata dal Saint-Remy nel suo Complemento della Synopsis dei trematodi monogenetici, considerando egli an- cora i Monocotilidi come una sottofamiglia dei Tristomi !). Ma il concetto di separare queste forme dai Tristomi si è fatto strada, ed affermato, e già in alcuni trattati di zoologia sono considerati come due gruppi distinti *). Colgo ora l'occasione per insistere sulla mia antica proposta, perchè lo studio che si è venuto facendo dei Monocotili e l’aggrega- zionea questi di nuove forme (generi) hanno sempre più dimostrato come essi si discostino, per tutta la loro organizzazione, dai Tri- stomidi. Che, anzi, la famiglia dei Morocotylidae, da me proposta nel 1892, accoglie ora forme così diverse, che è già suscettibile, a sua volta, di una partizione in gruppi, o sottofamiglie, secondo le reciproche affinità dei singoli generi che la compongono. Alla famiglia dei Monocotylidae, dall’ esame della descrizione e delle figure date dal Goto 3), sono condotto a concludere debba anche ascriversi il suo n. gr. Dionehus (agassizii). Secondo io penso, la famiglia Monocotylidae Taschenb. po- trebbe, ammesso il principio di una suddivisione, ripartirsi, come ho proposto 4), nelle seguenti sottofamiglie, che possono così som- mariamente caratterizzarsi : 1. Monocotylinae. Montie. 1903. Bocca larga, terminale, ventosiforme, Ventosa posteriore grande, terminale, con raggi muscolari convergenti al centro ed uncini a paia genere Monocotyle-Taschenberg, 1878. 2. Pseudocotylinae. Montic. 1903. Bocca piccola, anteriore, terminale. Ventosa posteriore piccolissima, senza raggi, nè uncini. genere Pseudocotyle Van Bened. Hesse 1863 (Microbothrium O1- son) 7). 1) Samt-Remy, G. — loc. cit. pag. 522-540. 2) PerriEr, E. — Zoologie. loc. cit. (Tribù Monocotylinae). Bengam, BL. W. Lankester's Traitise on Zoology. Part IV. Platyhel- mia, ecc. pag. 50. 8) Goro, S. — Notes on some exotic species of ectoparasites Trematodes: Journ. Coll. Sc. Tokyo, Vol. 12, pag. 286-291, Plt. 21, fig. 19-22. 4) MonticeLLI, Fr. SAv. — Per una nuova classificazione ecc., loc. cit. 5) Sulla sinonimia di Microbothrium con Pseudocotyle rimando a quanto ho detto nella nota 3 a pag. 213 del citato mio lavoro su Cotytogaster (1892) ed = o —- 3. Calicotylinae. Montic. 1903. Bocca mediocre, imbutiforme, anteriore, ventrale. Ventosa posteriore me- diocre, con raggi muscolari spessi e larghi convergenti in un anello muscolare centrale, e con uncini a paia, forti e robusti. genere : Calicotyle Diesing, 1850. 4. Anisocotylinae. Montic. 1908 Bocca piccola anteriore, ventrale : all'estremo anteriore del corpo, dai due lati, eli sbocchi di numerose glandole caratteristicamente disposti. Ventosa ’ & 8 I posteriore di varia forma e grandezza, con o senza raggi; con o senza uncini. "» generi: Anoplodiscus Sonsino, 1890 — Merizocotyle Cerfontaine, 1898— Dionchus Goto, 1899— Lophocotyle Braun, 1896 — Lin- tonia Monticelli, 1903 1). Di queste sottofamiglie, la quarta, più numerosa in generi, comprende forme molto diverse fra loro, che, per altro, si distin- guono tutte insieme da quelle delle altre sottofamiglie per il carat- tere, comune a tutte, di un apparecchio glandolare anteriore, che tiene, per così dire, il posto delle due ventose anteriori dei Tri- stomidi, ora diffuso come in Diorchus, ora più 0 meno localizzato come in Merizocotyle, Lophocotyle, Anoplodiseus, che manca negli altri generi della famiglia. Perchè, pertanto, nei varii generi di questa sottofamiglia è molto diversa la forma ed il modo di pre- a quanto ho precedentemente discusso in proposito (pag. 127-128, Nota VIII) nell’altro mio lavoro (Di alcuni organi di tatto ecc.) innanzi citato, concludendo che il g. Microbothrium non possa ritenersi genericamente distinto dal gen. Pseudocotyte, come vuole il Saint-Remy, seguito oggi dal Pratt (op. cit.) e da alcuni trattatisti. Tenendo presente quanto appunto dicevo nella discussione ora ricordata, tutt’ al più, il Microbothrium potrebbe considerarsi come un sot- togenere del gen. Pseudocotyle. Ciò ammesso, conseguentemente, dovrebbe per il Pseudocotyle minor Montic. crearsi un altro sottogenere, Leptocotyle (n). Il genere Pseudocotyle resterebbe, quindi, suddiviso nei tre sottogeneri : Pseudocotyle (ss) --Microbothrium— Leptocotyle. 1) Avendo potuto esaminare la Nifzschia papillosa Linton, per cortesia del- l’autore, ho avuta la certezza del dubbio sortomi dalla descrizione e dalla fi- gura da questi data (Notes on Trematode parasites ot fishes : Proced. U. S. N, Mussum, Vol. 20, pag. 508, Pit. 14 fig. 1-6) che non fosse una Nitzschia. Que- sto trematode rappresenta, infatti, il tipo di un caratteristico n. g.—che chiamo Lintonia dedicandolo al Linton— della famiglia dei Monocotylidae, che trova suo posto appunto fra gli Anzsocotylinae. (Nota aggiunta durante la stampa). 3 peri sentarsi della ventosa posteriore, ho proposto per essa la designa- zione di Anzsocotylinae *). II. A proposito dell’ Acanthocotyle verrilli (ovo. Il Goto ha descritto, nel 1899, col nome di A. verrilli una nuova specie del genere Acanthocotyle, raccolta dal Prof. Verrill sul dorso e sul ventre di una Razza (di specie indeterminata) e da questi concessagli in istudio. La descrizione e la figura è ri- cavata da un unico esemplare preparato in toto: a questo fatto devo attribuire alcune divergenze d’ indole generale fra le mie osservazioni e quelle del Goto, che vanno messe in rilievo e chia- rite da un esame critico. Il Goto, per altro, citando, in nota, il mio lavoro su Acan- tocotyle *), pervenutogli durante la stampa del suo, a proposito delle dette divergenze lealmente osserva: « As stated in the text, my osservations were made on a single mounted speci- men , and although I believe them to be in the main correct, stil examination of serial sections is in all similar case exceedingly desirable. I must therefore leave my statement to be confirmed or rectified by. somebody having sufficient material ». Dall'esame della figura e dalla descrizione dell’ A. verrz/l2 si ricava che evi- dentemente questa è una specie distinta dalle altre da me de- scritte per molte caratteristiche proprie, come l’ aspetto generale, la ventosa posteriore e la forma degli uncini di questa, per i testicoli, per i numerosi vitellogeni. Essa differirebbe ancora dalle altre specie pel modo di comportarsi della porzione termi- nale dei condotti genitali. Ma l esperienza fatta, provandomi la difficoltà incontrata per giungere a bene determinare lo sbocco dei genitali nelle mie specie, pur avendo molti esemplari a mia disposizione, mi conduce a concludere, dall’ esame della figura del Goto, che, sull’unico esemplare, preparato 7 toto, non avendo egli potuto rendersi esatto conto del modo di sbocco e dei rap- porti reciproci dei condotti terminali dei genitali, ha riconosciuto delle differenze in molti punti importanti fra le sue osservazioni e le mie, che, di fatti, non risultano nella sua specie. Perchè 10, interpetrando la sua figura , facilmente ricavo da questa che, salvo differenze specifiche di modalità , gli sbocchi dei genitali si comportano in A. verrei, fondamentalmente, come in tutte 1) Da è&vtgos, diverso. 2) Op. cit. pag. 283. Br; a le altre specie del genere. Del resto , lo stesso Goto scrive che « The terminal portions of genital ducts could not be satisfa- ctoryly made out in the single species at my command » ; ed io son convinto che lo studio di nuovi esemplari proverà la esat- tezza delle mie conclusioni. E da questo studio risulterà ancor: che, anche nell’A. verri/li, lo sbocco dell'utero trovasi, come ho dimostrato in tutte le altre specie, a sinistra della faccia ventrale !), e non a destra come lo disegna il Goto ; che, indotto in errore dalla mia prima figura di A. Zobianco?, pubblicata nel 1890 3) e ri- prodotta dal Saint-Remy ?), ha evidentemente scambiato il dorso col ventre. Il che, per altro, può facilmente accadere, nei preparati in toto specialmente, perchè la grande mobilità, sul suo pedun- colo, della ventosa posteriore, fa sì che questa, potendo rivolgersi dorsalmente, nel fissare il preparato, spesso rimanga ripiegata sul dorso. Ciò che ho potuto constatare nel ripetuto esame di molti individui che ho fatto, insieme a quello delle sezioni, per diri- mere l'equivoco nel quale, io stesso, ero incorso nella mia prima nota (1890), e per stabilire in modo certo e sicuro che l’ aper- tura femminile trovasi a sinistra della faccia ventrale *). A. meno che, nella osservazione del Goto, non debba riconoscersi un caso di quelli che il Cerfontaine chiama « renversement des organes » ?). E ciò, dato che sia, l'inversione sarebbe totale, perchè non limi- tata alla posizione dei soli organi, ma anche a quella dei con- dotti e degli sbocchi esterni. Il Goto, constatando che io descrivo delle ventose anteriori nelle mie specie di Acanthocotyle, scrive « but there is none in the new species and their places are occupied by two invaginations of investing membrane of the body, in which open numerous unicellular grands. The invaginations are very narrow and deep, and appear like slits in mounted specimens...... There is one com- pact group of these gland cells for each invagination , lying between the pharynx...... their necks run in a bundle and their thickned terminal portions from a pear skaped mass. The latter 1) Op. cit. pag. 81. 2) MontIceLLI, FR. SAv.—Note elmintologiche. I-Nota preliminare sul ge- nere Acanthocotyle: Boll. Soc. Nat. Napoli (1) Vol. 4, 1890, pag. 190-191 (3. incisioni). 8) Samt-Remy, G. — Synopsis, ecc. pag. 23, Ple. 10, fig. 8. 4) MonticeLLI, FR. SAv. - Il genere Acanthocotyle: Arch. Parasit. Tome 2. pag. T5, Tav. 1-3. 5) CERFONTAINE, P. — Contribution a l’étude des Octocotylides. V.—Les On- chocotylinae: Arch. Biolog. Tome 16, 1899, pag. 448. SRO has problably mistaken for a sucker by Monticelli: for I find an exactly similar arrangement in A. lobvancoi a few specimens of wich have been kindly sent me in exchange by. Prof. Mon- ticelli ». Nel mio lavoro su Acanthocotyle , pervenuto al Goto, come si è visto innanzi, mentre correggeva le bozze del suo, ho dimostrato con figure d’ insieme e di sezioni la presenza e la struttura delle ventose anteriori nelle mie specie di Acanthocotyle. In esso è provato come queste possano variare di forma e gran- dezza nelle varie specie e come ancora « il contorno della loro cavità, come quello esterno, è sempre irregolare , specialmente in A. lobiancoi ed elegans, come si ricava dalle figure (3, 5, 6, 7, 8, 10), e cambia continuamente per la grande mobilità delle ventose e per il continuo contrarsi e dilatarsi di esse, in gran parte dovuto agli speciali muscoli delle ventose... » Tali muscoli ho poi minutamente descritti a pag. 85, scrivendo che essi con le loro contrazioni deformano le ventose incessantemente « modifi- candone il contorno che resta, così, fissato sotto i più varii e strani aspetti quando s’ immerge l’animale in un qualunque li- quido fissatore ». Non credo perciò dover aggiungere altro per provare la reale esistenza delle ventose anteriori in Acanthocotyle oppugnata dal Goto; come non occorrono molte parole, dopo i passi citati del mio lavoro, per spiegare 1’ errore in cui egli è incorso, a proposito delle ventose anteriori della sua specie. Que- ste evidentemente, piccole, come in A. oligoterus, nell'unico pre- parato in .toto da lui esaminato di A. verreli , erano del tutto contratte e retratte, determinando quella insenatura della pelle che egli ben descrive e che si osserva pure nell’ A. lobianco?, quando le ventose, retratte fortemente dai muscoli retrattori, si chiudono e si deformano approfondandosi così, da essere del tutto irriconoscibili, confinate in fondo a quella invaginazione del mar- gine anteriore del corpo, che si determina per lo stesso loro retrarsi. Scompare così questa differenza fra A. verrilli e le altre specie, perchè anch'esso possiede delle ventose anteriori, nelle quali, come nelle altre specie del genere, sboccano le glandole anteriori, i cui dotti (colli), ravvicinandosi fra loro, nelle contrazioni delle vento- se, si fanno più evidenti, come ha descritto e figurato il Goto, riunendosi in un fascio. E l esistenza delle ventose anteriori ed il loro essere fortemente contratte nell’ A. verrz/l2 si interpetra bene dalla stessa figura di Goto, tenendo presente cio che av- viene nelle altre specie, desunto dall’ esame di più individui di- versamente studiati. Difatti le « pearshaped mass » che il Goto disegna, come formate dalla riunione dei dotti escretori delle gig glandole anteriori, nella sua figura, a ben esaminare questa, chiaro si ricava non esser altra cosa che le ventose anteriori molto con- tratte e retratte, circondate e rivestite dai dotti escretori (necks) delle glandole anteriori: le quali, come in tutte le altre specie, sboccano sul dorso delle ventose, e si raddensano, fra loro ravvici- nandosi, quando le ventose si contraggono. I mu- scoli retrattori delle ventose anteriori sono sfug- giti al Goto: almeno egli non ne parla, nè li di- segna. Da quanto ho esposto, cadono le differenze essenziali fra le mie e le osservazioni del Goto, e VA. verrilli rientra nel quadro delle caratteristi- che generiche degli Acanthocotyte, restando per le sue differenze specifiche una forma distinta dalle altre precedentemente descritte (lobiancor, elegans, oligoterus), nonchè da quella recentemente illustra- ta, nel 1901, dallo Scott (A. monticell) delle bran- chie della /aja clavata 1). Avendo, per cortesia dello Scott, esaminata questa n. sp., ho potuto convincermi che essa è effettivamente diversa dalle altre e come il poco Fig. 4 Acanthocotyle Monti - sviluppo delle ventose anteriori va spiegato col 0,7; geott. molto ing. fatto che anche in quest’unico esemplare queste non erano bene tratte in dentro dai mu- appariscenti, o non molto distinte , perchè molto contratte e re- scoli proprii. Ciò che si può ricavare dalla figura e ® >, di questa n. sp. che qui Fig. 5. allego a complemento di Un raggio (serie) di uncini della ventosa posteriore quella data dallo Scott. di A. Monticelli. molto ingrandito. (Fig. 4 e 5). E poichè mi trovo a parlare di Acathocotyle colgo l oppor- tunità di dire che, dopo la pubblicazione del mio lavoro, ho avuto occasione di raccogliere A. oligoterus anche sulla cute di Raja punctata. 1) Sorr, T. — Notes on some parasites ot Fishes: Twentieth. Ann. Rep. Fish. Board of Scotland, 1902, pag. 300, N. 18, Pit. 13, fig. 31-32. 502 di: - ARA Con le specie del Goto e dello Scott le forme del genere Acan- thocotyle salgono a cinque. Quattro delle quali finora trovate su Raja clavata [sul dorso (A. elegans), sul ventre (A. lobiancoi) ed (A. oligoterus), sulle branchie (A. monticelli)], ed una sulla Raja punctata (A. oligoteras). III. Sull' Epibdella squamula HraTH. Questa Epibdella è parassita « frequently occurring on the Bastard Halibut (Paralichtys californicus) and far less often upon various species of Bock-Cod (Sebastodes) in the waters of Monte- rey Bay and vicinity » come scrive Heath, autore della nuova specie del genere, che non so, peraltro, spiegarmi perchè usi seri- vere Epidella in luogo di Epwbdella. Interessandomi questa nuova forma per la revisione del genere, alla quale attendo da tempo, come ho detto nela mia nota su £. diadema *) e pubblicherò come più presto mi sarà possibile, ho chiesto alla cortesia dell'A. d’inviarmi copia del suo lavoro e di concedermi in esame alcuni esemplari della sua nuova specie. Ed avendo egli cortesemente acconsen- tito, ho potuto esaminare da vicino questa nuova Ep?bdella e con- eludere: che essa è realmente specie diversa da quelle finora co- nosciute del genere e che rientra nel sottogenere PRyllne da me proposto nell’ ora citato lavoro ; perchè le ventose anteriori non sono sviluppate, ma rappresentate da due pseudoventose, come in £. Mppoglossi e nelle forme congeneri, che costituiscono, ap- punto, il sottogenere P/hylline, come io Vl intendo. Questa £. (Phylline) squamula ha data opportunità all’ Heath di pubblicare molte importanti osservazioni; le quali, se in parte completano quelle precedentemente fatte su altre specie, in mas- sima confermano queste, che sono, purtroppo, rimaste ignote all’A. Al quale sono ugualmente sconosciute, così la mia recente nota su Epibdella (e quant'altro avevo precedentemente scritto in propo- sito), come la memoria dello Scott (su E. Ripploglossi) ed i lavori del Goto e specialmente quello nel quale questi illustra P/yl- lonella (Epibdella) hippoglossi ed E. sciaenae (1899). Non è qui il caso di una più minuta disamina della memoria dell’ Heath: questa troverà suo luogo nella Revisione del genere Epebdella. Ora m'interessa solo di riconoscere che si tratta veramente di una Epibdella tipica e specificamente distinta dalle altre, che, per le 1) HrarH, H. — The anatomy of Epidella squamula: Proc. Calif. Acad. Science (3) Zoology, Vol. 8, pag. 109, 1903, Plt. 15-16, sue caratteristiche, deve rientrare nel sottogenere P/ylline da me proposto 1). V. Sul genere Plectanocotyle Dirsins. Di questo genere, fondato dal Diesing nel 1850, era nota una sola specie (P. elliptica) : or non è molto (1899) ne ho descritta un’altra (27. lorenzi) delle branchie della Tyrigla sp. >); e, cogliendo occasione dallo studio della forma ed organizzazione della n. sp. ho cercato di meglio caratterizzare il genere Plectanocotyle, assai imperfettamente noto finallora. A questa specie (PI. lorenzi) cor- risponde, senza dubbio, la forma recentemente trovata sulle bran- chie della 7ygla gurnardus dallo Scott e riferita al PWyllocotyle gqurnardi Van Beneden ed Hesse *). La descrizione, molto sommaria, che da lo Scott della specie da lui raccolta e la sua figura che rappre- senta un esemplare contratto dall’alcool-nel quale, come dice V'A., da tempo era conservato (p. 148) lasciavano adito al dubbio se proprio fosse il Phyllocotyle gurnardi la specie illustrata dallo Scott. Ed il dubbio si è tradotto in certezza dopo lo studio di alcuni esem- plari della specie, cortesemente concessimi in esame dallo Scott. Per quanto la diagnosi che Van Beneden ed Hesse danno del Pyllocotyle sia molto incompleta e la descrizione della specie(P. geur- nardi) assal superficiale; pure da queste, come dalle figure illustrative della specie (Tav. 10, fig. 1-7), si rilevano facilmente le differenze che intercedono fra il genere PWRyllocotyle ed il Plectanocotyle, come esso è stato da me caratterizzato; quantunque abbiano di comune il carattere delle sei ventose intrammezzate e divise da un pedun- colo armato d’ uncini, che, per altro, è assai più lungo e di forma diversa dal P/ectanocotyle, nel genere Phyllocotyle. Certo le fi- gure del Van Beneden ed Hesse non sono così soddisfacenti da dare una completa e particolare immagine della specie da loro de- scritta; tanto, che alcune fra queste potrebbero lasciar sorgere il sospetto di una possibile identità fra //ectanocotyle e Phyllocotyle, interpretando le differenze come dovute ad incompleto studio della specie da parte degli A. citati: ciò che giustificherebbe l’er- !) MonticeLLI, FR. SAv. — A proposito di una nuova specie del genere Epibdella: Boll. Soc. Natural. Napoli, Vol. 15, pag. 137, 1901. 2) MoxntIcELLI, FR. SAv. — Di una nuova specie del genere Plectanocotyle.: Atti Acc. Sc. Torino, Vol. 34, 11 pp. con tavola. 3) Scort, T..— Notes on some parasites of Fishes: Ninth. Ann. Report Fish. Board for Scotland, 3 Part. « Parasites of Fishes » pag. 147-148, Pit. 8, fig. 23. Pi rore nel quale è caduto lo Scott. Ma vi sono delle caratteristiche descritte e disegnate dal Van Beneden ed Hesse, per le quali si è condotti a ritenere che la forma illustrata da questi A. è generi- camente differente dal Plectanocotyle; e che tanto questo, come il Phyllocotyle rappresentano due generi, per quanto affini e vicini fra loro, distinti l’uno dall’altro. Tenuto conto delle caratteristi- che comuni, specialmente del numero di sei ventose sul pexo- foro (disco) !) in entrambi i generi, essi dovrebbero insieme en- trare a far parte della sottofamiglia degli Eracotylimae che io, ap- punto nel citato mio lavoro *), proponevo di creare per accogliere questi Polistomi a sole sei ventose sul pexoforo; che, per questa caratteristica, non possono trovar posto negli Octocotili che ne hanno, invece, otto. Ed a questo gruppo dovrebbe ancora ascri- versi, stando alla frase diagnostica ed alla figura del Leuckart, il genere Deplobothrium descritto da questo autore nel 1842 e finora non più ritrovato *). Senonchè , considerando meglio le cose , in ordine ad uno smembramento dell’ antico gruppo degli Octocotili molto com- prensivo, ho creduto più opportuno di allargare la mia prima proposta e creare per queste forme a sei ventose sul pexoforo, invece di una sottofamiglia degli Octocotili, una famiglia a parte, ed equivalente a quella come a tutte le altre: la famiglia degli Heracotylidae. E ciò in base ai criterii che mi hanno guidato nell’ operare quello smembramento della vasta famiglia degli Octocotylidae, come era intesa finoggi, che ho recentemente rias- sunto 4). 1) Il Benham (Trattato di Zoolog. innanzi citato) propone il nome di c 0 t v- loforo per indicare, appunto, l'espansione posteriore terminale del corpo, che porta le ventose e gli uncini, riassumendo e traducendo, con questa parola, le varie denominazioni date dagli A., secondo la propria lingua, alla detta espan- sione |Disco, Haftscheibe, Plateux fixateur, Caudal disc. ec.|. Ma questo nome si riferisce solo alla presenza delle ventose e non degli altri organi di ade- sione (uncini, ecc.) che possono trovarsi sul disco anche da soli e non accom- pagnati da quelle. Ond’ è che riconoscendo l'opportunità pratica d’indicare que- sta parte del corpo—che serve all’animale per attaccarsi per mezzo di quale che sia l'organo di adesione che vi si trovi (uncini o ventose) —con un nome pro- prio, io propongo di designarla con quello di pexoforo: da miE0, che attacca, che fissa; per qualificare, così, genericamente, questa parte del corpo destinata a portare gli organi che permettono all’animale di fissarsi attaccandosi al- l’ ospite. 2) MoxticeLLI, FR. Sav. — Plectanocotyle lorenzi ecc. 3) Leuckart, F. S.— Zoolog. Bruckst. III. 1843, pag. 18, Taf. 1 fig. 6. 4) MonmiceLLI, FR. SAv. — Per una nuova classificazione degli Heterocotylea ecc.: loc. cit. = Ve Le caratteristiche della nuova famiglia possono così riassu- mersi : Hexracotylidae Montic. 1899. Ò Corpo allungato : due piccole ventose ai lati della bocca, che è terminale o subterminale, imbutiforme. Pexoforo con sei ventose sessili o pedunculate armate, disposte in due serie parallele di tre ciascuna dai due lati, che si pro- lunga posteriormente, nel mezzo, in una appendice fornita di uncini a paia. Faringe piccola, intestino bifido ramificato, a braccia convergenti poste- riormente, Aperture genitali (sbocco del pene e del mefraterm) anteriori, rav- vicinate, nella linea mediana: vagina sboccante dorsalmente (?). Utero molto sviluppato, contenente molte uova. Uova ovoidali, brevemente pedicellate 1). Tenuto conto delle differenze che allo stato attuale possono riconoscersi tra le varie forme della sottofamiglia , ho proposto (loc. cit.) suddividerla nelle due sottofamiglie : Plectanocotylinae. Montic. 1903. Pexoforo indistinto dal corpo con ventose del tutto sessili ed appendice terminale ora breve e tozza, ora allungata e terminantesi ventosiforme, armata di due paia d’ uncini di mediocre grandezza. genere Plectanocotyle Diesig. 1850. Appendice terminale del pexotoro breve, spatoliforme in una insenatura di questo: aperture genitali inermi. genere: Phyllocotyle Van Beneden ed Hesse. 1863. Appendice terminale del pexoforo lunga, sporgente oltre questo e termi- nantesi ventosiforme: aperture genitali armate. Diplobothrinae. Montie. 1903. Pexoforo distinto dal corpo; ventose brevemente pedicellate , con \appen- dice terminale molto sviluppata, armata di due paia di grandi uncini genere : Diplobothrium Leuckart (F. S.). 1842. Uncini dell’ appendice del pexoforo lunghi ricurvi: le punte di ciascun paio rivolte inversamente le une contro le altre. !) Questa frase è ricavata dalle forme meglio conosciute della famiglia. specialmente per quanto riguarda l’interna organizzazione, per la quale ho preso per base il Plectanocotyle Lorenzi. Per: I IV. Sul genere Dactylodiscus OLsson. L’Olsson, or non è molto, ha creato il nuovo genere Dacty- lodiscus !) per un trematode ectoparassita delle branchie del Coregonus lavaretus che egli chiama D. borealis. Questo n. g. è molto affine al genere Tetraonchus, accanto al quale, difatti, lo colloca il Saint-Remy nel suo Complemento alla Synopsis ecc. >) e ne differisce solo pel fatto di avere il pexoforo non ses- sile come in Tetraornchus , ma portato da un peduncolo ed or- nato da più lobi da ciascun lato. Ora, considerando le figure date dall’Olsson ed insieme esaminando le caratteristiche assegnate da questi al suo n. g., vi è facilmente da convincersi che, tanto il peduncolo del pexoforo, quanto i lobi di questo, non possono ritenersi condizioni normali, ma determinate dallo stato dell’ani- male; e sono probabilmente da interpetrarsi come una deforma- zione del pexoforo dovuta a contrazione subita dal corpo; prodotta, forse, dalla fissazione e preparazione. Ond’è che eliminata questa principale differenza dai Tetraonehus, vi è da concludere che il n. g. Dactylodiscus dell’Olsson, fondato appunto sulle caratteristi- che ora discusse, non ha più ragion di essere e rientra fra i si- nonimi del gn. Tetraonchus, col quale concorda per tutti i carat- teri, come si ricava dall’ esame della descrizione e delle figure dell’Olsson; pur rimanendo, s'intende, una specie distinta dalle al- tre (Tetr. borealis Olss.). Con questa specie e con il 7. Beredeni Parona e Perugia (per cortesia del collega Parona, che me ne ha inviato un esemplare ho potuto convincermi che è una specie distinta dalle altre), il genere Tetraonchus acquista altre due specie (in tutto sei compren- dendovi anche il 7. forpediris Chatin; Vl Amphibdella torpedinis, che sempre ritengo non genericamente distinto dai Tetraonehus 3). Riserbando la illustrazione del 7. borealzs e relativa analisi critica ad un lavoro completo di revisione del g. Tefraonehus, come io l’intendo 4), osservo, per ora, che i Zetraonchus rappresentano un gruppo distinto di forme fra i Gyrodattili; cosicchè, per essi, può 1) Orsson, P. — Bidrag till. Skand. Helminthfanaa: X, Svenske Nelensk. Akad. Hndl. Boll. 25, 189v, pag. 7. 2) Op. cit. pag. 567, fig. 6. 3) MonticeLLI, FR. SAv. — Ancyrocephalus paradorus e Revisione del genere Tetraonchus : questo Boll. Vol. 3, 1889, pag. 113-116. 4) Veggasi in proposito quanto ho scritto nel mio lavoro. « Note elminto- logiche » (questo Boll. Vol. 4, 1890, pag. 195) e nell’ altro su Colylogaster già citato (pag. 213, Nota 8). a Lote crearsi, come, difatti, ho proposto !), una sottofamiglia dei 7- traonchinae che ben si distingue da quella dei Gyrodactylinae, Parona e Perugia e dall’ altra dei Diplectaninae Montic., formata per i Deplectanum; (differenti così dai Gyrodattili, che dei Tetraon- chus) nelle quali può, a mio modo di vedere, ripartirsi la fami- glia Gyrodactylidae del Van Beneden. !) Per una nuova classit., ecc. Le perturbazioni magnetiche durante la fase eruttiva vesuviana del 1903. * — Nota del socio G. Di Paota. (Tornata del 10 gennaio 1904). È noto come gli aghi calamitati patiscono delle agitazioni per effetto di manifestazioni vulcaniche e di terremoti. Per incarico avuto dal Direttore del R. Osservatorio Vesu- viano Prof. Matteucci, di studiare la variazione diurna della de- clinazione magnetica , ho intrapreso una serie continuata di 0s- servazioni, servendomi del magnetometro differenziale Lamont, che, come sì sa, differisce da tutti gli altri fondati sul principio di quelli di Gauss, per la grande leggerezza degli aghi. Ho avu- to così nuova occasione di mettere in evidenza il comporta- mento delle oscillazioni degli aghi magnetici, con quelle dell'ago di rame dell’apparatino di confronto 1), in correlazione col dina- mismo presentato ultimamente dal Vesuvio. Mi occupai in un’al- tra mia nota >) di questo argomento , e alle molte osservazioni già conosciute, aggiungerò degli altri fatti per confermare che le perturbazioni degli apparecchi magnetici in occasione di pa- rosismi vesuviani e di terremoti pare si debbano ad un’ azione puramente meccanica del suolo in seguito al passaggio delle onde sismiche 3). Il 20 giugno scorso s° iniziò al Vesuvio un incremento del- l’attività esplosiva, aumentando notevolmente l'emissione di bloc- chi incandescenti e di sabbie. L’ attività aumentò gradatamente, # Queste osservazioni furono fatte prima che incominciasse l’ esercizio della ferrovia elettrica vesuviana. 1) L’apparatino di confronto è un ago inerte di rame che ha lo stesso peso e la stessa forma degli aghi magnetici impiegati. 2) V. Dr Paota G.— Sulla correlazione dei fenomeni vulcano-sismici con le perturbazioni magnetiche all’ Osservatorio Vesuviano. (Bollettino della So- cietà di Natur. in Napoli. Vol. XVI, 1902, pag. 151). 3) Il chiarissimo Direttore dell’Osservatorio geodinamico di Rocca di Papa Prof. Agamennone, che si è occupato da tempo dell'argomento, esclude l’ipo- tesi che i terremoti generino correnti telluriche. V. AGAMENNONE — Le tremblement de terre dans l’ ile de Chypre du 29 juin 1896. (Sonderabdruck aus Gerlands Beitrigen zur Geophysik Bd. VI, Heft 1, pag. 112-113. Re, a ed il 26 si vide la lava nel fondo craterico : sicchè i materiali delle esplosioni erano fluidi e coevi. Continuando quest’ attività, e il livello della lava salendo sempre più in alto, la sera del 20 luglio verso le ore 19, si verificò un primo trabocco lavico dalla parte di Sud del gran cono. Ora, nei giorni 1, 2, 3, 4, 18, 19, 20, 21 di luglio !) facen- do di mezz’ ora in mezz'ora le dette osservazioni al magnetome- tro differenziale Lamont, notai che l’ago di declinazione e quelli della componente verticale ed orizzontale., in concomitanza con quello di rame (ago testimone), sì mettevano in oscillazioni ver- ticali 7.a 8 secondi prima ancora che le onde sonore provenienti dalle esplosioni urtassero le lastre delle aperture interne della sala delle osservazioni; di guisa che, senza guardare dal di fuori il cratere , io era sicuro del conato eruttivo dell’ esplosione che avveniva. A questi fatti aggiungo che il 14 luglio alle ore 13 venne registrata al sismograto elettro-magnetico Palmieri una scossa verticale abbastanza sensibile della durata di 6-7 secondi, e istan- taneamente una seconda scossa si ebbe in senso ondulatorio in direzione SW-NE. Contemporaneamente a queste scosse furono veduti agitati gli aghi magnetici e quello inerte di rame, che facevano oscilla- zioni verticali. Queste scosse furono locali, perchè nessun altro osservatorio le registrò, come potei verificare nel Bollettino Uf- ficiale Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma. Le medesime perturbazioni, presentate dagli apparecchi ma- gnetici e dall’ ago inerte di rame , furono sempre osservate du- rante la fase eruttiva in connessione all’ attività del vulcano. Dai registri dell’ Osservatorio riporto le osservazioni più no- tevoli. 1) In queste letture fui coadiuvato dall’impiegato sig. A. Colombo, molto addestrato in tali osservazioni. ‘eQeZIO,iRI 9 IS QI9qQRIO [Op BOTUIBUTP. RHAIZIE.T ‘equods Iisenb emors -SIUIO »°] IP BAR] E] 9 BIBUIIOS BIATIIV ‘rodurogq ; tp og1ed è][ep ‘ èzua1or,j B191ggemmuI RIA B][OS 23 JI BSIOALI IS 9FUOLIOO UI VAU] BT ‘9g [e 0uIS enurquoo © Zg TI EZIOYRI IS BIAIMIE,] ‘2199219 ep 00 -1AR] 00990qe1z owrid ‘09% Ap 819S e] *I[TRA199 -UI TA9.IQ è 9 19.107 0u0s morso]dsa a] 9 eqeguetme 9 OUBOMA [Op BIAGI MT a ‘BYBUIIOS EITAIIIVW *IUoIso]dsa no) aI9qRIO Te OWISTUIBUT(] OTANSOA [9P OTISTUVUT( « € « « GIL « *ITBOIZIOA TUOTZETITOSO SITO TO ZoTREO 6 86 "ee ‘eueo « 28 i di 3 ì Sil 966 < < | 4 < St | 73-88 « < | < < 60 Gata *I[RoIgIOA IMOIZET[IOSO ‘Ifeo1gI9A TUOIZE][1OSO SI « "ewuqe) | ‘vue SI « | *ITRomg.IioA IMOIZE][iOsO | *ITROTZIOA. TUOTZET[IOSO 6 ST i:100010) Mt1t191:/0) « 9-C-F « « « « GI « « « « « GI « *ITBOIQIOA TUOTZE][IOSO *ITROIQIOA TUOIZE][TOSO 6 UG QURI ID OLIUT 05Y o | IO IINIUTRU 1USV SOGT ©IIS8NT S4 — Giorni 1-6 12 14 15-16-17 18-19 20 21-22 23-24 25 26-27 28-29 30-31 » » » » » » » » » A gosto 1903 Quasi tranquilli. Oscillazioni verticali. Forti oscillazioni ver- ticali. Oscillazioni verticali. Forti oscillazioni. Leggiere oscillazioni verticali. Forti oscillazioni in tutto il giorno. Oscillazioni verticali. Quasi tranquillo. Oscillazioni verticali. Forti oscillazioni ver- ticali. Oscillazioni verticali. Forti os Leggiere oscillazioni verticali. Oscillazioni sensibili in tutto il giorno. Oscillazioni verticali. Attività diminuita. Alle ore 11,20 il cono esplosivo del Vesuvio al fianco NE si è fenduto dando luogo a sgorgo lavico. | Cono esplosivo squarciato. Grandi esplo- sioni. Continua l’ attività dinamica. Attività aumentata. Il vecchio conetto esplosivo è franato in alcuni punti. Un nuovo sta formandosene. Entram- bi esplodono ad intermittenza. Dinamismo attivo non considerevole. Dinamismo più accentuato. Alle 7,30 del 26 crollamento del co- netto esplosivo, dando luogo a co- piosa emissione di vapori e ad ele- vati globi di sabbie. Alle 12,10 aper- tura del cono sul fianco NW, sgorgo di lava. Sori — Berrermoti MESE | GIORNI | ORE | AGHI MAGNETICI SBORRATA. ll! APERREMOTI DI RAME A 14 13 | Agitati, con o- ! Agitato,con oscil-| Scossa verticale i scillazioni ver- | lazioni verticali. | durata 6-7 secondi. s ticali. | KH | Scossa ondulatoria direzione SW-NE. È 50 | 1358 | 12 mattina del Idem | Leggiere scosse 0- > 145 51 agosto in- | rizzontali. iS) | solita agita- | < i zione. | Dalle cose dette appare chiaro il carattere di concordanza e di simultaneità tra le oscillazioni degli aghi magnetici e del- l’ago inerte di rame con il dinamismo del vulcano, e quindi pos- siamo concludere: che le agitazioni degli aghi calamitati erano unicamente dovute ai tremiti del suolo per la forza meccanica che si determinava nei conati eruttivi. Il chiarissimo Direttore del R. Osservatorio Vesuviano Prof. Matteucci, riconoscendo che il fenomeno ha una grande impor- tanza teorica, aveva disposto di collocare, attiguo al magnetome- tro di Lamont, due sismoscopi Agamennone ad etfetto multiplo sensibilissimo. Però lo stesso Direttore, non appena cominciarono a passare (fine settembre) accosto all’ Osservatorio le vetture elettriche della nuova ferrovia Pugliano-Vesuvio, sì avvide che gli aghi magne- tici subivano tante e così forti perturbazioni da rendere impos- sibile ogni ulteriore studio sull'argomento. Geloso custode, come egli è, della produzione scientifica di questo specialissimo Osser- servatorio, non mancò di additare al Ministero della P. Istruzione i rimedi da lui creduti adatti per diminuire i danni provenienti dal passaggio dei treni elettrici. Ed ultimamente , dopo consta- tate le perturbazioni dovute agli stessi treni, dichiarò esplicita- mente che si propone di sospendere definitivamente le ricerche sul magnetismo terrestre. R. Osservatorio Vesuviano, ottobre 1905. Giuseppe Jatta. — Commemorazione fatta dal socio Fr. Sav. MonTICELLI. (Tornata del 21 febbraio 1904) Oynoxew pi Xéye tovg dyabévg SOLONE Signore, Signori ! Carissimi Amici, Consociì ! Mesto pensiero oggi ci raccoglie nella sede delle nostre adu- nanze, dove ancor viva e presente alla nostra mente è la im- magine serena e ci pare ancora risuoni la consueta voce del ca- rissimo socio, dell'amico nostro che ci ha lasciati per sempre: di Giuseppe Jatta che, tra i fondatori di questa nostra società, ne è stato anima e vita e per ben due volte ne ha guidato le sorti; chiamato alla presidenza da unanime voto per la fiducia conscia dell’affetto grande che per la Società egli ebbe sempre costante, con ferma fede nei suoi destini. È Ed egli è morto immaturamente, quasi alla vigilia della festa con la quale la nostra Società si appresta a solennizzare i suoi venticinque anni di vita, vissuta per fermo volere di coloro che la istituirono e che, insieme a Giuseppe Jatta, per continuata tenacia l'hanno fatta tale, che, la fisima di Giuseppe Jatta, come ad alcuno piacque di qualificarla, è una realtà vera. E si è affermata nel fatto che, quanti sono ora professori ed insegnanti nelle scuole d’Italia, che furono allievi della nostra Università, mossero i primi passi nella scienza, nella nostra Società. E per la Società trovarono modo, in tempi assai men facili, di pubblicare il frutto dei proprii studi, che furono, poi, titoli efficaci per la loro car- riera! A poco meno di un biennio, un nuovo vuoto si fa in mezzo a noi! l'antica schiera sì dirada ancora! Or non è molto, l’amico Milone, commemorava, fra il comune rimpianto, Sebastiano Miele, dei primi nostri socii. Oggi, a me tocca, penoso compito, di commemorare l’amico Giuseppe Jatta; doveroso tributo di unanime affetto per questo sodalizio , che perde in lui il socio dall’interessamento assiduo, 1’ amico sincera- RT mente devoto! Il suo consiglio sereno, l equanime suo apprez- zamento, la sua parola moderatrice, giungevano desiderati ed ap- prezzati nell'amichevole comunanza d’intenti e d’aspirazioni della nostra Società. La imprevedibile morte di Giuseppe Jatta getta lo sgomento fra noi: purtroppo l'antica falange comincia a disgregarsi! La morte ci richiama alla realtà delle cose; ci fa balenare alla mente che, se in noi ancor vive ed arde il giovanile entusiasmo , se ancor vivace sì agita il pensiero per quell’ ideale disinteressato di sapere, che un giorno ci raccolse per fondare questa nostra Società, pur la incosciente certezza della vita, or, come allora, più così non ci affida! E ben a ragione Giuseppe Jatta ci rammentò sempre il com- pito nostro, per la tradizione nostra. E si rivolse ai giovani soci, perchè ci sostituiscano, col tempo, nell’affetto e nell'interesse per la nostra istituzione; ne raccolgano l'eredità di ideali, e ne prose- guano la tradizione liberale ; affermando ancora una volta, che, nei nuovi tempi, vi può esser democrazia di sapere nella reci- proca stima ed amicizia. Giuseppe Jatta è morto appena a quarantatre anni! quando piena gli sorrideva la vita! Da tutti stimato, carissimo agli amici, circondato dall’attet- to dei suoi, un gravissimo malore, rapidamente letale nel suo decorso, serenamente sopportato, lo rapiva alla famiglia, alla scienza, alla nostra Società ; che, nello stupore per la improv- visa sua scomparsa, reverente lo accompagnò, con unanime duolo alla ultima dimora! Povero amico nostro! chi avrebbe mai pen- sato di perderti così presto! La nostra mente ancor non sì per- suade ; l'animo nostro vorrebbe non credere alla triste realtà! Questo pensiero sembra non possa fissarsi nella mente nostra, tanto ancora ti sentiamo in mezzo a noi, in questa Società, che è pure opera tua, che ci parla di te nella sua vita, nella sua, per quanto breve, non ingloriosa storia, alla quale il tuo nome è così strettamente legato! E la memoria tua vivrà peren- ne per quella più lunga e fortunosa vita che noi, insieme a te, così nella prospera, come nella avversa sorte, abbiamo sempre, dal profondo dell’animo, augurato a questa Società! Perchè essa impersonava il nostro comun pensiero, le nostre comuni aspira- zioni di creare, nel nostro paese, un centro indipendente di cul- tura, libero di ogni accademico sapore, che, rispondendo ai tempi, Segn: mantenga le tradizioni scientifiche del mezzogiorno d’Italia, pre- parando ai giovani 1’ avvenire ! Giuseppe Jatta nacque in Ruvo di Puglia il 20 Settembre 1860, da famiglia nella quale è tradizione lo studio , la severa educazione del pensiero; in terra feconda di eletti ingegni, che alla scienza patria hanno portato lustro e decoro. In tale ambiente di famiglia si andò formando il suo carattere, che, dal natio loco trasse la forte fibra, che poi si affermò nella vita integra con virilità di intenti. Compì i suoi studii secondarii in Napoli, ed, attratto dalle discipline naturali, per spontanea tendenza svoltasi mentre egli seguiva i corsi del Liceo, s'iscrisse nel 1879, nella nostra Uni- versità alle Scienze Naturali e conseguì, con lode, la Laurea nel 1883, sostenendo la tesi sul sistema nervoso dei Cefalopodi. Tesi che, malgrado il voto fatto dalla Commissione di Laurea, che fosse pubblicata, egli tenne inedita; perchè volle farne ancora 0g- getto di studio più maturo. E l'argomento dei Cefalopodi così l’attrasse, che, in seguito, egli allargò il campo delle sue ricerche su questo interessantissimo gruppo di animali e ne fece tema preferito di studio per tutta la sua vita; dando opera ad un lavoro poderoso, che, purtroppo, egli lascia incompleto nella parte che più promettevasi ricca di Impor- tanti risultati per la scienza! Egli aveva ripreso, sui Cefalopodi, lo studio iniziato del suo conterraneo Giuseppe Saverio Poli, l’a- cuto e sagace investigatore dei molluschi dei nostri mari. È, par destino, anche a lui, prossimo a raccogliere 1l frutto delle sue lun- gamente durate fatiche, non fu dato di compiere l’opera intrapresa! Ancora studente, Jatta aveva condotto a termine un lavoro intorno al nucleo vitellino, sotto la guida di Salvatore Trinchese, che, allora, da poco in Napoli, succeduto a Paolo Panceri, nella Cattedra di Anatomia comparata, aveva portata in mezzo a noi una nuova corrente d’ idee, un indirizzo diverso ed efficace per gli studi zoologici, a lume della teoria della discendenza, che egli, con convinzione d’apostolo, bandì dalla cattedra. E, certo, la parola del maestro, il suo entusiasmo per la ri- cerca, influirono grandemente sul giovane appassionato naturalista, che fu attratto dalla parola e dall’ opera di Trinchese , ed ac- corse al laboratorio; del quale il Trinchese aveva, con liberalità pari a larghezza di mente, aperte le porte ai giovani studiosi. E in quell’ambiente si formò lo zoologo, l'osservatore pensante e riflessivo, che già in questo suo primo lavoro palesava le sue 89. — qualità di ricercatore coscienzioso, nell’ apprezzamento dei fatti, sereno! Questo primo lavoro vide la luce negli Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Napoli, della quale l'autorità del Trin- chese seppe vincere il pregiudizio per apportarvi l’alito giova- nile di quella scuola, ch'egli iniziava in Napoli. Alla quale Jatta appartenne, e ne derivò lo zoologo, che, nella monografia dei Cefa- lopodi, doveva, affermando sè stesso, continuare, per la sua parte, la tradizione dell’antica scuola zoologica napoletana, onorando il maestro e perpetuando l’opera di Giuseppe Saverio Poli! Caratteristica scuola ed originale quella del 'Trinchese, se pur tale, nel comun senso, può chiamarsi! Che, dal pedantismo sco- lastico rifuggente, nell’entusiasmo per la scienza che sapeva in- fondere in coloro che la frequentavano, apriva largo orizzonte nelle menti degli studiosi alla ricerca scientifica, nella piena li- bertà di aspirazioni, di tendenze, di gusti, d’indirizzo, pur gui- dandoli e dirigendoli con larghezza di pensiero! Questa scuola era non l’ affermazione del pensiero maestro per seguaci velutz pecudes magistro obedientes; ma quella del maestro del pensie- ro libero ed indipendente dei suoi scolari, che egli guidava ad una sola meta: alla ricerca del vero per quel che fosse la via! E di questa Scuola, chi compagno di Giuseppe Jatta, ne ap- prezzo il liberale intento, evocando il maestro, troppo presto scomparso, lo spirito ne rivela, ricordando Vl opera dello scolare, di Giuseppe Jatta, che, in quella scuola educato, seppe farla va- lere con l’opera sua. Laureatosi Jatta nel 18853, per consiglio di Trinchese, che, tra i pochi in Italia, ebbe la chiara visione di quale vantag- gio fosse per noi la Stazione Zoologica, —perchè il bocciuolo col- tivato nella serra dei Laboratori si aprisse al largo soffio di un ambiente scientifico eccezionalmente favorevole, chiese, e vi ot- tenne, un posto di studio, per continuare le sue ricerche sul sistema nervoso dei Cefalopodi. E nella Stazione Zoologica, presto, le sue qualità di uomo e di lavoratore furono apprezzate e valutate. Ed una sincera ami- cizia seppe egli ispirare al Direttore, Prof. Antonio Dohrn, che ha trovato in lui l’amico costante della Stazione e spesso utile ausi- lio, ed ora, con noi, ne rimpiange la perdita! Imprendendo a studiare nella Stazione Zoologica l'argomento iniziato a trattare nella sua tesi, Jatta non pensava che i Ce- falopodi avrebbero occupata l attività di tutta la sua vita! Ma il Dohrn, che vedeva in lui chi poteva condurre a ter- o ra mine una monografia del gruppo, per la serie della Fauna e Flora del Golfo di Napoli, invitò a mettersi all'opera, e lo in- coraggio nell'impresa. Jatta, dapprima esitante, per la mole del opera e per la difficoltà e varietà dei problemi che un tale stu- dio presentava, si mise al lavoro: misurate le sue forze, ideato il piano, accettò l impegno: ed alla Monografia dedicò tutto il suo studio. Frattanto, nel 1884, Achille Costa, in quel tempo Prof. di Zoologia nella nostra Università, rinunziò l’insegnamento di ento- mologia agraria, che, per incarico, impartiva nella R. Scuola Su- periore di Agricoltura in Portici. La direzione di questa pensò allora rivolgersi al giovane laureato, che dava, per comune con- senso , così belle speranze di sè. Ed affidò l’incarico di dettare le lezioni di entomologia agraria, fin allora tenuto dal Costa, a Giuseppe Jatta. E così, egli, appena ventiquattrenne, fu assunto ad un inse- gnamento superiore! Per serietà di cultura, per larghe cono- scenze scientifiche e per una speciale predilezione per gli studi di entomologia, che egli, da studente, aveva seguiti nel labo- ratorio di Zoologia, sotto la guida del Prof. Costa, certo, la scelta fu felice: ed i fatti lo dimostrarono. Ma il Jatta, accettando, senti piena la responsabilità che gl’incombeva, succedendo al maestro, ad Achille Costa, che, in entomologia agraria, godeva meritatissima fama, e, per i suoi lavori, era allora competenza indiscussa; ed a questo insegnamento Jatta si preparò con serietà di propositi. Il programma sommario del corso di entomologia agraria svolto nel 1884, fra i pochi manoscritti che di lui rimangono, ci rivela come egli impiantò lucidamente pensato il suo insegnamento, come praticamente lo delineò nello svolgerlo! Non posso ora passare in disamina questo programma; ma non posso, pertanto , non rile- vare come egli svolgesse, da un punto di vista biologico, la com- plessa e complicata questione dei rapporti fra ‘le piante e gli insetti, allo scopo di determinare questi rapporti e stabilire, per quanto è possibile, ciò che vuol dire dannoso od utile. E ciò ricercando ed investigando la maniera di provvedere alla conser- servazione degli uni ed alla distruzione degli altri nello studio della biologia delle specie agrarie e dei rapporti di queste fra loro e con le altre. Concetto ed indirizzo nuovo del tutto, nello studio della ento- mologia agraria; che egli, pel primo, delineò e difese, sia dalla cattedra, che con articoli e con opuscoli, contro la imperante corrente per gli insetticidi. Indirizzo biologico, che, attermatosi in America più tardi, con larga serie di studii ed esperienze, doveva, poi, esser proclamato in Italia da coloro stessi che fu- rono fra i maggiori fautori degl’ insetticidi. Ed a Giuseppe Jatta che, giovane allora, primo affermava il nuovo campo di studii per la entomologia agraria, il tempo rese giustizia ! Nel convegno zoologico di Napoli del 1901 il suo merito fu pubblicamente ri- conosciuto. Negli anni seguenti al primo d’insegnamento, egli sempre più si affermò in questo; ed il profitto dagli scolari, addimostrato negli esami, provò l efficacia del motodo , la bontà dell’ indi- rizzo. E poichè all'insegnamento della entomologia agraria si co- minciava a voler dare una intonazione di Zoologia generale ed agraria, egli gradualmente allargò alquanto la parte generale del suo corso, che ebbe, così, più ampio svolgimento. Jatta durò in questo insegnamento fino al 1890, nel quale anno lo abbandonò volontariamente, per dedicarsi del tutto ai suoi studii nella Stazione Zoologica. E, da allora, egli, con cura assidua, ha atteso alla Monografia dei Cefalopodi, della quale, nel 1896, ha pubblicata la prima parte « Sistematica »; cioè la descrizione delle specie di Cefalopodi che vivono nel golfo di Napoli. Fin da quando egli aveva intrapresi questi studii, senti il bisogno di al- largare le sue conoscenze su questo gruppo di molluschi, con l’esa- me di un largo numero di forme. E, convinto che queste occorre veder dappresso per ben intendere il valore delle specie e rendersi esatto conto della descrizione degli autori, specialmente se trat- tasi di forme dubbie o discusse, egli, nel 1888, intraprese un lungo viaggio all’estero; per studiare ed esaminare le più importanti collezioni di Cefalopodi dei Musei di Europa, illustrate da spe- cialisti venuti in fama, e discutere con questi sull'argomento che era oggetto dei suoi studii. Specialmente a Copenaghen egli più lungamente si trattenne dal vecchio Steenstrup, che era allora competentissimo specialista. Da questi, accolto dapprima con quella certa naturale diffidenza, che suole spesso ispirare a chi è innanzi negli anni e per lunga esperienza conscio di suo va- lore, un neofito nella materia, fu, poi fatto segno alla stima del- l'anziano, che si compiacque disputare con lui; riconoscendo in Giuseppe Jatta, nello svolgersi delle discussioni, non il neofito, che egli aveva supposto, ma chi l'argomento, per personale stu- dio, conosceva, ed al caso, sapeva anche ribattere validamente le sue opinioni. Dedito del tutto alla Monografia dei Cefalopodi, Jatta, per na- tura sua restio a render note le osservazioni che mano mano ve- Ser. - 46 niva compiendo, così sulla anatomia, come sulla embriologia e sulla sistematica di questo gruppo, tutto inteso a raccogliere il frutto del suo lungo lavoro in un’opera completa, ha pubblicato poco. E, d’ordinario, solo, quando, spinto dal perchè altri atten- dendo alle stesse sue ricerche, non voleva che, nella Monografia, i fatti da lui messi in luce potessero suonar solo conferma di quanto altri aveva osservato. Così si fosse egli mosso a consacrare in note e memorie le importanti osservazioni da lui fatte! Almeno , esse resterebbero nella storia, affermazione dell’opera sua sulla anatomia ed embrio- logia dei Cefalopodi! Perchè è veramente da lamentare, come il frutto di tanto lavoro debba restare ignorato! Se pur non riuniti nell’armonico tutto della Monografia, le sue osservazioni varreb- bero ora agli studiosi per valutare quanto devono al Jatta per le sue ricerche! Essi avrebbero cosi ancor più rimpianto la immatura sua fine, che ha privata la scienza di un’opera così importante, quale è il complemento (la seconda parte) della Monografia dei Cefalo- podi! Questa parte che, le poche note pubblicate, sull’anatomia e sull’embiologia, facevano aspettare con vivo interessamento; per- chè lasciavano prevedere che essa avrebbe portata la soluzione di molti importanti problemi, che si agitano intorno alla morfo- logia, alla origine ed alla posizione sistematica di questi molluschi. Lo studio dei Cefalopodi del nostro mare, iniziato da Giusep- pe Saverio Poli, da Molfetta, cui moltissimo deve la coltura scien- tifica meridionale e ben meriterebbe l’opera sua fosse ancora me- glio nota, proseguita da Stefano delle Chiaje, fu continuato de- gnamente da Giuseppe Jatta. Che mettendo in luce l’opera di questi nostri grandi, ha perpetuato quella tradizione di scuola con i moderni criterii di ricerca, che nuovi orizzonti hanno aperto alla zoologia. Egli, difatti, aveva ripigliato lo studio dei Cefalo- podi con le vedute più recenti; e, compreso della loro impor- tanza morfologica, si era posto i più varii e complessi problemi. E questi veniva maturando nella sua mente, a misura che, dal- l'esame obiettivo dei fatti, essi emergevano. Non era la specu- lazione astratta che lo conduceva alla ricerca; ma, mente investi- gatrice italiana, era dal fatto che assurgeva alla teoria: e questa egli crogiuolava con critica severa, discutendo e vagliando le opi- nioni altrui; opponendo serie di fatti, ragionatamente considerati, a frequenti speculazioni generali di Autori, dedotte da osserva- zioni isolate, spesso condotte in appoggio di quelle. Ma ciò era argomento di amichevole conversare tra noi! Chè egli tutto raccoglieva nella sua mente, per poi esporlo nell'opera ATO "TA sua. Come all’ingegno meridionale, facilmente intuitivo e rapida- mente comprensivo dei fenomeni e dei fatti osservati, soventi ac- ‘ade di rifuggire dal meccanismo della scrittura, egli non soleva fissare in iscritto le sue idee: le sue osservazioni egli non usava registrare con metodo rigoroso in continuati appunti. Poche no- tizie accanto ad uno schizzo, un disegno, uno schema con qual- che parola illustrativa, per memoria, erano i dati che gli servivano per risvegliare, nella sua mente, un complesso di fatti osservati e discussi; a far scaturire tutto il ragionamento da quei fatti ; quando, egli, maturato il lavoro, si decideva a scriverlo. E poi- chè al manoscritto della seconda parte della Monografia non ave- va ancora posto mano, di questa non restano che numerose fi- gure, molti schizzi ed appunti. Che pertanto permetteranno a chi, con devozione d’ amico e carità di patria, vorrà, speriamo, assumersi l'impegno, di far ri- vivere l’opera di Giuseppe Jatta. Se relativamente pochi sono i lavori da lui pubblicati su i Cefalopodi, essi sono tutti importanti per i fatti che vi son con- sacrati e pel modo come sono condotti. Fra i lavori sistematici, occupa il primo posto la Monografia delle specie di Cefalopodi del nostro golfo, dove questi sono descritti ed illustrati a lume di critica. Opera ricca di osservazioni pregevoli, accompagnata da numerose tavole, che danno l’immagine, ritratta dal pittore Mer- culiano, e con ogni studio curata dall’A., delle specie, e di tutte le loro particolarità, riferentisi alla morfologia esterna di essa, da lui illustrate nel testo. Ma, oltre la Monografia, ha pubblicato ancora altri lavori di sistematica, illustrando i Cefalopodi raccolti dalla « Vettor Pi- sani », dove, insieme a qualche nuova forma, descrive un curioso decapodo, assai interessante, che fu trovato nel Pacifico, nel viag- gio della Bonite, e poi non più ritrovato; di questo egli dà un ac- curato studio; il primo fatto finora. Negli altri lavori Jatta tratta, con egual competenza, fatti riguardanti l’ anatomia e la morfologia generale dei Cefalopodi: in essi con severa ed accurata ricerca rischiara molti punti della loro organizzazione e della fine anatomia, spesso in base all’ em- briologia. Così, nel lavoro sul così detto ganglio olfattivo, dimo- stra che trattasi di un vero ganglio, che egli interpreta come il rap- presentante di un ganglio nervoso scomparso; in quello sulla vera origine del nervo olfattivo, del quale dimostra l'emergere di questo dal ganglio sopraesofageo; quello sulla innervazione delle braccia nei Cefalopodi, dove egli prova, con osservazioni di fatto, confu- Pi tando le opinioni fino allora sostenute, la natura pedale delle braccia. Il lavoro sull’organo dell’imbuto è un importante contri- buto morfologico, perchè egli prova, dai suoi studi, la natura pe- dale dell’imbuto dei Cefalopedi, per la conclusione alla quale giun- ge, che, l'organo, in esso contenuto, è una glandola mucosa, da considerarsi come l’omologa della glandola pedale degli altri mol- luschi. L'ultimo lavoro di Giuseppe Jatta è quello letto, nello scorso luglio 1903, alla nostra Società. « A. proposito di alcuni Cefalopodi del Mediterraneo ». Riflettendovi sopra pare che egli, inconscia- mente presago di sua fine, abbia voluto racccogliere in esso tutto quanto aveva messo da canto di revisione e di fatti nuovi da ag- giungere alla parte sistematica della monografia, per non lasciar senza risposta coloro che da lui dissentivano. Ciò che doveva formar parte, come egli diceva, di un’ appendice finale di questa; nella quale avrebbe anche discusso i giudizii emessi dagli Autori e le opinioni loro sopra le specie del golfo dopo la pubblicazione della sua sistematica dei nostri Cefalopodi. E davvero non può altrimenti spiegarsi come egli, così restio, sì sia deciso, poco prima di lasciar Napoli per recarsi nel suo paese natio,--che quattro mesi dopo ce lo rendeva infermo e pros- simo ad impreveduta fine, di pubblicare questo lavoro critico si- stematico per mettere le cose a posto e giustificare l’opera sua. Ciò che egli fa con questa dichiarazione, che precede il la- voro, e che è uno specchio fedele del modo obbiettivo ed elevato come intendeva lo studio scientifico. « Così nel rilevare i giudizii altrui, egli scrive, come nel riferire il mio modo di vedere, mi sono studiato di essere obbie t- tivoetenermi lontanoda quella critica fatta a base di polemica che rappresenta, a mio credere, quanto di più vano possa esservi nella letteratura scienti- fica ». Questo dire sereno d’uomo vivo, che ora è voce d’oltre tomba, risuona dolorosamente all'orecchio come una parola d’ad- dio, di chi, inconsapevolmente, sembra elevarsi dalle lotte della vita; e par che, questa lasciando, dica: non vi affaticate a pole- mizzare; tutto ciò è vano! la scienza è verità, essa cammina. Il piccino criticare non vale; solo il fatto osservato con serena coscienza resta e s'afferma! Povero amico! questa tua ultima parola nella scienza fu con- ferma del carattere tuo, della serenità che in essa tu hai portata! Considerandola come ideale di sapere umano, non come mezzo di umana vanità, ragione d’infeconde lotte d’interessi e di persone! COL Giuseppe Jatta, ricco di beni di fortuna, preferì agli agi ed all’inutile ozio che poteva regalarsi, una vita di lavoro e di stu- dii, condotti con amore alla verità, come fine a se stessi e non come scopo e mezzo! Nell’animo suo ogni studio nobile e degno ebbe facile presa, e la sua mente attiva ed investigatrice, disposta alla riflessione filosofica, spaziò in campi diversi. Ebbe, egli, varia e vasta coltura e la sua parola fu ascoltata, anche fuori del campo scientifico. La terra e l’agricoltura lo ap- passionavano; erano per lui argomento di studii e di considera- zioni, come movimento economico-sociaàle del nostro paese; del quale seguiva la politica con passione, pur mantenendosi estra- neo alle lotte di parte e fuori di ogni ambizione. Di agricoltura si occupò in varii articoli, sia d’indole gene- rale, sia speciale in quanto riguarda l'applicazione delle entomo- logia agraria. E pubblicò non pochi articoli illustrativi di insetti agrarii, ed in ispecie sulla questione della fillossera. Le sue idee, schiettamente liberali, egli affermò più volte in seno all’ Associa- zione degli agricoltori e proprietarii di Napoli, dei quali era socio, con discorsi ed articoli, senza artifizii di forma, ma chiari e pre- cisi, difendendo i principii e concetti liberisti che informano quella associazione. Inteso ai suoi studii, assorbito dal lavoro per la Monografia, lasciato che ebbe la scuola di Portici, non volle più saperne d’in- segnamento e si tenne lontano dalla carriera Universitaria. Solo nel 1902 si decise a chiedere, per titoli, la privata docenza in zoologia presso la nostra Università; che, su unanime voto della Facoltà, gli fu accordata dal Ministro. Ma egli non ha voluto mai decidersi ad esercitarla. Pertanto se egli si tenne fuori dalle Università, in queste era noto e stimato, da quanti sono in Ita- lia professori di zoologia. Carissimo al Trinchese, lo ebbe in molta e continua stima il Costa, che ne apprezzava assai il valore per- sonale e ne valutava il merito dei lavori. Tanto che, dopo la pub- blicazione della parte sistematica della sua Monografia dei Cefa- lopodi, di sua iniziativa, lo propose membro corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli. E Giuseppe Jatta, nell’ Aprile del 1898, fu nominato acca- demico . Ma di questo ben meritato onore, grato e riconoscente al Costa, egli non menò vanto, nè si valse, nè aspirò ad altro seggio. Benchè accademico, anche dall’ accademia si tenne lon- tano, e volle essere e rimanere solamente socio della Società dei Naturalisti. A questa solo egli riservava i suoi lavori; solo fra i vecchi e nuovi amici della Società si compiaceva di svolgere Cia. la sua attività scientifica. Il suo carattere indipendente, la ten- denza ad una libera esplicazione di idee , liberalmente discusse, senza preconcetti di scuola e di sistema, senza distinzione di grado, ma col vero proposito del progresso della scienza, nella libera parola, lo facevano rifuggire dal convenzionalismo accade- mico. Le Accademie, per lui, avevano fatto il loro tempo: sorte nel momento storico della cultura nazionale cui esse rispondevano, gio dello Stato.. Ben altro concetto aveva egli delle feconde lotte per la scienza, le riteneva sopravvissute poi come un ingranag un dì vanto ed onore delle libere accademie d'Italia! Ed egli aveva sognato queste di far rivivere, nei nuovi tempi, con nuove vesti, come libera associazione. Egli aveva concepita una società d’amici, dove non supremazia gerarchica di grado e di sapere allignano, dove le cariche non rappresentino onorifiche infeudabili sinecure. Ma una Società che non richieda al suoi membri, nè gradi, nè titoli, ma solo onestà d’intenti, amore per le scienze naturali. Della quale, socii tutti, uguali nei dritti e nei doveri, un comune intento li riunisce, giovani e vecchi, anziani e novizi, nella indipendente esplicazione delle proprie attività , in libera discussione, quello di mantener vivo e giovane 1 entu- siasmo per le scienze naturali e di conservare, perpetuandole, le nobili tradizioni di queste nelle nostre contrade, atfermandole in Itaha. Questo l'ideale, la fisima di Giuseppe Jatta, ch'egli, per te- nace concorde volere di coloro, coi quali ei visse in comunione d’intenti, e che or ne rimpiangono la fine immatura, tradusse in atto nella nostra Società. Che, sorta per opera di giovani, allora studenti, è fatta di giovani e per giovani. Fondata dalla amici- zia di pochi, d’amicizia vive, sì che da un quarto di secolo circa e nuovi, e vecchi socii, nel continuo avvicendarsi affratella , sia che muovano i primi passi nella scienza, sia che, già maestri, siedano sulle cattedre d’Italia: compresi e raccolti tutti nel co- mune affetto per la Società. Che i giovani nostri naturalisti sì aggreghino volenterosi al vecchio nucleo e sostituendolo con in- teresse sempre maggiore, piglino parte attiva alla Società; la rin- giovaniscano e ne continuino le tradizioni generose ! Questo caldo apppello ai giovani socii faceva con animo con- vinto Giuseppe Jatta, in una delle ultime adunanze dello scorso anno della nostra Società, incitandoli, con l'esempio del passato, a tener fede nel destino della Società nostra! Fu l’ultima voce, che egli, tenacemente costante nel proseguire il suo ideale, rivol- E gar pi geva alla Società, che doveva, pochi mesi dopo, nell’affetto d’a- micizia, rendergli questo tributo di rimpianto. Ed io oggi, commemorando Giuseppe Jatta, l’amico nostro, l'amato consocio, nell’inviargli a nome della Società un ultimo saluto, lo addito ai nuovi, lo ricordo ai vecchi socii, come esem- pio di carattere integro, di tempra forte, dal volere tenace di costante ed immutato affetto per la nostra Società; perchè nella memoria di Giuseppe Jatta sì raffermi e si perpetui l’amicizia fra noi, nella comunanza d’intenti per un ideale di sapere a decoro della patria nostra. -1 1882. 1887. 1887. 1889. 1889. 1893. 1896 1898. 1903. 1886. 1887. 1889. 1891. 1893. 893. 1893. 1893. Blenco delle pubblicazioni di Giuseppe Jatta Sulle forme che assume il nucleo vitellino delle asterie e di alcuni ‘ragni: Acc. Sc. Napoli (2) Vol. 9, N. 2, pp. 10,1 Tav. Sopra il cosidetto ganglio olfattivo dei Cefalopodi: Boll. Soc. Nat. Napoli, Vol. 1, p. 80-33. La vera origine del nervo olfattivo dei Cefalopodi: ibid. Vol. 1, p. 92-93. Elenco dei Cefalopodi della « Vittor Pisani »: ibid. Vol. 3, p. 64-68. La innervazione delle braccia dei Cefalopodi: ibid. Vol. 3, p. 129-132. Sopra l’organo dell’imbuto nei Cefalopodi: ibid. Vol. 7, p. 45-60. Cefalopodi « Sistematica »: Fauna u. Flora Golf Neapel, 22 Monog. pp. 264, 81 Tav. Sopra alcuni Cefalopodi della « Vettor Pisani »: Boll. Soc. Nat. Na- poli, Vol..12, p.‘17-32, Tav. ‘1. A proposito di alcuni Cefalopodi del Mediterraneo : ibid. Vol. 17, p. 193-207. EI. Di una Cecidomia dell’ Olivo: L’Agricoltura meridionale , Portici, Anno 9, N. 12. Anomala vitis: ibid, Anno 10, N. 10. Agrotis aquilina (Cippodari): Gazzettino Agrario, Barletta, Anno 2, 8 aprile, 1899. Un insetto nocivo ( Vesperus luridus Rossi): L'Agricoltura meridio- nale, Portici, Anno 15, N. 19. DI. Salviamo lè nostre vigne: Rivista Agraria, Anno 3, N. 23, 4 giu- gno 1895. Per la Fillossera. I. La invasione: ibid. Anno 8, N. 26, 25 giugno 1895. Per la Fillossera. II La propagazione: ibid. Anno 3, N. 33, 13 ago- sto 1893. Per la Fillossera. III. La lotta: ibid. Anno 3, N. 38, 17 settembre 1893. 1898. 1898. 1894. 1894. 1895. Eta Per la Fillossera. IV. La viglianza ed i consorzi antifilosserici: ibid. Anno 8. N. 44, 29 ottobre 1893. L’Entomologia e la pratica Agraria: ibid. Anno 8, N. 34, 20 agosto 1893. Il consorzio antifilosserico di Cagliari: ibid. Anno 4, N. 35, 2 set- tembre 1894. Agraria ed Agricoltori (firmato Alea): ibid. Anno 4, N. 28, 15 lu- glio 1894. N. 38, 19 agosto 1894, N. 37, 16 settembre 1894. Per la Fillossera: V. ibid. Anno 5, N. 37, 15 settembre 1895. Una singolare articolazione tiro-ioidea. Descrizione e ricerche fetali e morfologiche del socio FRANCESCO LEUZZI. (Tornata del 6 giugno 1963) L'articolazione, che descrivo, è planiforme, ed avviene tra il margine superiore destro della cartilagine tiroide ed il margi- ne inferiore del-:grande corno destro dell’osso ioide (fig. 1 e 2). Fig. 1 Dal margine prossimale della cartilagine tiroide s'erge verso il grande corno ioideo un’eminenza, alta 1 cm., di forma trian- golare, con base in basso ed apice in alto, con due facce, ven- trale e dorsale, ed un margine mediale, ed un altro laterale. La base, schiacciata davanti indietro, occupa due cm. del mar- gine, che la sostiene; è lontana 12 mm. dall’incisura prossimale; ed 1 cm. dal bordo dorsale del grande corno tiroideo. L’eminenza, elevandosi, si raccoglie in un apice rotondo, che misura 1 cm. di diametro, distinto da un restringimento, accentuato alla parte anteriore, che rappresenta una specie di collo. Su l’a- — 101 — pice siede una faccetta articolare, rivolta in alto, infuori, ed un pochino innanzi. La faccia ventrale dell’eminenza è liscia, dolcemente con- vessa nel senso trasversale; la dorsale è ineguale, deformata da una sporgenza a ginocchio, che trovasi nel suo 3° superiore, ri- volta in alto ed indentro. Questa sporgenza cancella, nella parte posteriore, lo strozza- mento, che segna il collo; ed, inchinando alquanto l’apice intuori ed innanzi, produce la descritta prospettiva della faccetta arti colare. Dal margine inferiore del grande corno ioideo spunta un'a- pofisi nell’ unione del 3° mediale col 3° medio; e si dirige in basso, indentro ed alquanto indietro per incontrare l'apice del- l’eminenza tiroidea. La base di detta apofisi copre uno spazio di 6 mm. misu- rati nel senso dorso-ventrale ; dista 6 mm. dal punto d’ innesto del grande corno al corpo dell’osso ioide; e 16 mm. dall’apice del medesimo corno. L’apofisi, alta 4 mm. è rotondeggiante, con una circonfe- renza di 1 cm. di diametro. Si vede alla sua parte anteriore, vi- cino alla superficie articolare, un restringimento, che presenta l’immagine d’un collo; ma manca alla parte posteriore. La faccetta articolare si può dire piana, trascurando una le- vissima convessità; e posa armonicamente sopra la faccetta del- l’eminenza tiroidea. La giuntura è circondata da una capsula fibrosa; su la cui faccia dorso-laterale spicca un fascetto, che decorre dall’apofisi dell’osso ioide all’ eminenza tiroidea con sembianza di ligamen- tuccio. L'esame minuto ha messo in evidenza la capsula sinoviale, che si presenta come nelle altre articolazioni. Nei tagli si ve- dono due pieghe d’essa, a margini frastagliati, sporgere fra le superficie articolari. La sezione del grande corno ioideo è spongiosa: a cui s'in- nesta la relativa cartilagine articolare, che non è ialina, ma fi- brosa. Le fibre si dirigono alla faccia articolare: alcune vanno flessuose, e, più o meno, oblique. Le capsule cartilaginee sono scarse e rotonde, spesso aggruppate, ma per lo più sono sparse; non manca qualche filiera perpendicolare alla superficie articolare. La tiroide è ossificata; la cartilagine articolare della sua emi- nenza, connessa alla parte ossea, è- fibrosa come l’altra, e pre- senta le stesse note istologiche rispetto alle fibre ed alle cellule Te oa] — Nelle due cartilagini articolari non sì scorge traccia di zona di passaggio (fig. 3). La natura fibrosa delle cartilagini articolari di questo arti- colo fa eccezione, come la fibro-cartilagine d’ incrostazione delle facce articolari della giuntura temporo-mascellare. Non avvi articolazione al lato sinistro, ma vi è la fusione del corno superiore tiroideo col margine inferiore del grande corno dell’osso ioide. Il corno tiroideo sinistro s'innalza dall’angolo dorso-prossi- male della tiroide, e sì dirige da dietro in avanti ed in dentro per mettere capo nel punto d’unione del 5° interno col 3° medio del margine inferiore del grande corno dell’osso ioide. Il punto è analogo a quello, dove si trova l’apofisi articolare del grande corno ioideo di destra. Il corno in descrizione ha forma quasi rettangolare; è alto 135 mm. largo un cm. alla base, 8 mm. alla sommità. Il suo mar- gine posteriore è smusso con 4 mm. di spessore; esso inchina in basso ed indietro, contimuandosi, senza interruzione, col margi- ne posteriore della cartilagine tiroide. Il margine anteriore, spesso- 3 mm. è leggermente obliquo da sopra in sotto e davanti in- dietro. L’altro corno tiroideo destro cilindrico, libero, verticale, poco inclinato al davanti, misura 153 mm. d’altezza. Le due corna in- feriori, robuste, sono lunghe mezzo em. Ciascuna metà della car- tilagine tiroide è larga 4!/, cm. misurati dal margine posteriore al pomo d’Adamo; ed è alta 21/0 misurata dal margine inferiore al superiore, vicino al pomo d’Adamo; e 3 cm. dalla base del corno superiore a quella del corno inferiore. Le due grandi corna dell’osso ioide sono articolate con gli angoli superiori e laterali del corpo; e ciascuno è lungo 28 mm. — 103 — Il destro ha una faccia anteriore curva; ed il suo apice è rivolto un po’ in avanti ed infuori: presenta un margine supe- riore concavo, ed un inferiore convesso. Nel corno sinistro questi caratteri sono meno pronunziati. Il corpo, guardato di prospetto, mostra una figura trapezoi- de, col margine superiore lungo 3 cm, e l’inferiore due cm; ed è alto un 1!/, cm. La faccia anteriore ha la cresta trasversale poco elevata, ed alquanto più vicina al margine superiore. La faccia posteriore concava s’ incava nel mezzo in una accentua- tissima fossetta (fig. 1). . Non esisteva l’apparecchio ioideo. Questi organi appartenevano ad un uomo di circa settanta anni, ben conformato, con regolare sviluppo scheletrico e senza anormalità nelle altre parti. Per quante ricerche avessi fatto nella letteratura anotomo- zoologica, non sono riuscito a trovare un altro analogo caso. Debierre pubblicò, come eccezionale ed unica, l'articolazione del grande corno tiroideo col grande corno dell’osso ioide. Una colonnina ossea di 10 mm. di lunghezza, e 15 mm. di circonferenza, discendeva dall’estremità del grande corno dell'osso lolde direttamente ad incontrare la sommità del grande corno tiroideo. La saldatura della colonnina al corno dell’osso ioide era in- dicata da un piccolo rilievo, che decorreva obliquamente nella parte anteriore. i L’estremità inferiore della colonnina portava una superficie piana, incrostata di cartilagine, che si metteva a contatto con un’identica faccetta del corno superiore della tiroide. Un manicotto fibroso circondava l'articolazione, inserendosi a qualche mill. sotto delle superficie articolari, e continuandosi in ciascuna parte col periostio. Una sinoviale era interposta fra le faccette articolari. Questa giuntura era una diartrosi-artrodiale (planiforme). Nicolas pure accenna ad un apparecchio ioideo del museo di Lille, fornito d’un’ articolazione anomala tra il corno superio- re della tiroide ed il grande corno ioideo. Questi casi hanno un evidente significato di regressione nelle forme anatomiche, e, direi, d’arresto di sviluppo. Esiste una tendenza degli archi branchiali, o dei loro so- stituti, ad incontrarsi, e, se le parti patiscono movimenti, sì svi- luppa un’articolazione di tipo più o meno perfetto. — 104 — La contiguità ed il contatto primitivo delle grandi corna ioidee con le corna superiori della tiroide è un fatto certo, mo- strato dall’embriologia e dalla morfologia. Nell’embrione di 22 mm. il grande corno tiroideo è unito al grande corno dell’osso ioide per mezzo di una stretta striscia d’elementi mesenchimali, che ricordano affatto la zona interme- dia di una giuntura in via di sviluppo (Nicolas). Le mie ricerche su feti umani hanno assodato il contatto più o meno stretto tra il corno tiroideo superiore ed il grande corno dell’osso ioide. I. Nell’ embrione di 8° mese il grande corno tiroideo, lungo 4 a 5 mm., sì congiunge con l’estremità del grande corno del- l'osso ioide. Macroscopicamente non si scorge traccia di ligamen- to intermedio; e quindi non esiste il ligamento laterale. La mem- brana tiro-ioidea è incorniciata tra l'osso ioide in alto, il mar- gine prossimale tiroideo in basso, e la congiunzione tiro-ioidea al lati. Osservata la connessione al microscopio, si vedono gli estre- mi cartilaginei corrispondenti rivestiti di pericondrio; ma le fibre estreme del quale passano da un corno all’altro, insinuando fibre tra le due estremità (fig. 4). II. Nel feto di 4 mesi si conserva la precedente disposizio- ne; ma le fibre intermedie sono più numerose, ed ancora non si mostrano all’esterno. Ricercata la cartilagine triticea, 1 preparati microscopici non ne segnalano traccia. Fin qui le osservazioni grosse e sottili rivelano una strettis- sima sindesmosi. III. Nel feto di 5 mesi poi il contatto tra le corna tiro-ioidee è meno stretto, ed è appena visibile un ligamento intermedio. IV. Nel feto di6 mesi il ligamento tiro-ioideo laterale non è molto manifesto; ma racchiude un nodettino, più vicino al corno tiroideo che all’estremità ioidea. — 105 — Comunicando al corpicciolo delle pressioni, si vede muovere sopra il corno tiroideo, tradendo la sua scontinuità, che è appe- na percepibile allo stato di riposo. Contro la punta del corno ioideo si muove più liberamente, e la separazione riesce molto netta. Facendo il rapporto della lunghezza del corno tiroideo a questa epoca con la lunghezza del corno tiroideo dell'embrione di 3° mese, risulta che quello è più corto, pure essendo indiscu- tibile un accrescimento nei mesi successivi al 3°. Ma se nella mi- sura del corno tiroideo del feto di 6 mesi si comprende il cor- picciolo di nuova comparsa, tale misura supera la dimensione del corno tiroideo dell'embrione di 3° mese, e dei feti di 4° e 5° mese. Queste considerazioni inducono ad ammettere che il nuovo corpicciolo sia parte del corno tiroideo da cui si è distaccato. L’esame minuto dimostra una medesima natura di cartilagine ialina nel corno tiroideo, nel nodetto, e nel corno ioideo (fig. 5). Senza dubbio questo frammento tiroideo è la cartilagine tri- ticea, racchiusa nel ligamento tiro-ioideo laterale dell’adulto. Talvolta la cartilagine triticea è così piccola, che ha aspet- to granulare. Sandifort notò questa varietà nei neonati: « Hyoide totum cartilagineum, cum granulis cartilagineis in ligamentis, quae ab extremis cornubus pertinent ad thyroideam ». Nell'uomo la congiunzione tiro-i0idea scomparisce, cedendo il posto ad una larga sindesmosi; ma negli altri mammiferi si — 106 — converte in una diartrosi-planiforme, che rappresenta l’ultima evo- luzione dei contatti branchiali, o dei loro sostituti. Una nitida prova di questo asserto l’ho avuta osservando i vertebrati, che imprendo a deserivere. I. Nel merluzzo l'estremità anteriore del 3° arco branchiale s'allarga in una lamina triangolare con l'apice smusso rivolto in avanti, e la base indietro. La faccia anteriore è concava, la posteriore convessa; il mar- gine interno s'adatta alla copula, l'esterno è libero. Dall’angolo esterno dell’apice parte un ligamento, che Vav- vince al 2° arco. Dall’angolo interno si prolunga un’apofisi gra- cile, diretta in alto ed indietro, per incontrare un’altra eminen- za, esile e corta, che nasce. dalla faccia anteriore della copula del 2° arco, tra le basi del quale resta incastrata. Così le due apofisè, congiunte con l’eminenza , insieme ai margini interni delle lamine, costituiscono un arco, che la co- pula, chiudendolo in basso ed innanzi, completa in occhiello. La metà esterna della base della lamina si continua col pro- prio arco; la metà interna offre appoggio al 4° arco. Oltre di queste connessioni nel 3° e 4° arco, poco prima della loro estremità posteriore, vi sono due piccole apofisi, che sì mettono in contatto. Io non seguo nelle sue vedute analogi- che l’insigne autore della Filosofia anatomica: il quale, attratto dalla corrispondenza, stabilisce Panalogia tra l’occhiello e la glot- tide, tra le apofisi e le cartilagini di Santorini, tra le lamine e le aritenoidi degli uccelli. Né sento d’apporre a G. S. Hilaire che il 3° e 4° arco branchiale si convertono in cartilagine tiroide, come pensa il Grassi !) Basta al mio scopo di rilevare che il 3° arco protende un’ apofisi articolare verso il 2° arco, e che il 3° arco mediante un’apofisi e con la sua base si connette col 4°. II. Nel SWurus glanis le branche laterali del 5° ed anche del 4° arco branchiale, mancando le copule, appoggiano all’ os- so basibranchiale del 3° segmento ioideo (Bosenthal). TIT. Il Callorhynehus ha i pezzi epibranchiali ed artrobranchiali dilargatissimi, e sovrapposti gli uni su gli altri a guisa di em- brici (Muller). Gègembaur considera negli anfibî perennibranchie il primo segmento branchiale come. un arco ioideo; ed afferma che gli al- !) Sento il dovere d’esprimere, da queste pagine la somma delle grazie al dott. Pittaluga per avermi concessa la lettura delle belle lezioni del prof. Grassi. — 107 — tri archi seguenti si riuniscono ad un corpo ioide comune, a cui i tre o 4 ultimi non arrivano isolatamente, ma dopo essersi riu- niti tra loro. IV. Nei sauri e nei colubri l'apparecchio ioideo ha un ba- siale piccolo, triangolare, con l’apice rivolto in avanti, e la base indietro. La faccia anteriore porta un'incisura longitudinale, che forse accenna a qualche congiunzione di due pezzi. L’apice si proluuga in un’esile spina, che funziona da osso linguale. Dalla base, fuori della linea mediana, scendono due spine, che s'appog- giano ai lati dell’incompleta laringe e della trachea. Dagli an- goli laterali partono le corna inferiori, lunghe, e più robuste tra gli altri processi: e sono co-ì confusi co’ bordi dell’incisura lon- gitudinale, che pare, che, fondendosi, formino essi il basiale. Le piccole corna sono impiantate al corpo ioideo sopra dell’inser- zione delle grandi. V. Negli uccelli, come nel gallo, il basiale sostiene due ro- buste corna laterali: l'osso linguale sporge in avanti; l’uroiale scorre insotto, applicato alla cricoide e primi anelli tracheali. L'apparecchio ioideo isolato si mostra come una croce latina. Nel tacchino l’uroiale, incastrato tra le due basi delle corna la- terali, riesce a mettersi in contatto col basiale. Fin qui, in queste famiglie di bassi vertebrati, apparisce chia- ramente la tendenza ad incontrarsi degli archi branchiali o degli organi, che li rappresentano; ma non si ritrova una giuntura, più o meno, perfetta. VI. L’osso ioide della cavia ha una forma irregolarissima ed originale. Il corpo,. piccolo, ha la faccia anteriore occupata da una sporgenza nodulare; la quale trova riscontro in un tuber- colo conico, che s'incontra spesso nella faccia anteriore dell'osso ioide umano. La posteriore è leggermente concava trasversal- mente, con dolce convessità nel senso verticale. Gl' ipoiali sono corti !/» cm, e schiacciati da sopra in sotto. L’estremità interna sì fonde con quella dell’altro lato sopra il corpo; l'esterna è for- nita da un nodulo cartilagineo , che cementa il ceratoiale, che rappresenta la parte terminale del piccolo corno. Il margine an- teriore dell’ipoiale, rotondeggiante, incomincia alla parte supe- riore della sporgenza nodosa del corpo; il posteriore internamente si continua con quello dell’altro lato, formando un arco. Il grande corno, lungo !/» cm. è compresso trasversalmente, con una faccia anteriore ed esterna ed un’altra postero-esterna. L’estremità interna si fonde con la parte inferiore della spor- — 108 —- genza nodulare del corpo; la quale risulta formata dalla con- giunzione delle quattro corna. L’estremità esterna è libera e sottile. Il margine superiore è innestato con la faccia inferiore del- l’ipoiale: il margine inferiore è libero ed affilato. La faccia antero-esterna del grande corno col margine an- teriore dell’ipoiale limitano una fossetta: le facce posteriori delle due corna, grande e piccolo, col corpo formano una gronda con una fossetta alla parte media, corrispondente alla protuberanza del corpo. Sembra che la gronda voglia abbracciare la tiroide, ricor- dando l’apparecchio ioideo della Ripa. La fusione delle grandi con le piccole corna è un periodo avanzato della soprapposizione ad embrice dei pezzi epibranchiali ed artroiali notata nel CallorRynchus. La cartilagine tiroide, priva dell’incisura mediana, porta due grandi corna, lunghe 4 mm; le loro teste si connettono col pic- colo e col grande corno nel punto di contatto delle loro estremità. VII. Il coniglio ha l'apparecchio ioideo abbastanza speciale. Il corpo è tozzo: la faccia anteriore presenta una cresta ver- ticale che, con l’estremità superiore, mette capo ad una spina conica che sporge in avanti, e con l’inferiore si confonde in una sporgenza meno rilevata. Considerata nell’insieme, la faccia ante- riore è selliforme, convessa trasversalmente, concava da sopra in sotto. La faccia posteriore è lievemente concava, quasi piana. La faccia superiore offre una fossetta triangolare, con la base indie- tro, e l'apice in avanti sopra della spina conica. La faccia infe- riore è planiforme, e triangolare. I margini laterali del corpo sono concavi nel senso verticale: alla loro parte anteriore è in- tagliata una faccetta articolare ellittica, col grande asse diretto nel senso del margine. Le piccole corna incominciano alla spina angolare, che essi formano con la loro fusione, e corrono sul margine superiore del corpo. Poco distante dal margine laterale del corpo le piccole corna hanno una faccetta articolare piana al loro margine inferiore. Le grandi corna presentano una testa, con una faccetta el- littica, che s’articola col margine del corpo; ed un’altra faccetta superiore a questa, che forma giuntura con la faccetta del pic- colo corno. Alla testa segue un collo: ed a questo un corpo, schiacciato davanti indietro. Dall’estremo interno del margine inferiore del corpo del corno all’estremo superiore del margine laterale del corpo del- — 109 — l’osso ioide s’estende un ligamento, che maschera il collo, e men- tisce la continuità del margine inferiore del corno col corpo ioideo. L'articolazione del grande corno col piccolo ricorda più stret- tamente la mia articolazione tiro-ioidea. La cartilagine tiroide, senza incisura mediana, ha le corna superiori piccolissime, un 3 mm; le quali non contraggono alcun rapporto con le grandi corna ioidee. VIII. Il corpo dell’osso ioide della pecora è più esteso nel senso trasversale che nel verticale: gli angoli superiori si prolungano in un'apofisi di 1/2 cm.; la quale presenta due faccette articolari, una superiore per il piccolo corno, ed un’altra inferiore per il grande corno. Qui le due corna ioidee non si articolano, come nel coniglio, ma il grande corno contrappone un suo tubercolo ad unalieve eminenza del piccolo; tra cui s'interpone un ligamento. L'articolazione tra le corna ioidee del coniglio è divenuta una sindesmosi nell’apparecchio ioideo della pecora; dove i due tubercoli rappresentano la parte ossea. Il grande corno dell’osso ioide s’inchina in basso ed indietro per raggiungere il grande corno della tiroide, col quale s'articola con la sua punta cartilaginea. La cartilagine tiroide solleva dalla parte media del suo mar- gine superiore un tubercolo conico verso il corpo dell’osso ioide. La faccia anteriore del tubercolo, obliqua in basso ed in avanti, è occupata dal ligamento tiro-i0ideo medio. Proiettando l'apice del tubercolo alla faccia posteriore del corpo ioideo, si rileva che gli corrisponde alla parte media. | Nella pecora un tubercolo tiene il luogo dell’ incisura supe- riore del margine tiroideo, che tende ad incontrare il corpo del- l’osso ioide. Il grande corno della tiroide è piccolo, non più alto di mezzo cm., sul suo apice è tagliata obliquamente da sopra in sotto e da dietro in avanti una faccetta piana, che s'appone all’analoga faccetta del grande corno ioideo. Un robusto pericondrio fa da mezzo contentivo all’articolazione. IX. Nel gatto il corpo dell’osso ioide è cilindroide ; ma la faccia posteriore è obliqua in basso ed in avanti: si rigonfia un poco ai lati, dove è fornito di due faccette per le articolazioni con le corna. Sono quasi impercettibili i due tubercoli delle corna notati nella pecora: quello del grande è più visibile dell’altro. Tra i due nodoli s’interpone del connettivo. — 110 — Le grandi corna ioidee sì portano in basso ed in fuori, poi sì piegano indietro per guadagnare le corna tiroidee. Ai loro estremi si trova un pezzetto di cartilagine. La cartilagine tiroide s'innalza verso il corpo ioideo con la parte media del suo margine superiore: manca l’incisura mediana, ed in luogo di questa vi è una punta convessa, modellata su la curva che le rivolge il corpo del ioide insieme con le prime por- zioni delle sue grandi corna. Le corna superiori della tiroide sono alte 4 mm., e presen- tano una faccetta articolare per la connessione con le grandi corna ioidee. i X. Il corpo del ioide della volpe è maggiore di quello del gatto. Il tubercolo del grande corno è manifesto, manca quello del piccolo. Esiste un vero ligamento tra il nodolo del corno mag- giore e l’ipoiale del piccolo. La tiroide ha il margine superiore conformato come quello del gatto. Il suo grande corno, alto 4 mm., s'articola con il grande corno dell’osso ioide. XI. Nel cane v'è la giuntura tiro-ioidea, corroborata da un forte pericondrio all’esterno; internamente s’insimua del connet- tivo, che allaccia le parti articolari. Mancano i ligamenti laterali tiro-101dei, che vanno da un corno all’altro. Hellemberger e Baum indicano la mancanza dell’incisura su- periore nella cartilagine tiroide. Nel luogo di essa s’impianta l’epiglottide, il cui peduncolo forma un ginocchio, che s'appone al margine inferiore ed in parte alla faccia posteriore del corpo dell’osso ioide. XII. La talpa ha il corpo dell’osso ioide piccolissimo, fuso ai lati con le grandi corna. Nel punto di fusione si articolano le pic- cole corna. La cartilagine tiroide è conformata a semianello, poco più alta alla parte media del margine superiore, dove non si vede alcuna incisura. Il grande corno tiroideo è lungo 2!/ mm. e s’articola col grande corno ioideo. XIII. Neanche nelle scimie antropomorfe va perduta l’artico- lazione tiro-ioidea, se si può argomentare dal Cimpanzè di Spe- rino, che presenta la connessione del corno superiore tiroideo col grande corno dell’osso ioide. Messe all’esame microscopico le articolazioni tiro-ioidee della pecora, del cane, e del gatto, mostrarono una perfezione maggiore della strettissima sindesmosi fetale dell’ uomo, avvicinandosi di — ll — più al tipo articolare. Le superficie articolari non sono più separate da alcuno strato connettivale, e si mettono ad immediato contatto. Nelle sezioni si scorgono, nella zona articolare, le capsule cartilaginee, fusiformi, strette, allungate parallele alle faccette; e sono distribuite in quattro o cinque file. Procedendo dalla super- ficie articolare verso l'interno della cartilagine, le capsule, così conformate, si vanno diradando, e cedono il posto a delle cap- sule rotonde, che pur sono rare. Manca il 3° strato delle capsule scriate, che si vede nella cartilagine d’incrostazione delle giun- ture normali. Dopo delle capsule rotonde la disposizione cellulare è uniforme nel resto della cartilagine. Non manca la sinoviale. Il pericondrio, passando da un'estremità all’altra, funziona da ligamento: all’esterno è più robusto che all’interno, dove è rafforzato da connettivo (fig 6). In tutti gli esemplari, esaminati microscopicamente, non si potè scorgere la cartilagine triticea: nelle articolazioni tiro-ioidee, osservate al microscopico neppure si vide traccia d’essa cartilagine; la cui mancanza nel cane fu anche notata da Hellenberger e Baum. Come l’articolazione tra le corna ioide del coniglio s'è tra- sformata in sindesmosi nella pecora, nel gatto e nella volpe; così l’articolazione tiro-10idea dei mammiferi, da me esaminati, è pas- sata in sindesmosi nell'uomo: in cui per eccezione il corno supe- riore tiroideo s’articola con il grande corno dell’osso ioide. Indicano quindi una regressione atavica le articolazioni tiro- ioidee che possono incontrarsi nell’uomo. La cartilagine triticea è un distacco del corno superiore della tiroide nella vita intrauterina dell’uomo, e non si ritrova nei feti fino al 6° mese, nè nei mammiferi sopra menzionati. CLIO BIBLIOGRAFIA Crauvrav ET ArLome. — Anatomia Comparata degli animali domestici. To- rino. Carus. — Anatomia comparata. Napoli, 1822. Cavazza.— Sulla Splanenologia d’un troglodita nero-Archivi per l’Antro- p S 8 pologia. v. V, p. 211, an. 1875. DeBIERRE. — Anatomia umana. Milano. DeBIERRE. — Sur une artieolation anomale entre l’os hyoide et le cartila- gine thyroide de l'homme Jour. Anat. et Phys, 1886. Dugors. — Zur Morfologie des. Laryn. Anatomischer Anzeiger. 1. 1886. p.:170. Greemaur. — Lehrbuch der Anatomie des Menschen 7 Auflage 1899. Greempaur. — Manuel d’Anatomie comparée. Paris, 1874. Giacomini. — La plica semilunare e la laringe nelle scimmie antropomorfe. Nota suppletiva all’Anatomia del negro.— Giornale della R. Ac- cademia di medicina di Torino, 1897. G. 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(Tornata del 28 febbraio 1904) Le notizie che finora si hanno sui rapporti e la costituzione intima degli organi interposti tra il testicolo e il deferente nei Rettili, sono incomplete. Ciò è dovuto al fatto che questi organi non sono stati mai studiati di proposito. È vero che dopo 1’ ul- timo lavoro dello Henry !°) #, pubblicato nel 1900, si è avuto un certo risveglio nello studio citologico dell’epididimo e degli altri organi vicini, per opera di valenti osservatori come l’ Aigner !), il Fuchs 6), il Régaud !); ma le preziose ricerche di questi au- tori si sono circoscritte ai soli Mammiferi. In questa classe di animali non tutti sono di accordo nello ammettere la presenza delle ciglia nelle cellule dell’epididimo. Koel- liker !2), Becker 2), Henle *), Hermès 4) ed altri ne sostengono la presenza, l’ Aigner !) ed il Fuchs ?), specialmente quest’ ultimo, la negano. Dopo gli studii del Van der Stricht ?2), dello Henry 15), del Von Lenhossèch !), di Hammar °), di Fuchs $), del Régaud 19), ecc., sì è dimostrato ampiamente la natura glandolare dell’ epi- didimo, mentre quella del deferente e dei vasi eftferenti era già stata dimostrata dallo Schaffer 2), dal Myers Ward !) e dal Limon !4), recentemente. Generalmente è noto che 1 canalicoli retti e la rete di Haller sono provvisti di epitelio basso e non ciliato, mentre un po’ discordi sono le nostre conoscenze sui canali efferenti e 1 conì vasculosi. Koelliker !?) sostenne che questi vasi, nell’Uomo, presentavano un epitelio a cellule cilindriche e vibra- tili; Hermès !!), invece, sostiene che nei vasi efferenti le cellule ciliate si alternano colle non ciliate. Nel deferente le cellule sono anche sprovviste di ciglia e sono più o meno cubiche. Tutte queste notizie sono relative all'Uomo e ad alcuni Mam- miferi, perchè, tranne il Van der Stricht *) e l’Henry *) che hanno fatte ricerche anche sui Rettili, tutti gli altri sì sono occupati # Imnumeri in alto indicano l’ordine col quale trovasi citato l'Autore nella bibliografia di questo lavoro. — 115 — solo di quegli animali. Sicché , se poco numerose sono le osser- vazioni fatte sui Mammiferi, scarsissime sono quelle fatte sui Ret- tili, di alcuni dei quali mi occupo nel presente lavoro. ANATOMIA MACROSCOPICA OSSERVAZIONI SPECIALI Gli autori che hanno studiati gli organi genitali dei Rettili, di comune accordo , affermano che i canaletti etterenti che in- tercedono tra il testicolo e l’epididimo sono numerosi. Questi canaletti però non sono numerosi in tutti gli ordini dei Rettili e la conclusione tratta dall’ esame di alcuni gruppi non si adatta egualmente bene in tutti i casi. Basta, infatti, por mente al gran disaccordo che si nota nei diversi Autori che sì sono occupati dei Sauri, per convincersene. Nei Sauri, almeno per quanto se ne può conchiudere dalle notizie che se ne sono pubblicate, il numero dei canali in que- stione non pare ben definito. Alcuni osservatori parlano di pa- recchi tubi, altri di pochi e, quello che più sorprende, l'accordo non sussiste neanche per esami fatti dai singoli studiosi su esem- plari diversi della stessa specie. Vogt e Iung, per osservazioni personali fatte sul Ramarro, affermano che in questi Sauri i ca- naletti etferenti sono una dozzina, invece il Martin Saint-Ange afferma esservene soli due o tre. Come mai questo numero è così vario ? Si tratta di errore di osservazione o il numero dei canaletti può variar tanto negli individui raccolti in regioni diverse ? Tale disaccordo m’ indusse ad intraprendere delle prepara- zioni «rn toto nelle nostre Lucertole. Tali preparazioni mi fecero concludere che in questi Sauri eravi un solo canale efterente. Confesso che in principio credetti che questo stato di cose fosse un'anomalia degli individui da me presi in esame, ma, ben presto, ricerche ripetute ed accurate confermarono la prima osserva- zione. Difatti è sempre uno solo, almeno nelle Lucertole che 10 ho avuto ad esaminare !), il canale che mette in comunicazione l’epididimo col testicolo. Questo unico canale attraversa il me- sorchio e, arrivato sulla capsùla surrenale, che nei Sauri trovasi 1) Queste Lucertole sono state catturate tutte alla vetta del Colle dei Camaldoli, versante di Nord-Est. ERO quasi intimamente connessa al lato interno della testa dell’ epi- didimo, vi si ramifica come un albero. Non è sempre agevole riconoscere il vero stato delle cose, e forse, appunto questa difficoltà spiega perchè le opinioni degli osservatori siano state così diverse dal vero. Facendo ripetute esperienze ho trovato che il migliore modo per vedere chiara la disposizione dell’ organo è il seguente: si cerchi di distendere su d’un portaggetti, il più che sia possibile, il mesorchio, e si procuri poi di allontanare dalla capsula sur- renale una buona parte dello stroma ond’ essa è costituita, ba- dando però di operare solo dalla parte opposta a quella sulla quale vi sono le ramificazioni dianzi descritte. Fatto ciò, si co- lori il preparato leggermente col picrocarminio 0 meglio col car- minio di Mayer e si rischiari la preparazione colla essenza di anici. Procedendo in questo modo sì può giungere ad avere degli splendidi preparati, i quali, chiusi nel balsamo di Canada, mo- streranno con tutta evidenza il tubo fondamentale e le sue ra- mificazioni. Nè vi è luogo da prendere equivoco sul valore dei tubi che si hanno sotto gli occhi, perchè il tubo efferente, anche ad un esame superficiale, subito, per il suo aspetto, si distingue dai numerosi vasi sanguigni che attraversano il mesorchio. Chi sa che precisamente questi vasi sanguigni non siano stati quei canali che furono scambiati per tubi efferenti? Non mi saprei spiegare altrimenti |’ affermazione di quelli che hanno descritta la presenza di più canalini efferenti nelle nostre Lucertole. Nello Zamenis viridiflavus in principio volli tentare delle iniezioni dal deferente e colla gelatina e col carminio e col mer- curio, ma non potetti mai riuscirvi, sia per la lunghezza enorme del deferente, sia perchè questo è strettissimo e molto circonvo- luto. Inoltre, la grande quantità di sperma, accumulato in esso, impediva al liquido di potervi penetrare anche quando, messi gli organi in acqua tepida, cercai, con leggere compressioni, di li- berare il deferente da una buona quantità di spermatozoi. Riuscito vano ogni tentativo, pensai di servirmi dello stesso metodo da me usato per i Sauri descritti, meno quello della di- struzione dello stroma della capsula surrenale, perchè questa tro- vasi posta al lato esterno inferiore dell’epididimo , ed ho visto che i vasi che escono dal testicolo sono di numero non ben de- terminato e costante. Essi escono in maggior numero al livello delle due estremità del testicolo, che è molto allungato e le cui dimensioni variano di poco durante le varie fasi spermatogeni- che. Questi due gruppi di canalini, ad una certa distanza dal i testicolo e in prossimità dell’epididimo, si anastomizzano tra loro in modo da formare due specie di reti lievemente accennate, una che trovasi in relazione con la parte cefalica dell’epididimo, Val- tra, con la porzione caudale. Incoraggiato da tale successo ho ripetuto lo stesso metodo nell’ Elaphis quadrifasciatus e i risultati furono identici a quelli ottenuti per lo Zamenzs viridiflavus. Anche nell’ Elaphis il numero dei canalini efferenti non è co- stante; dippiù sono anche essi disposti in modo da formare la doppia rete. Ma, sia il canale unico dei Sauri, come i molti da me descritti negli Ofidi, sono dei vasi efferenti omologhi a quelli dei Mam- miferi? No, e lo dimostrerò ampiamente alla fine di questo lavoro. L'unico canale efferente delle Lucertole descritte comunica, mercé i suoi rami, con l’epididimo. Nell’ Elaphis e nello Zamenss, invece, comunicano con quest’ organo i rami ad esso prossimali dei due accenni di rete formati dai canalini efferenti. Ho diggià fatta notare la penuria di lavori sull’ epididimo dei Rettili. Finora gli osservatori sono stati due: il Van der Stricht e l Henry. Il Van der Stricht, in una sua nota sull’epididimo della La- certa vivipara, dimostrò in quest’organo l’esistenza di due specie di canali: alcuni piccoli, poco numerosi e ciliati; altri grandi e non ciliati. L'attenzione di questo illustre istologo fu attirata in- teramente da questi ultimi tubi, perchè essi presentavano dei fe- nomeni di secrezione abbastanza importanti e singolari. L’Henry in seguito, riconfermò l'osservazione del Van der Stricht sulla La- certa vivipara e la dimostrò vera anche per altre specie come : la Lacerta muralis, Vagilis, la viridis e per lo Hemydactylus tur- cicus, la Vipera aspis e VAnguis frugilis; ma anch’ egli s° occupò solo dei tubi più grandi e della funzione secretrice del loro epi- telio, senza dare importanza ai tubi più piccoli. Nella nota che ha preceduto questo lavoro ho fatto notare come l’Henry abbia creduto che questi tubi minori non fossero altro che dei tubi di sostituzione e riportai le parole testuali che tale concetto affermavano. In verità il chiaro autore non dimo- stra in qual modo questi canali minori sostituiscano o possano sostituire gli altri. Egli cerca di sostenere questa sua ipotesi facendo notare che i tubi piccoli, che di solito non hanno spermatozoi nel loro lume, li presentano invece quando s’ingrandiscono. Ma anche con que- ste osservazioni la sua è sempre un'ipotesi e mai un fatto dimo- = We — strato. Farò vedere nel seguito di questo lavoro che l'ipotesi è sbagliata. Del resto, Henry stesso riconosce quanto poco fonda- mento essa abbia, perchè dice: « Quoi qu'il en soit, nos recher- ches ont porté exclusivement sur les gros tubes épididymaires qui nous ont fourni des aspects très curieux et variés. Aussi tout ce qui va suivre se rapportera à ces tubes ». Dimodochè entrambi gli autori che hanno studiato 1° epidi- dimo dei Sauri si sono occupati dei soli tubi grossi. Tale stato di cose attirò la mia attenzione sui tubi più pic- coli e, prima di tutto, sono ricorso al metodo delle dissezioni. Dopo un certo numero di tentativi arrivai a questo risultato: Nelle due specie di Lucertole, da me prese a studiare, i tubi pic- coli comunicavano con i grossi in tutti i tempi. I tagli in serie di organi fissati nei vari periodi della loro attività hanno confermata la semplice osservazione macroscopica. Ma v'è dippiù. I suddetti osservatori non hanno visto che quei tubi grossi, che essi ritengono per più numerosi dei piccoli, non siano che un solo. Anche io alle prime osservazioni la pensavo così; ma, allorchè esaminai dei preparati seriali fatti nel tempo in cui l’e- pididimo presentava i fenomeni secretorit molto accentuati, cioè in primavera, fui costretto a mutar parere. L'unico tubo appare multiplo perchè esso è molto circonvo- luto e, specie quando il suo epitelio è in riposo, riesce difficilis- simo , se non impossibile , seguirlo. Tale difficoltà aumenta per chi non vi abbia moltissima pratica, anche se egli facesse osser- vazioni attraverso tagli in serie abbastanza spessi. Nel tempo in cui l attività secretrice del grosso canale raggiunge il massimo, riesce facilissimo controllare la mia osservazione. Nell EZaphis e nello Zamenis non ho avuto il bisogno di ri- correre alle dissezioni. I preparati 7 foto, fatti nella maniera che innanzi ho descritta, mostrano chiaramente come gli ultimi rami dei canalini efferenti comumichino con i tubi più piccoli e molto numerosi dell’epididimo e come questi ultimi vadano a sboccare nell'unico tubo più grande, che è poco tortuoso. Per sincerarsene, basterà guardare le figg. 8 e 9- della tavola annessa a questo lavoro. Sia nelle due specie di Sauri che nelle due altre di Ofidi, da me studiate, al grosso canale dell’epididimo segue il deferente. Quest’ organo, che nelle Lucertole non è tanto tortuoso, negli Ofidi, invece, è molto circonvoluto. Sicchè, come pare, in questi — 119 — animali la tortuosità del deferente è in ragione inversa di quella del grosso tubo epididimario. Da quello che ho detto si vede come i tubi piccoli abbiano una grande importanza morfologica e funzionale. Morfologica, perché essi, almeno dalle notizie di embriologia che finora si han- no, sarebbero i rappresentanti del corpo di Wolff; fisiologica, perchè, invece di essere dei tubi di sostituzione , come ha cre- duto l’Henry, servono a portare al grosso canale, che sarebbe il canale di Wolff, il seme che loro viene dal testicolo mercè l’uni- co oi molti tubi efferenti. ANATOMIA MICROSCOPICA OSSERVAZIONI SPECIALI Nella esposizione dei fatti da me osservati nelle ricerche mi- croscopiche seguirò lo stesso ordine di descrizione, che ho tenuto per la parte macroscopica; solo premetterò ad essa la tecnica da me seguita. Tecnica — Come liquidi fissatori per fare queste ricerche mi sono servito del liquido di Flemming, di quello di Hermann, del sublimato acido e del liquido di Zenker. I risultati migliori li ho ottenuti col liquido di Flemming e con quello di Zenker. Il sublimato acido e il liquido di Hermann mi hanno dati cattivi risultati, perchè questo anneriva troppo i tessuti e quello li rattrappiva molto, quantunque si prestasse benissimo per le doppie colorazioni. I tessuti fissati per intero nel liquido di Zenker e a pezzetti in quello del Flemming, dopo 12 ore debbono esser tolti e messi in alcool a 70°. Nello alcool a 95° i pezzi fissati debbono stare al più 12 ore e, dopo un passaggio di un paio di ore al massimo in alcool assoluto, debbono essere inclusi previo passaggio in un liquido rischiarante. Le colorazioni migliori sono quelle ad emallume ed eosina o saffranina ed acido picrico, sebbene io abbia usato anche quelle ad emallume oppure ematossilina ed Orange G. o quella al bleu di metilene con uno dei sunnominati colori protoplasmatici. In tutte e quattro le specie di Rettili sulle quali ho fatte le mie osservazioni il testicolo non presenta septula ed esso non è che un semplice ammasso di tubi seminiferi in vario modo con- voluti e circondati da una sottile guaina di fibre connettivali 2 #90: formante l’albuginea. I tubi seminiferi, o si riuniscono in un uni- co tubulo retto al quale segue l’unico canale efferente come nelle Lucertole, oppure danno origine a più tubuli retti, cosa che av- viene negli Ofidi descritti. Sia in questi come nelle altre, l’epi- telio dei tubuli seminiferi, che è formato da più strati di cellule, tutto ad un tratto si abbassa per dar luogo all’ epitelio del tu- bulo o dei tubuli retti. Nell’un caso e nell’ altro, questi canali- coli hanno le loro pareti tappezzate da cellule basse e non ciliate. Ho fatto rilevare al principio di questa mia esposizione che i canalini efferenti, nei Mammiferi e nell'’Uomo, risultano costi- tuiti da un epitelio cilindrico, vibratile e secretivo. Nel Ramarro e nella Lucertola delle muraglie, invece, ho visto che l’unico canale efferente è costituito da un epitelio basso e non ciliato. La stessa struttura presentano i tubi efferenti del- l'Elaphis e dello Zamenis. Dippiù il lume di questi tubi, non sempre ma spesso, è ripieno di spermatogonii e spermatociti che, continuando il loro cammino, vanno all’epididimo dove poi si ma- turano dando origine agli spermatozoi. Ciò avviene quando la maturazione degli elementi che debbono dare origine allo sperma non è ancora incominciata nell’ interno dei tubi seminiferi; ma, allorchè essa avviene, tubuli retti, vasi efferenti ed epididimo sono invasì dagli spermatozoi prodotti dai tubi seminiferi. IL’ Henry nell’ epididimo degli Uccelli, ha descritte tre spe- cie di tubi: alcuni vasti, simuosi, con epitelio basso e non ci- liato, altri più piccoli con cellule alte non ciliate alternate con altre ciliate e disposte in modo da formare delle sporgenze nel lume dei tubi da esse delimitate, altri, infine, piccolissimi con cellule ciliate e non ciliate. Nel lume dei canali della prima ca- tegoria, cioè quelli ad epitelio basso, (e che io in altra mia pub- blicazione dimostrerò non appartenere all’epididimo, ma essere omologhi ai canaletti efferenti dei Rettili da me presi a studiare), egli descrive la presenza di detriti cellulari, nuclei degenerati, spermatozoi e piccoli granuli safranofili. Ora questi tubi si com- portano allo stesso modo dei vasi efferenti delle Lucertole e de- gli Ofidi dei quali è parola in questo lavoro. Quei detriti cellu- lari, quei nuclei degenerati e quelle granulazioni safranofili, che l'Henry descrive, non sono altro che spermatociti, spermatogonii e pezzi di protoplasma e nuclei di queste forme cellulari uniti alla secrezione propria del testicolo. Ho diggià detto che l’epididimo dei Rettili è costituito da due specie di vasi ed ho fatto notare come i tubi piccoli comu- nicavano con il più grande. — 121 — I tubi piccoli sono stati descritti con più precisione dal Van- der Stricht che, in poche parole, ne dà una descrizione esattissima. Egli dice che quei tubi sono fatti di due specie cioè: alcuni sono co- stituiti da cellule quasi cilindriche, gli altri, che sono in maggior numero, presentano cellule cubiche come costituenti del loro epi- telio. Gli uni e gli altri presentano ciglia, ma queste sono più corte nei primi e abbastanza lunghe nei secondi. Il valente isto- logo fece le sue osservazioni in una Lacerta agilis catturata verso la seconda metà del mese di aprile e potette quindi facilmente accorgersi di questo duplice aspetto presentato dai tubi minori in primavera. Nelle altre stagioni, specie nel periodo di riposo, questa differenza non è tanto rilevabile. I tagli seriali, da me fatti, mostrano come i tubi minori a cellule cilindriche siano quelli che comunicano con i rami del vase o dei vasi efferenti. L’epitelio basso di questi rami si con- tinua d’un tratto con quello dei tubi a cellule cilindriche, sieché il passaggio dall'uno all’altro epitelio è abbastanza brusco. Dopo i tubi minori a cellule cilindriche seguono quelli a cellule cubi- che. Tutte queste relazioni, da me osservate, sono facilmente vi- sibili in tutti i tempi; ma l'osservazione riesce meglio se vien fatta su animali uccisi in primavera, perchè i tubi minori pre- sentano meglio e più spiccatamente le differenze che li fanno distinguere gli uni dagli altri. Quale è la causa che contribuisce a rendere più evidente la doppia costituzione di questi tubi? La secrezione. I tubi, infatti, a epitelio cilindrico e ciliato aumentano di calibro perchè le sin- gole cellule s’ingrandiscono quasi del doppio in seguito a feno- meni secretorii abbastanza importanti. A causa di questo ingros- samento questi canali assumono una grandezza intermedia tra quella del tubo grosso, di cui tra poco mi occuperò, e quella dei tubi piccoli a cellule cubiche. Quindi non è il solo tubo grande quello che presenta feno- meni di secrezione, ma anche i tubi piccoli che son provvisti di cellule cilindriche. Questo fatto è sfuggito alla osservazione de- gli Autori per lo innanzi citati, non solo perchè essi sono stati attratti a studiare il tubo grande, ma anche perchè la secrezione dei canaletti a cellule cilindriche è manifesta in un dato perio- do dell’anno e in un modo poco netto. Buona porzione delle ci- glia delle cellule di questi tubi al momento della secrezione scom- pare per poi riformarsi a secrezione finita. Il lume di questi tubi, che chiamerò di media grandezza, nelle Lucertole, è spesso occupato da spermatozoi e ciò avviene specialmente nell’epoca degli amori. — 122 — I tubi piccoli a cellule cubiche ne sono, invece, quasi to- talmente sprovvisti. L’ Henry, forse, sorpreso da tale fatto, ha pensato che esso poteva venire in appoggio della opinione che egli aveva sui tubi piccoli. Difatti, poichè l’ Autore credeva che i tubi piccoli non fossero altro che tubi giovani destinati a rim- piazzare i tubi grandi (che poi non sono che un solo) spossati dalle ripetute secrezioni, così egli pensò che questi tubi di media grandezza non erano altro che tubi piccoli che si stavano trasfor- mando in grandi. Invece, come ho dimostrato, la cosa non va così. L'errore d’interpretazione sarà dovuto al fatto che, avendo l’Henry fatte delle ricerche puramente citologiche, difficilmente avrà studiato sn preparati con sezioni seriali e complete dell’or- gano in quistione. Il tubo grande è costituito da un epitelio non ciliato e che varia di dimensioni nelle diverse epoche dell’anno a causa della sua grande funzione secretrice. Nel 1897 lHammar pubblicò un lavoro sull’epididimo del Cane. L'A. osservò nelle cellule epite- liali di quest’organo un ciclo secretorio distinto in quattro fasi: lo Fase di riposo Yo. » » secrezione È 3°» » escrezione 4a 65 » ricostruzione L’Henry, nel suo ultimo lavoro del 1900, sulla guida data dall’Hammar, ha divisa l'evoluzione secretrice dell’epididimo dei Rettili, specie di quello delle Lucertole, in quattro periodi : l° Stadio di secrezione Yo » » ricostruzione 30 » >» riposo 4o » » presecrezione L’'Hammar aveva divisa la vera secrezione cellulare in due periodi: nel primo egli espose i fenomeni secretorii che avven- gono nel seno delle cellule, nel secondo, invece, descrisse la fuoruscita della secrezione dalle cellule. Henry ha riunite in una le fasi di secrezione e di escrezione dello Hammar formandone il suo stadio di secrezione, premettendo a questo quello di pre- secrezione. Il concetto a cui si è ispirato l’egregio Autore è stato, a parer mio, giustissimo, e lo sì vedrà dalla descrizione che segue e che, in sostanza, riconferma gli studi dell’ Henry. Nelle specie, da me studiate, nella fase di secrezione le cel- lule, che sono molto allungate, presentano uno o più nuclei in scissione Remakiana. Alcuni di questi sono in cromatolisi, così che fa capire come i nuclei abbiano un’attiva parte nella forma- — 123 — zione delle bolle di escrezione che occupano, in quantità più o meno grande, lo spazio che intercede tra essi e la porzione delle cellule limitante il lume del tubo. Allorchè le bolle di secrezione sono aumentate di numero premono contro questa parete e la rompono, versandosi nell'interno del canale e frammischiandosi ai numerosissimi spermatozoi che ivi si trovano. A questa fase segue quella di ricostruzione. Le cellule sono bassissime, abbon- dano i fenomeni cariocinetici del nucleo con sparizione completa della secrezione. Nello stadio di riposo, le cellule diventano un poco più grandi con protoplasma omogeneo e con mancanza completa di feno- meni amitosici e mitosici. Nell'ultima fase, cioè in quella di pre- secrezione, le cellule diventano abbastanza alte e presentano gli stessi caratteri che avevano nello stadio di ricostruzione. La secrezione, però, si avvera anche nei tubi di media gran- dezza, da me per lo innanzi citati. Dalle mie osservazioni risulta che i fenomeni sono identici a quelli del tubo grande, ma le cose non sono così nette come in questo e perciò sono rilevabili solo con un attento e paziente studio. Al tubo grande, il cui epitelio gradatamente si abbassa, cosa che risulta manifesta nello studio di sezioni in serie, segue il de- ferente. Le cellule di questo vaso non sono mai ciliate. Anche qui hanno luogo fenomeni secretorii importanti. In seguito ai miei studii, fatti per ora sulle Lucertole, ho stimato dividere in tre le fasi secretrici dei tubi di media gran- dezza e del deferente, cioè: 1° Periodo di riposo 20 » » secrezione dO » » ricostruzione Per maggior chiarezza descriverò prima gli stadii dei tubi medii e poi quelli del deferente. Nel primo stadio dei tubi di media grandezza, che va dal- l’agosto al gennaio dell’anno successivo, le cellule epiteliali sono tutte ciliate, ciascuna presenta un nucleo e il protoplasma è fi- namente granuloso. In questo periodo non si riscontra nessun fenomeno di moltiplicazione nucleare. Nel secondo stadio, che si manifesta dal febbraio al giugno, le cellule sono allungate e le ciglia non sono uniformemente di- sposte come nel periodo di riposo, ma qua e là qualche cellula se ne mostra priva. Al principio di questo periodo i nuclei si moltiplicano per amitosi e perciò non è raro il caso di trovare delle cellule provviste di due o più nuclei. Il protoplasma cellu- = 6 — lare è, nella parte compresa tra il nucleo e la porzione basilare delle ciglia, provvisto di una discreta quantità di bolle di secre- zione. Queste fuoriescono dalle cellule o per gli spazii compresi tra ciglia e ciglia o per le parti libere delle cellule che tali ciglia hanno perdute. Oltre ciò alcune cellule sono molto strette ed allungate per la compressione esercitata su di esse dalle altre a loro vicine. Parecchi nuclei sono in cromatolisi. Infine, nel terzo stadio, notasi un accentuato risveglio di mol- tiplicazione per amitosi e le cellule riparano a poco a poco alle perdite subìte. In qualunque fase si trovi l’epitelio di questi tubi, esso mostra sempre una certa quantità di cellule basali. Gli stadi descritti per i vasi di media grandezza sono ap- plicabili al deferente, con la differenza però che in questo man- cano le ciglia e che le sue bolle di secrezione sono un po’ più grandi di quelle dei tubi medi. Il canale del deferente vedesi, infatti, nel periodo della maturazione sessuale ,. ripieno di sper- matozoi e di bolle di secrezione. Queste sono di tre grandezze: grosse, medie e piccole. Le grandi sono le bolle che provengono dall’epitelio del tubo grosso; le piccole sono quelle segregate dai tubi medii, e le bolle medie appartengono al deferente. Tutte e tre queste specie di secrezioni sono ben distinte fra loro, oltre che per la grandezza anche per il vario modo di comportarsi colle sostanze coloranti. Alla colorazione coll’emallume ed eosima la secrezione del tubo grande è riconoscibile per la grandezza dei granuli e per il loro aspetto. Questo è giallognolo al tempo della piena secre- zione, azzurro - scuro verso la fine di questa fase; quella dei tubi medii è fortemente colorata in rosso ; quella del deferente in rosso-chiaro. CONSIDERAZIONI Fino a poco tempo fa, e l'ho fatto già notare nella parte storica, tutti gli Autori dicevano che il canale dell’epididimo era tappezzato da cellule ciliate. L’ Aigner e il Fuchs nel 1901 ne sostennero la mancanza. Essi dissero il vero. La stessa cosa avrei sostenuta prima di questi Autori se altre mie occupazioni non me lo avessero im- pedito. L'errore di osservazione dei ricercatori precedenti è av- venuto o perchè, nello studio dei preparati, essi hanno preso per canale dell’epididimo i coni vasculosi i quali, in alcuni Mammi- feri, occupano grande parte del capo di quest’ organo (e nella SO — Cava Cobaya, come ho potuto osservare, questi coni vasculosi si avanzano fino nel corpo dell’epididimo), oppure perchè hanno prese per ciglia quelle piccole sporgenze che qua e là trovansi sulle cellule epididimarie. Il grosso tubo che io ho descritto nelle specie di Rettili, da me studiate, corrisponde senza alcun dubbio al vero canale del- l’epididimo dei Mammiferi e ce ne avvalora l'affermazione e il suo modo di comportarsi col vaso efferente e la sua costituzione isto- logica. Basta poi guardare un po’ le figure dei preparati 4% toto degli Ofidi, annessi alla tavola che accompagna questo lavoro, per convincersene. I tubi medii e piccoli a cellule ciliate che, nei Rettili e mag- giormente nelle Lucertole descritte, sono in intima relazione col grosso canale non sono altro che gli omologhi rispettivi dei vasi efferenti e consecutivi coni vasculosi dei Mammiferi. Difatti, nei Mammiferi, il lume dei canalini efferenti e dei coni vasculosi è tappezzato da un epitelio cilindrico o cubico, ciliato e secretore. Ma qui viene una domanda. L'unico canale efferente delle Lucertole o i più canalini e loro reti degli Ofidi a quali vasi dei Mammiferi corrispondono? Essi corrispondono ai tubuli retti e relative reti di Haller di questi animali. Nei Mammiferi, infatti tali tubi hanno la stessa costituzione di quelli che, nei Rettili descritti, sono vasi efferenti e loro ramificazioni. Nel testicolo dei Mammiferi i tubuli retti vi hanno un grande sviluppo e nel te- sticolo stesso trovasi la rete di Haller, invece nelle quattro spe- cie da me esaminate il testicolo non presenta reti di Haller, né i tubuli retti vi hanno sviluppo. In altri termini i vasi efferenti di questi Rettili non sarebbero altro che la continuazione del corto o dei corti tubuli retti, e le loro ramificazioni, siano o pur no in forma di reti, sarebbero reti di Haller. Queste e quelli non sono compresi nell’albuginea come nei Mammiferi, ma attraver- sano il mesorchio che è abbastanza sviluppato. Assodato ciò, dovrei dimostrare quale sia la condizione più primitiva, se quella dei Rettili o quella dei Mammiferi, ma di ciò mi occuperò in un prossimo lavoro. Fino a pochi anni or sono sì credeva che un epitelio vibra- tile fosse tale sin dal suo formarsi nell’embrione e che tale do- 85), perdere le ciglia in seguito a qualche condizione speciale. In se- vesse sempre rimanere. Oggi, invece, si ammette che esso possa guito a ciò si avrebbero due casi: 1) L’epitelio che ha perdute le sue ciglia se ne riforma delle nuove—2) L’epitelio che ha subita Me questa perdita non potrà più riformarsi le ciglia e ne rimarrà sempre privo. L’epididimo dei Rettili che ho descritti è un esempio bril- lante in appoggio della prima opinione. Altrove ho affermato che i tubi di media grandezza potevano perdere le ciglia a causa della secrezione e, finita questa, riformarsene delle nuove nel pe- riodo di ricostruzione. Ciò dimostra l’avverarsi del primo caso in questi animali. Invece la seconda opinione non si avvera quantunque L'Henry l'avesse creduto. Questa sua affermazione sarebbe stata vera se i tubi minori che si trovano vicinissimi allo epididimo, nei Ret- tili, fossero stati veramente dei tubi di sostituzione; ma, poichè questo fenomeno non avviene, siamo autorizzati a non ammet- tere tale ipotesi. Con ciò non intendo negarla per altri organi e per altri casi. L’istogenesi, infatti, ci mostra che nelle larve degli Anfibii, l'epidermide, da ciliata diventa non ciliata. Anche una parte dell’intestino subisce, in queste larve, dei cambiamenti no- tevoli sotto l'influenza delle metamorfosi. In quanto poi alle divisioni mitotiche e amitotiche, che av- vengono nelle diverse parti da me esaminate, io sono del parere che nei tubi medi l’amitosi sopraintenda sia al fenomeno rigene- rativo del nucleo, come di quello delle cellule; nel tubo dell’epi- didimo, invece, l’amitosi sia destinata alla rigenerazione nucleare e la mitosi a quella cellulare.—Quest’ultima forma di moltiplica- zione si avvera nello stadio di ricostruzione. 6. — — Ueber das Epithel im Nebenhoden der Maus. Anat. Hefte. 1 Abth. 1902. 7. Hammar, J. A. — Ueber Secretionscheinungen im Nebenhoden des Hun- des. Arch. Anat. Phys. Anat. Abth. Supp. 1897. 8. HenLE, . . . — Handbuch der Anatomie. 1875. 9. Henry, A. — Phénomènes séerétoires dans 1’ Epididyme des Reptiles. (Note préeliminaire) Bi0/. Anat. Paris. 5 Année. 1897. 10. — — Ètude histologique de la fonetion séerétoire de lEpididy- me chez les Vertébrés supérieurs. Arch. Anat. Micr. Paris. T. De (14900. 11. Hermgs Run. — Die Epithelverhéltnisse in den Avsfilhrangsgiingen der I minnlichen Geschlectsdriisen. Dissert. Rostock. 1895. 12. KorLLiKER, A. — Handbuch der Gewebelehre des Menseneu. Leipzig. 1902. 13. LenHossék, M. v. — Ueber Flimmerzellen. Verh. Anat. Ges. Vers. 12. 1898. 14. Liwox, M.-- Note sur l’ épithelium des vèsicules séminales et de l’am- poule des canaux deférents du Taurau. Journ. de l'Anat. et de la Phys. Paris. 1901. 15. Mayrr, S.- Zur Lehre vom Flimmerepithel, insbesondere bei amphi- bien larven. Anat. Anz. Bd 14. 1897. 16. Myrrs-Warps, F.— Preliminary note on the structure and funetion of the epididymus and vas deferens in the higher Mammalia. ./0wwn. Anat. and Phys. Vol. XXXII. 1897. 17. Moragra, A. — Contributo allo studio di alcuni organi dell’ apparec- chio genitale maschile nelle specie nostrane del genere Lacerta. (Nota preliminare) Boll. Soc. Nat. Napoli, Vol. 17. 1905. 18. Nicoras, A. — Contribution è 1’ étude des cellules glandulaires. Arch, — 127 — BIBLIOGRAFIA Arner, AL. — Ueber das Epithel im Nebenhoden einiger Saugethiere und seine secretorische Thàtigkeit. Sitzungsb. Akiad. Wien. BA 3. Abih. 1901. Becker, 0. — Ueber Flimmerepithel im Nebenhoden des Menschen. Wien Wochenschrift. 1856. Braun, M. — Das Urogenitalsystem der einheimischen Reptilien. ArD. zool-zoot. Inst. Wiirzburg. Bd 4. 1877. Ener, V. v.— Zur Spermatogenese bei den Siugethieren. Arch. Mikr. Anat. Bd 31. T. 15-18. 1888. . Fucns, H. — Bemerkung zur Arbeit von Alexander Gurwitsch « Ueber die Haarbiischel der Epithelzellen im Vas epididymis des Men- schen » Anat. Anz. Bd 20. 1901. Phys. Paris. 24 Année 1892. — 128 — . Régaun, C. — Note sur les cellules glandulaires de l’ épididyme du Rat..C. RR. Soc. Biol Miams SLI 5A 1901. . Sarmr-Ance, M. — Etude de l’ appareil réproducteur. Paris 1854. . Scnarrer, J. — Ueber Driisen in Epithel des Vasa efferentia testis beim Menschen. Anat. Anz. Bd 7. 1892. . Srricat, O. van der. — La signification des cellules épithèliales de l’épididyme de Lacerta vivipara. C. R. Soc. Biol. Paris. Se 9. Td. 1895. DI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA (Tav. I). Fig. 18— L'unico canale efferente (ve) di Lacerta viridis, che si ramifica sulla capsula surrenale (0) e va all’epididimo (CW) formandovi i tubi medii (7m) e i piccoli (Tp). » 2.à4--Il tubulo retto del testicolo di Lacerta viridis, che si continna col canale efferente (fe). Entrambi hanno epitelio basso e nel loro lume si veggono ammassi di cellule spermatiche (cs) che si sono staccate dal tubo seminifero (#s). Febbraio. Un ramo del tubo efferente di Lacerta muralis, che si continua con un tubo medio (a) a cellule un po’ cilindriche e ciliate. Di ada lato, a destra, si vede un tubo a cellule più basse delle pre- cedenti (2). Esso appartiene ai tubi piccoli. Febbraio. >» 48 Un tubo ad epitelio cubico e ciliato (8) di Lacerta muralis, che sbocca nel grande e non ciliato, il quale presenta un fenomeno cariocinetico (#) e degli spermatociti (s). Febbraio. » 5a — Epitelio del tubo grande di Lacerta viridis, notevolmente allun- gato, con secrezione (s) e nucleo degenerato (nd). Maggio. » 6.2— Porzione di tubo medio di Lacerta viridis in secrezione (s). Aprile. » 7. _—Deferente di Lacerta muralis in secrezione; sp, spermatozoi; sÎm, secrezione di tubi medii ; sd, secrezione del deferente; sl W, secrezione del vero canale dell’epididimo. Giugno. » Sa Porzione superiore del testicolo (#) di Zamenis viridifavus con i vasi efferenti (ve) che costituiscono la rete superiore e che si continuano eon i tubi piccoli (vp) che sboccano nel grande (CW); (vs) vaso sanguigno. » 98 Porzione inferiore del testicolo di Elapl:s quadrifasciatus e rela- tiva rete inferiore dei vasi efferenti. » 10. Un vaso seminifero di Elaphis (vs) che si muta in vaso efferente (re) ad epitelio basso. » 11.8 Un vaso efferente di Zamenis (ve) che si continua con un tubo medio (a). » 12.2 -Un tubo piccolo di Zamenis (8) che sbocca nel vero canale del- l’epididimo (CW). Le Figg. 1, 8, 9 sono state disegnate con la camera lucida Zeiss all’altezza del tavolino del microscopio. Oc. 2 Huigh. 060. 3. Koristka. Lunghezza del tubo normale. La Fig. 2 è ingrandita 3 volte. Oc. 2 Huigh. 000. 7# Koriska. Lunghezza del tubo normale. Le Figg. 3, 4, 10, 12 sono state disegnate con la camera lucida Zeiss, all’al- tezza del tavolino del microscopio. 0e. 2 Huigh. 006. T* Kori- stka. Lunghezza normale del tubo. Le Figg.- 5. 6, 7, 11 sono state disegnate come le precedenti, ma con l'Oc. 2 Huigh. e 1/;g immersione omogenea Koristka. Sui centri nervosi dei cheliceri e del rostro nello Scorpiona.-- Nota del socio GesvaLDO PoLicr. (‘Tornata del 28 febbraio 1904) In un altro mio recente lavoro !), parlando delle relazioni fra il sistema nervoso stomatogastrico ed il cervello nello Scor- pione, accennai come continuavo ancora in modo speciale le mie osservazioni sui centri nervosi cerebroidi dello stesso animale. Queste osservazioni mi hanno permesso di notare dei fatti, che a me sembrano interessanti, intorno alla struttura dei centri nervosi dei cheliceri e del rostro. ; E poichè fra le appendici degli Artropodi i cheliceri degli Aracnidi sono quelle che hanno dato più campo a discussioni morfologiche, così io credo che le mie ricerche intorno ai centri nervosi di queste appendici potrebbero porgere un contributo non disprezzabile intorno ai valore da attribuirsi ad esse. Non discuterò, in questa rota, il valore morfologico dei che- licerì e del rostro, limitandomi solo ad esporre i fatti da me no- tati intorno alla struttura dei loro centri nervosi nello Scorpione. Il Sat-Remy, che si è occupato dell'anatomia interna del cervello dello Scorpione ), considera come una sola regione di esso quella parte in relazione con i cheliceri e col rostro e la indica sotto il nome di garglio rostro-mandibolare. Il quale gan- glio, compreso fra quello ottico e quello dei piedipalpi, sarebbe confuso con essi nella regione centrale. I singoli gangli si distinguono nell’interno della massa ner- vosa dalla disposizione della sostanza punteggiata centrale, ri- spetto alla parte cellulare periferica. Si hanno così delle propag- gini della sostanza punteggiata nella sostanza cellulare. Queste prepaggini da alcuni (ed anche da me stesso altrove) sono chia- mate lobi, ma potrebbero indicarsi col nome di masse midollari. In queste masse di sostanze punteggiate si distinguono speciali formazioni determinate dalla diversa compattezza e rifrangenza !) Sul sistema nervcso stomatogastrico dello Scorpione.— Arch. cool. Vol. I pag. 179-200, Tav. 8, 1903. 2) Sarym-Remy, G.— Contribution à l’étude du cerveau chez les Arthro- podes trachéates. Arcl. zool. exp. (2) Tom. 5 bis. 276 pgg., 14 Tav. 1887. dei — - di alcuni punti della sostanza stessa e dal decorso dei fasci di fibrille che in esso si riscontrano. La massa midollare del ganglio rostro-mandibolare del Sarnt- Remy sarebbe comune in dietro ed in basso, dividendosi in avanti ed in alto in tre Zobi, uno impari, molto piccolo, da cui partirebbe sulla linea mediana il nervo del rostro, e due altri, più volumi- nosi, disposti lateralmente, che darebbero origine ai nervi dei cheliceri. La regione superiore di questi lobi si troverebbe a li- vello della parte inferiore del ganglio ottico. CENTRO NERVOSO DEI CHELICERI. Il garglio dei cheliceri, indi- cato dal Sarmr-Remy sotto il nome di ganglio mandibolare, è di- stinto nell'interno della massa nervosa cerebroide dalla presenza di due masse midollari ovoidi che si continuano nei nervi dei cheliceri. Queste masse medullari ovoidi si mettono in relazione con la massa nervosa centrale, con cui sono in rapporto anche le for- mazioni nervose da cui partono i nervi del rostro; ma non per ciò possiamo dire che così le formazioni nervose dei cheliceri che quelle del rostro siano confuse nella regione centrale con i gan- gli ottici superiormente e con quelli dei piedipalpi inferiormente. Due masse nervose possono strettamente avvicinarsi pur mante- nendo distinte le varie formazioni che le costituiscono; l’una può magari attraversare l’altra pur serbandosi imdipendente da essa, e se le fibrille minime, variamente modificate, che formano il sostrato della sostanza punteggiata dei centri nervosi degli Ar- tropodi, mettono in relazione tutte quante le formazioni che si riscontrano in essa, l’attento studio delle formazioni medesime ed i fasci di fibre che partono da esse, ci mostra la loro posi- zione e le differenze che possono passare fra V una e Valtra. Osservando una serie di sezioni trasversali consecutive, fatte nella massa nervosa periesofagea dell’ Euscorpius in corrispon- denza del ganglio dei cheliceri, si vede che le due masse midol- lari ovoidi che a misura che si procede nelle sezioni posteriori, perdono la loro forma ovoidale, allungandosi indietro ed in basso in un fascio di fibrille. Queste fibrille camminano compatte diri- gendosi inferiormente verso la parte centrale della massa nervosa periesofagea e finiscono col fondersi al disotto dell’ esofago. Si ha in questo modo una commissura sottoesofagea fra l’una e l’al- tra delle due masse medullari del centro nervoso dei cheliceri. I fasci di fibrille che costituiscono la commissura sottoeso- fagea dei cheliceri sono quasi sempre distinguibili per la compat- tezza con cui procedono e per la loro rifrangibilità. 22na — La presenza di una commisura postesofagea ci mostra che nello scorpione adulto, noi dobbiamo considerare il ganglio dei cheliceri come postesofageo. Lo Scorpione adulto viene così a conservare per il centro nervoso dei cheliceri i caratteri embrionali. Inquantochè 1 em- briologia ci dice, che nei primi stadii dello sviluppo i gangli dei cheliceri, come i cheliceri stessi, sono prima postorali, insieme ai rimanenti gangli del sistema nervoso settointestinale, poi si accostano fra loro, indi si spingono innanzi verso la bocca e giungono infine in una posizione quasi preorale. Le mie osservazioni mostrano, però, che se le masse laterali di questi gangli: sono divenute preorali con i rispettivi nervi, la commissura che unisce queste masse medesime è rimasta poste- sofagea. Il centro nervoso dei cheliceri, quindi, nell’ Ewscorpis è po- stesofageo, sia nell’ embrione che nell’adulto. Un fatto che conferma ancora i risultati delle mie osserva- zioni, in rapporto alla commisura sottoesofagea del ganglio dei cheliceri, è la disposizione dei vasi intergangliari nella massa ner- vosa sottoesofagea. Già in altri lavori !) m' intrattenni su questi vasi, notando come la loro presenza nelle masse nervose complesse, mostra nel- l'adulto il numero distinto dei vari neuromeri che fondendosi costituiscono una sola massa nervosa mentre sono divisi nell'em- brione. Prima che io avessi notato questi spazii intergangliari nella massa nervosa sottoesofagea dello Scorpione, il Della Valle È) notava nei Gammarini il medesimo fatto, notava cioè nelle masse gangliari postesofagee di questi animali dei canaletti che, d’ ac- cordo con l’ embriologia, mostravano il numero dei gangli da cui esse sono costituite. titornando allo Scorpione, dirò che io ho notato che nella massa nervosa sottoesofagea il numero dei vasi intergangliari è in rapporto col numero dei gangli concorrenti a formare la massa nervosa medesima. Ora, dal vaso che si trova fra il ganglio dei piedipalpi e quello del primo paio di piedi parte un ramo, il quale 1) Porice G.-— Ricerca sul sistema nervoso dell’ Euscorpius italicus. Atti R. Acc. Sc. Napoli, vol. 10 (2), N.° 7, 12 pagg., 1 Tav. 1900. - — Sui centri nervosi sottointestinali dell’Euscorpius italicus. Boll. Soc. Nat. Napoli, Vol. 14, pag. 1-24, Tav. 1,— 1901. 2) DeLta VaLLe A. — Gammarini del Golfo di Napoli— Fama u. Flora Gol. Neapel, 20 Monogr. 97 pag., 61 Tav. 1893. — 135 — circonda inferiormente la commisura dei cheliceri, separando, così, la commisura e, per conseguenza, il ganglio dei cheliceri da quello dei piedipalpi. i Questo ramo, quindi, rappresenta il vaso intergangliare che divide il ganglio dei piedipalpi da quello dei cheliceri. Esso si scorge con chiarezza in una sezione sagittale della massa ner- vosa nella linea mediana. Si vede anzi, che il tratto del vaso, di cui sopra, antecedente al punto in cui parte il ramo che ab- braccia la commissura dei cheliceri, ha un lume molto maggiore di quello dei vasi seguenti. Ciò ci dice che il ramo che parte da esso rappresenta un altro vaso distinto, il quale è fuso con esso nella parte superiore. Centro nervoso del rostro. — Come ho detto più innanzi, il Sarnr-Remy riscontra, in relazione col rostro, una formazione nervosa costituita da un lobo impari molto piccolo, in diretta dipendenza dei cheliceri. Il Brauer +), che è l’autore più recente che abbia trattato dell embriologia dello Scorpione, fa nascere il nervo del rostro dalla commisura del ganglio dei cheliceri. Il nervo del rostro è unico, quale appare dalle dissezioni, benchè nelle dissezioni medesime, mi sia talvolta capitato di no- tare, in qualche individuo, che esso si biforchi alla base. Ma, prescindendo dalle dissezioni, le quali in questo caso potrebbero magari ingannare, io ho cercato di osservare il fatto sulle sezioni in serie. Il risultato delle mie osservazioni è stato che 4 mervo del rostro è pari fin dalla sua origine nell’ interno della massa cere- brale, e che, inoltre, in rapporto con esso non si riscontra un « lobo impari », ma due lobi 0, meglio, due masse medullare, le quali costituiscono un centro nervoso indiscutibilmente pari. Da ognuna di queste due masse medullavi si origina un nervo, ed i due nervi fondendosi danno il nervo impari del rostro. Le due masse medullari del ganglio del rostro sono situate lateralmente all’ esofago alla cui parete si trovano addossate. Esse sono di forma ovoidale e si mettono in relazione fra loro per mezzo di una commisura sopraesofagea. 1) BravER A.— Beitriige zur Kenntniss der Entwickelungsgeschichte des Scorpions — 2. Zeit. wiss. Zool., 59 Bd.. pg 351-435, Taf. 21-25— 1895. Tai — In un embrione di medio sviluppo, in un taglio trasversale della massa nervosa periesofagea, si veggono anche distintamente le due masse midollari pari che costituiscono il centro nervoso del rostro. Esse hanno allora forma rotonda e si trovano del tutto anteriormente all’esofago. Solo più ‘tardi si allungano e si dispon- gono lateralmente all’esofago stesso, il quale a sua volta allun- gandosi sì spinge più innanzi. Dalla parte posteriore delle masse medullari del rostro par- tono sottilli fibrille, le quali mettono in relazione il centro ner- voso del rostro col nucleo centrale cerebroide, a cui vanno anche fibrille provenienti dalle masse medullari del eentro nervoso dei cheliceri. Ogni nervo rostrale corre lateralmente all’esofago e si dirige in avanti. Incontratosi col nervo corrispondente dell’ altro lato, si fonde con questo al punto d’uscita dal cervello. Il nervo impari rostrale, così costituito, corre lungo la linea mediana della faccia superiore della volta boccale e va al rostro, dove poi si ramifica distribuendosi in parte ai muscoli di esso e in parte passando attraverso i muscoli e distribuendosi alla cute. In relazione col rostro, quindi, troviamo non un nervo im- pari, ma un nervo risultante dalla fusione di due pari, prove- nienti da due speciali formazioni nervose riunite da una apposita commissura sopraesofagea. Se il Bravuer dice che il nervo del rostro parte dalla commissura del ganglio dei.cheliceri, è sem- plicemente perchè egli per commissura, anzichè il fascio di fi- brillo che congiunge le due formazioni del ganglio dei cheliceri stessi intende tutto il tratto di sostanza punteggiata che va fra le formazioni medesime, ed in cui si trova il ganglio del rostro. Lo Schimkewitsch !) nell’embrione dei ragni, notò un paio di abbozzi nervosi interposti fra il ganglio ottico ed il mandi- bolare (dei cheliceri); egli riguardò questo paio di abbozzi come costituenti il ganglio del rostro. Questo fatto conferma e vien confermato dalle mie ricerche sullo Scorpione adulto, cioè a dire che si può perfettamente con- venire che il rostro è fornito di un centro nervoso pari. Riassumendo : per il rostro e per i cheliceri io ho riscon- trato nello Scorpione adulto delle tormazioni pari corrispondenti a due centri nervosi distinti. 1) Scamxewirsca, W,-Etude sur le développement des Araignées.—Arc4. Biol., vol. 6, pag. 515-584. 5 fig., Tav. 18-25, 1887. Sii — Le formazioni del rostro hanno dimensioni più piccole di quelle dei clieliceri e sono disposte nella parte latero-superiore dell'esofago. Quelli dei cheliceri invece seno disposte nella parte latero-inferiore dell'esofago stesso. Le due formazioni del ganglio del rostro sono riunite da una commissura sopraesofagea. Le due formazioni del ganglio dei cheliceri sono riunite da una commissura sottoesofagea. Il centro nervoso dei cheliceri, quindi, oltrechè nell’em- brione, è postesofageo anche nell'adulto , mentre quella del ro- stro è sopraesofageo. ) Napoli, dicembre 1903. Sulle difese foliari della Dactylopetalum Barte- ri. Nota del socio Aressanpro Bruno. (Tornata del 24 luglio 1904) Durante uno studio intorno alla protezione marginale delle foglie, mi è stato necessario riportare l'osservazione sulla natura e sul valore della resistenza del contorno alle offese, che possono essere arrecate da agenti esterni. E la mia attenzione si è fermata così su quei casi, nei quali la difesa appariva sufficiente, come su quegli altri, in cui non lo era, a desumere dalle intaccature più o meno profonde della foglia. Raccogliendo i casi più tipici, ho avuto l'opportunità di os- servare parecchi esemplari secchi di foglie di una pianta esoti- ca, la Dactylopetalum Barteri, Hook, delle Rizoforee, originaria della Guinea francese, esemplari offerti da G. Zenker al nostro Orto Botanico ed a me gentilmente favoriti dall’egregio Profes- sore G. E. Mattei. Tale specie porge un bell’esempio di valida difesa marginale in un contorno intero, liscio, molto più spesso della lamina, lu- cido e di color mogano oscuro molto più del resto del lembo. Non avendo avuto a mia disposizione altro materiale che quello di un erbario, non posso dire qual sia il colore del mar- gine nella foglia ancora verde. Ad ogni modo, è così notevole questo contorno, che io non ho potuto non farne uno dei principali argomenti dello studio, a cui più sopra accennavo e che sono per pubblicare fra breve. Non avrei, però, tenuto ora parola della Dactylopetalum Bar- teri, se non vi avessi riscontrato un fenomeno, che, mentre esor- bita dai limiti di quel lavoro, non lascia, tuttavia, di essere tanto importante, da meritare una speciale menzione. Che un organo o un tessuto o un elemento reagisca, quando sia offeso da cause di qualsiasi natura, fisica, chimica o biolo- gica, è cosa in massima così risaputa, da non dovervi io qui insistere. Ricordo solo che diverso è il modo di reagire a se- conda dell’offesa, della regione colpita e delle condizioni pecu- ot liari dei singoli casi; pel resto, informi lo studio sulla rigenera- zione dei tessuti, in cui sempre più largo campo si schiude al biologo. Orbene, nella Dactylopetalum Barteri ho riscontrato, in pa- recchie delle foglie ricevute, dei fori circolari od ovali, in regioni diverse della lamina, i più interessanti l’intero spessore di questa, altri pochi, invece, ancora incompleti, perchè chiusi dalla epider- mide, rimasta intatta, della pagina inferiore. Queste ferite, dovute molto probabilmente a fattori biolo- gici, han di notevole che sono nella loro periferia limitate da un cercine, 1 cui caratteri ricordano del tutto il bordo marginale della foglia (fig. 1). Rip 1. Fig. 2. Fig. 1 e 2; « ferita limitata da tessuto, il quale ripete i caratteri del margine m. Un accurato esame microscopico, che mi riservo di tare, per- metterà di stabilire esattamente i rapporti morfologici del mar- gine foliare e del cercine difensivo. Tuttavia, non temo di errare, sostenendone fin da ora l'a- nalogia, oltre che per le ragioni già addotte, anche perchè in un’ altra foglia della stessa pianta ho constatata una ferita più ampia di quelle su descritte ed interessante (fig. 2, @) non solo la massa del lembo, ma anche il margine: ed è questo appunto, si badi, il quale, conservando tutti i suoi caratteri, si ripiega in I de = dentro per formare intorno alla ferita un cercine riparatore dei progressi dell'agente offensivo. Tali osservazioni, mentre in via assoluta dimostrano la spe- ciale maniera di difendersi che ha la pianta con la neoforma- zione di un tessuto , il quale non è quello offeso, né quello cir- costante, permetton pure di sostenere con ragione l’ importanza protettiva di un margine cosiffatto. Ed, invero, noi troviamo patologicamente, in via anormale cioè, riprodotto, in una regione che non gli è propria, un tessuto, che normalmente ha sede altrove. Ora, poichè la, dove si sviluppa in via anormale, si forma indubbiamente allo scopo di paralizzare il progresso di un lavo- rio dannoso alla foglia, per uno scopo, cioe, tutto protettivo, è lecito inferirne che lo stesso tessuto abbia, con ogni probabili- tà, una medesima funzione ovunque risieda, e, nel caso specifico, lungo il margine, che di esso è costituito. Ad ogni modo, il fatto da me rilevato, o che si consideri importante solo dal punto di vista patologico, o che costituisca la riprova del valore protettivo del contorno laminare, o che valga a lumeggiare entrambi questi. due punti di biologia vege- tale, è sempre di tal natura, da dovere essere preso in serio esame, specialmente dal punto di vista sperimentale. Ed è appunto dal caso esaminato che io ho preso le mosse per iniziare una serie di esperimenti e di osservazioni, di cui mi riservo di comunicare a suo tempo i risultati. Sopra una particolare disposizione della sostanza mi- dollare nella capsula surrenale. — Nota del socio Mr- CHELE PELLEGRINO. } (Tornata del 14 agosto 1904). Gli studi sulla embriologia e sulla morfologia della capsula surrenale, iniziati nell’ 81 dal Balfour e proseguiti dal Grosglik, dal Grayghton, dal Gottschau, dal Minot, dal Kohn, dal Moore, dal Vincent, dal Fusari, dal Diamare e da altri, hanno stabilito che la sostanza corticale e la midollare hanno origine embriolo- gica differente. La corticale — sebbene non tutti gli AA. siano d’ accordo, ed esiste ancora qualche dubbio , destinato fra breve ad essere eliminato del tutto, proviene dal mesonefro, come dice il Dia- mare « nello stesso perimetro del rene prinativo », « dallo epitelio celomatico insieme allo appurato escretorio ed alla gonade ». La sostanza midollare, invece, ha origine dallo abbozzo pri- mitivo del cordone limitrofo del gran simpatico , e perciò è di provenienza ectodermica, essendo propaggine del tubo neurale. Pari e mediali, le formazioni metameriche ‘originarie midollari si trovano in dentro delle formazioni corticali primitive, che sono pari e laterali. Queste due formazioni distinte ed indipendenti (Kohn) nei selaci, con un movimento di raggruppamento delle parti metameriche, e dall’esterno verso l'interno delle formazio- nì verticali, si accostano e si toccano negli anfibi e nei rettili, si compenetrano negli uccelli, e infine danno la disposizione dei mammiferi, in cui la sostanza midollare è al centro della capsula rivestita da ogni parte di sostanza corticale. Ma come in tutti gli altri stati di organi che sono l’espressione di un processo evo- lutivo onto—e filogenetico , si possono trovare delle reversioni ataviche di sviluppo, anche nelle capsule surrenali di mammiferi adulti sì sorprendono degli arresti di sviluppo, delle fasi di cap- sula aviaria o dei punti di passaggio fra queste e le forme ul- time di evoluzione completa. Lo studio di alcune di queste forme, che mi sono per av- ventura capitate durante i due anni da che sto studiando la fi- — 140 — siologia e la patologia surrenale, forma oggetto della presente nota, e potra condurci a rafforzare sempre più il concetto della derivazione simpatica della sostanza midollare. 1.8 Osservazione. — Gatto adulto di cinque anni circa, del peso di Kg. otto. La capsula di destra presenta un ponte di so- stanza midollare che dall’ interno dell’ organo , percorrendo lo spessore della corticale, arriva fino alla periferia , in corrispon- denza dell’ ilo della capsula. La struttura delle due sostanze è normale , il Irmite fra di loro netto e normale: nei tratti dove il ponte midollare si distacca per attraversare la corticale si nota un arresto nei tre strati della corticale; senza alcuna mo- dificazione loro nel punto di contatto col ponte medesimo : la zona reticolare , la fascicolata e la glomerulare sono normali : solo a livello del rivestimento connettivale all’esterno della cap- sula, si ha una introflessione. di questo rivestimento, di brevissi- |. ma lunghezza, e che subito finisce in fascetti connettivali isolati che si sperdono dentro la sostanza corticale. Il ponte midollare che arriva all’esterno, si presenta a livello del rivestimento connet- tivale come troncato, per effetto dell’ isolamento dai tessuti vi- cini operato sulla capsulà per staccarla dal suo posto : e sembra essere in continuazione con il tragitto del plesso soprarenale e col ganglio semilunare corrispondente. 2.x OsseRVaziIoNE. — Coniglio adulto del peso di Kr. 2.400 — età presumibile un anno e mezzo. La sostanza midollare della capsula sinistra sì presenta a forma di mandorla molto allunga- ta, con estremo rotondeggiante largo, che sta al centro della cap- sula confinante con lo strato reticolare della sostanza corticale secondo i normali rapporti: l’altro estremo, che termina a punta, arriva fino alla periferia dell’ organo , dove una introflessione periferica a guisa di gronda denota l’ilo della capsula. La strut- tura dei tessuti è normale , e gli strati si comportano come è stato descritto nella prima forma. La sostanza midollare si pre- senta in più evidente continuazione col plesso soprarenale e col ganglio semilunare corrispondente. 3.2 OsservazionE.—Uane adulto del peso di Kgr. 6,000. La so- stanza midollare si presenta circondata quasi d’ogni intorno dalla corticale; da un lato, e proprio verso l’ ilo dell’ organo essa si continua attraverso la corticale, dapprima con un fascio unico abbastanza rilevante , poi arrivata a metà circa dello strato fa- scicolato, sì presenta disgregata nella sua compattezza e si nota in grado crescente fino alla periferia una infiltrazione di cellule della sostanza corticale dello strato fascicolato che, secondo me, — dl — è lo strato fondamentale della corticale e che ne è la espressio- ne più genuina. Questa infiltrazione che comincia cellula per cel- lula, va accentuandosi sempre più verso la periferia, fino ad avere invasione di gruppi cellulari corticali fra gruppi cellulari midol- lari: alla periferia, poi, proprio sotto lo strato connettivale, sono scarse le cellule midollari e va organizzandosi lo strato glome- rulare corticale. La struttura delle cellule di questa zona mista corticale e midollare è perfettamente normale , sì nota tuttavia che le cellule midollari hanno una dimensione inferiore a quelle che sì trovano nel centro dell’ organo. Una simile osservazione è capitato di fare un paio di volte nel due. In questo animale la sostanza midollare ha una dispo- sizione oltre modo irregolare; non solo la linea di demarcazione fra midollare e corticale è molto sinuosa, fino ad assumere qual- che volta un aspetto di frangia, ma anche dei gruppi cellulari del midollo, isolati, di varia grandezza, sono sparsi nella sostan- za midollare ; frequenti e più grandi nelle vicinanze del centro della capsula, rari e più piccoli nelle parti più periferiche, a volte anche ad un millimetro di distanza dal rivestimento a connetti- vale, ho notato dei gruppi di cellule midollari isolate, specie in corrispondenza dello sbocco della vena centrale, ossia verso l'ilo della capsula. Questi gruppi cellullari midollari isolati sono l'ul- time vestigia del fatto già descritto. Molto più importante è l’ultima osservazione che ora descri- verò. Nel movimento di accerchiamento che la corticale fa in- torno alla midollare, viene un momento in cui un ponte di so- stanza midollare si distacca dal centro dell'organo ed arriva alla periferia. Questo stadio normale negli uccelli, sì rinviene come anomalia atavica nei mammiferi. Ma quale è Il ulteriore destino di questo ponte cellulare, perchè poi nello stadio terminale tutta la midollare sia d’ogni parte circondata dalla corticale ? Sì retrae esso, è spinto nel centro per movimento meccanico o è distrut- to? Una mia osservazione tende a dimostrare questo ultimo fatto. 4. Osservazione. Coniglio adulto, Kgr. 2.200 — capsula di destra. La sostanza corticale da un lato , ha confine normale e regolare con la corticale: la zona reticolare, la quale ha il suo aspetto ordinario, dall’altro ha la solita gittata di midollare che si avvia verso l’ ilo della capsula. La sostanza corticale quando arriva ai lati di questo tragitto perde il suo aspetto in tre strati: non si nota più nè una zona glomerulare, né una reticolata, ma è costituita tutta da cellule della zona fascicolata o fondamen- tale. Questa sostanza ha già iniziato quel lavorio di infiltrazione Is e fra cellula .e cellula descritto nella terza osservazione, ed è già pervenuta ad uno stadio più avanzato. Si nota in questa zona promiscua una invasione di corticale attraverso la midollare eda distruzione di quest’ ultima. Dei gruppi di cellule midollari, stretti fra loro, a forma ova- le molto schiacciata , sono circondate da ogni parte da cellule corticali della zona fascicolata , molto stivate anch’ esse, e che penetrano nel più stretto interstizio. In alcuni punti si vede una cellula midollare circondata da corticali: in altri punti dei tratti composti tutti di cellule corticali. Inoltre, mentre le zone corti- cali mostrano cellule rigogliose, piccole, dal grande nucleo, for- temente colorate, le zone midollari, già dette, di forma ovale, si mostrano in periodo di disfacimento: i confini cellulari perduti, il protoplasma rarefatto, i nuclei poco colorati in fasi cromatoliti- che differenti, in qualche punto dei disfacimenti granulari, e in qualche altro, nel centro di uno di questi gruppi midollari, un vuoto. L'aspetto del preparato è quello di un tessuto in fase de- generativa e necotica. Secondo questa osservazione, dunque, l’iso- lamento della sostanza midollare nel centro della corticale av- verrebbe per distruzione del peduncolo ultimo di quel tragitto midollare, che si osserva nei preparati che presentano uno stato atavico della capsula surrenale nei mammiferi. Apparecchio per determinare volumetricamente il peso specifico. — Nota del socio RarrAFELE ProcoLi. (Tornata del 14 agosto 1904). Questo apparecchio ha per scopo di rendere più sollecite ed agevoli le comuni determinazioni del peso specifico. Con esso si misura, nel modo appresso descritto, il volume occupato da una nota quantità di sostanza, di cui si vuole determinare la densi- tà, per riferirlo poi al peso dell’eguale volume di acqua distilla- ta a 40 C. Ciò finora in pratica si otteneva adoperando, per quanto è a mia conoscenza, i picnometri a spostamento, coi quali, com'è noto, si misura in un tubo graduato, più o meno largo , unito all’ apparecchio , l aumento di volume prodotto dalla sostanza aggiuntavi. Se non che le cause di errore non sono escluse, poi- chè la sostanza può rimanere aderente lungo le pareti interne del tubo, senza venire a contatto cal liquido; perciò il loro uso è li- mitato a poche sostanze. Coll’apparecchio da me ideato in vece tale inconveniente non si verifica, poichè la sostanza viene posta prima nell’apparecchio vuoto, ed anzi può pesarsi direttamente in esso. L'apparecchio (fig. I e II), di vetro, consta di due parti, una inferiore A e l’altra superiore 5, che vengono congiunte me- diante il tappo cavo a smeriglio G annesso alla parte superiore e forato in Y per la fuoruscita dell’ aria. La parte inferiore A è una comune boccetta col collo sme- rigliato ; la superiore B ha la forma di una pipetta munita di un rubinetto P, di un tubo affilato D (che va oltre il segno £ (fig. I), oppure oltre L (fig. Il)), e di un tubo 7 graduato ad 1/100 di emi. - Il volume della parte inferiore, limitato dal segno £ (fig. 1), o da L (fig. Il), è uguale al volume dell’ altra parte compreso fra il segno (€ e lo 0 del tubo graduato. La determinazione si esegue nel seguente modo : Si pesa prima direttamente nella parte inferiore la sostanza, badando che il volume di questa non abbia a sorpassare il vo. x — 144 — lume indicato dal tubo graduato ; indi si riempie di liquido Val- tra parte, fino al segno superiore (0, riempiendo anche il sotto- stante tubo affilato D coll’aprire momentaneamente il rubinetto. Ciò fatto, si riuniscono, mediante il tappo cavo G, le due parti dell’apparecchio che fin qui si erano tenute distinte, e, apren- do il rubinetto, si fa cadere il li- quido nella parte sottostante, fino al segno indicato E (fig.-I), op- pure L (fig. II). Si chiude allora il rubmetto, e nel tubo graduato si legge il volume del liquido re- ‘ stato. Questo sarà uguale al vo- lume della sostanza. E, siccome il tubo è graduato ad 1/100 cm.3, il volume letto corrisponderà al peso in centigrammi dello stesso volu- me di acqua distillata. Dividendo quindi il peso della sostanza pel È È È peso trovato, si ha, com'è noto, il peso specifico cercato. rtorfomtu SII I I LI L'apparecchio viene graduato a 15° C., e, costruito nel modo innanzi detto, serve per determi- Zsrcrammmi on piece nare il peso specifico sia delle sostanze solide, che di quelle li- quide, poichè si può sostituire al- l’acqua distillata, secondo l’occor- renza, qualsiasi altro liquido adat- to, che non sciolga od alteri la sostanza di cui sì vuol determi- nare la densità. Presento intanto, con questa nota, due apparecchi, che ditfe- riscono solo, perchè nell’ apparecchio della fig. I. l affioramento avviene in Z, nel collo della boccetta, il quale perciò ha un dia- metro piuttosto piccolo; mentre nell'altro della fig. II. avviene in L, nella strozzatura del tappo cavo; questa seconda disposizione permette che il collo della boccetta possa essere di maggior dia- metro, e la superficie di affioramento meno estesa. Napoli. Agosto 1904. L'influenza dei mezzi come causa di variazioni e di di- spersione nei molluschi — Osservazioni del socio RAF- FAELLO BELLINI. (Tornata del 15 maggio 1904) Lo studio delle variazioni che può subire l’ organismo dei molluschi per causa dell'ambiente, e come questa azione modifi- cante possa influire nella distribuzione delle forme nello spazio e nel tempo, è d’alto interesse in biologia non meno che in pa- leontologia. Scopo di questo lavoro è quello di mostrare in una sintesi rapida le cause di variazioni attuali e passate e dedurre da fatti ed osservazioni isolate leggi costanti. Le mie deduzioni sono in molti casi originali, caso del resto facilmente prevedibile pensando che poco o nulla si è scritto su questo importante argomento. Cominciamo a fissare alcuni concetti e definizioni. Chiamiamo forma un tipo avente caratteri circoscritti e va- riabile nell’ambito di questi. Specie è lo stato transitorio d’una forma in evoluzione sotto l'influenza del tempo e dei mezzi. 7'po della specie è un complesso d’individui viventi in una regione ed un tempo determinati, base della prima descrizione di qualche naturalista. Varietà sono le variazioni presentate da un gran nu- mero d’individui) le distinguiamo in estese (generali, locali, acci- dentali, individuali, ed in » > » clausilio (Claustlia). sE | » » » » opercolo (Cyclostoma, Murex , 55 Turbo). 85) » » » » aptico (Ammomiti, Goniatiti, È Scafiti). Inequivalve, inequilatera (Ostrea, Chama, Spondylus). Inequivalve, equilatera (Anomia, Pecten). Equivalve, inequilatera (Donax, Isocardia). Equivalve, equilatera (Pectunculus, Cardium) x ; Maltivalve di pochi pezzi (Pholas, Teredo). Multivalve di più pezzi (Cluiton). Un primo accenno di bivalvicità sì trova nell’ Aptyehus delle ammoniti, che negli antichi periodi della terra presero il posto dei nautili in diminuzione, e nell'opercolo di molti gasteropodi; questo è considerato da Adanson e Gray come l'analogo della valva destra del pelecipodi e sembra corrispondere ad un organo avente la stessa funzione presso qualche anmelide tubicolo ((Sp?- rorbis). I Dentalium sono univalvi allo stato adulto e bivalvi nell’embrione; hanno rapporto con i gasteropodi per la conchi- glia d’un sol pezzo e per la radula evidente, mentre l'assenza di testa distinta, le disposizioni dei palpi labiali, la forma del piede, il velum non lobato dell'embrione sono tutti caratteri per i quali i suddetti scafopodi si ravvicinano ai pelecipodi. Le Teredo sono da ritenersi secondo il Dubois 1) un ravvici- namento tra i cefalopodi ed i pelecipodi. Il pezzo accessorio della T.norvegica ricorda l'aspetto d’un taglio trasverso d’un rostro di belemnite supposto compresso d’avanti indietro. Anche le PWolas ed i Chiton costituiscono un legame tra le suddette due classi. Divido le leggi che regolano la biologia e le modificazioni dei molluschi in tre gruppi: A) Essenziali — Comuni a tutti gli organismi ed aventi azio - ne su tutto l'individuo. 1) Etude sur la nature des valves ou pieces accessoires des Pholadidae et sur l’importance quì presente la connaissance de leur texture histologique au point de vue de la classification — Bull. Soc. Malacol. de France, t. VII, p. 349. — 148 — B) Generali — Comuni a molti organismi, alcune dei soli molluschi, ed aventi azione su tutto l'individuo o su dati organi. C) Speciali — Dei soli molluschi ed influenzanti una parte dell’individuo. A — LEGGI ESSENZIALI a) — Della durata — Glindividui, le specie, i generi, le classi, per- corrono un definito e limitato ciclo vitale, graficamente rappre- sentabile da un fuso alla cui parte più rigonfia corrisponde la maggior abbondanza e biologica perfezione. Nei molluschi questa legge trova massima dimostrazione. Ogni specie ha il suo ciclo di durata, sviluppandosi in intera pienezza in un mezzo favorevole; ma appena cambiano le con- dizioni biologiche deve adattarsi se la trasformazione è lenta o sparire se rapida; altre volte la specie deve subire un movimento migratorio. I generi così sopravvivono originando specie da specie e sono giunti a noi sotto multiple forme rilegate da passaggi intermedi. Dall'inizio della vita sulla terra ad oggi, ed in avvenire di conseguenza , il numero dei gruppi generici è aumentato e di- minuito quello delle specie contenute in ognuno. Nei più antichi periodi geologici troviamo pochi generi ricchi di forme ed in se- guito diminuirono queste ed aumentarono quelli. Un tipo quindi sin da quando ha cominciato ad apparire ha sempre continuato ad esistere anche in tempi differenti, ma in mezzi simili, sino alla sua completa scomparsa e non ha mai potuto spegnersi per poi riapparire; avrà avuto dei momenti di regresso od emigrato, sinchè l’ambiente decisamente modificato ne ha determinato l'estinzione. Valga l'esempio delle Ammoniti, Belemniti, ecc., d’ altri gruppi scomparsi della vita e quello degli Pteropodi. Questi graziosi molluschi pelagici abbondarono nei mari paleozoici ed in quelli cenozoici, anzi i giganti della classe sono degli antichi periodi; nel mesozoico invece non vis- sero che pochissime specie a causa della concorrenza che lor fa- cevano le ammoniti; ma appena questi cefalopodi si estinsero, e s’iniziò la terza èra della vita, ecco di nuovo ad esser diffusi gli Pteropodi, raggiungendo un marimum nel miocene. Attual- mente il numero delle specie è poco considerevole, ma è immenso quello degli individui. — 149 — Così si spiegano anche le differenze tra la fauna fossile d’un paese e quella vivente e l'analogia con altre abitanti regioni lon- tane. La fauna dei colli terziari torinesi è affine a quella vivente attualmente nei mari caldi dell’Africa e ciò in conseguenza del clima caldo che dominò nei nostri paesi nell’éra terziaria, spe- cialmente nel periodo miocenico. Se noi quindi osserviamo in una serie di strati che uno con fauna marina copre un altro con residui di molluschi terrestri non dobbiamo concludere che la fauna del primo si è brusca- mente estinta; ma logicamente ammetteremo che i viventi di quel tempo saranno emigrati, forse per ritornare in seguito negli stessi posti, come ci sarà dato in qualche caso accorgercene os- servando in depositi superiori fauna d’acqua dolce identica alla preesistente. Sono venuto alla conclusione di ammettere nei generi quattro fasi o stati della loro evoluzione: 1° Stato archeomorfo o d'origine — Le prime forme comin- ciano a differenziarsi da genere più antico. 2° Stato paleomorfo o di progresso — La differenziazione si accentua e la conchiglia si orna. 3° Stato mesomorfo o di perfezione — La differenziazione è massima ed il genere ha una completa autonomia. 4o Stato neomorfo 0 di regresso — Il genere si polimorfizza all’ eccesso, le specie divergono una dall’ altra e si originano in seguito altre forme ed altri generi, che alla lor volta inizieranno la serie delle suddette quattro fasi. A. tal proposito intendo dare due esempi. Uno di un gruppo di molluschi che percorre il suo ciclo in due ére della storia della terra e finisce (Ammoniti), un altro di un genere originatosi nel terziario ed ancor oggi ricco in specie (Nassa). Ordine delle Ammoniti Provengono queste da caratteristici molluschi, dalle Gonza- tites e Clymenia devoniane, che alla lor volta discendono dai nau- tilidi, numerosi nei mari paleozoici. L'evoluzione delle ammoniti s'inizia da un tipo nautiloide, rigonfio ed a giri involuti non or- namentati; in seguito l’ involuzione diminuisce e sorgono tipi @ giri contigui, prima poco numerosi e poi molti; l’ornamentazione si complica con spine, coste, carene dorsali, finchè in seguito i giri si cominciano a staccare ed infine la conchiglia si svolge — 150 — più o meno completamente. Le ultime Scaplites, ammoniti svolte, si trovano nell’eocene dell'America settentrionale 1), QUADRO DELL’ EVOLUZIONE DELLE AMMONITI i Stato evolutivo Caratteri distintivi © Periodi | I cui visssero | Conchiglia rigonfia, non ornamentata © striata, giri pochi in- voluti o nautiloidi. Lo- - bi e selle ondulati. ARCHEOMORFO. Conch. liscia, striata o con coste piccole o granulose, giri abbrac- cianti, suture alquanto frastagliate. PALEOMORFO. Massima differenzia- zione. Conchiglia di parecchi giri, costata ed ornamentata, ven- tralmente caranata e con processi spinifor- mi. Selle frastagliate. MESOMOREFO. La conchiglia si svol- ge sino ad essere quasi dritta. NEOMORFO. Silurico al car- bonico. ì Dal carbonico al trias ; qui più numerose. Dal trias al cre- taceo. Cretaceo. Genere Nassa Famiglie o Goniatitidae. Arcestidae. Tropitidae. Ceratitidae. Clydonitidae. Pinacoceratidae. Amaltheidae. Ammontitidae. Lythoceratidae. Harpoceratidae. Stephamnocerati- dae (normales). Stephanocerati- dae (evolutae). Con molta probabilità le Nasse discendono dalle Ranelle eo- centche, che si sdoppiarono agli inizi del miocene in Nassa (rag- giungenti il massimo di numero in questo periodo) e Dipsaccus. Alcune si differenziarono in Buccinum, fossili nel terziario supe- riore del Nord Europa. 1) Prigém. L’ evolution des formes animales. RMS — QUADRO DELL’ EVOLUZIONE DELLE NASSA Periodi Stato evolutivo Caratteri distintivi in cui vissero Esempi“ i = Forme rigonfie sen- za coste longitudinali, ARCHEOMORFO. | con solchi trasversi , Nassa tornata, Dod. che lentamente vengo- N. coarctata, Eichw. no a sparire nelle più recenti specie. ‘QULIOJ Ip so uoo msonb ur eagmedia N. subpolita, d'Orb. N. oblita, Bellardi. N. prysmatica, Broc- chi. La spira s’ eleva e cominciano ad impri- mersi le coste longitu- dinali. PALEOMORFO. Coste longitudinali ‘OTTRIZIOI [Op IporIed LIRA TON N. italica, Mayer. N. serrata, Brocchi. qgqe accentuate, conchiglia DE MESOMORFO. rigonfia o reticolata, N N. reticulata, L. in i alcuni casi gibbosa. 5 E levazione della spi- RUE" a ne N. glans, L. reticolata e spesso fa- I È N. obliqua, Gray. SEONOREO TE È gs N. musiva, Brocchi. sciata, molte volte li- 32 . ©) = scia. Cala Ognuno di questi stati ha avuto un marimum di forme, molte delle quali sono però sopravvissute sino ai tempi attuali, spesso subendo una lieve modificazione per ragioni di ambiente od organiche (forme rappresentative nel tempo). La N. mutabilis, L. è, p. es., una forma archeomorfa ancor oggi abbondantissima. Dicasi lo stesso della N. semstriata Brocchi e della N. costulata, Renieri (paleomorfe), della N. reticulata, L. e della ercrassata, Miller (mesomorfe). Le seguenti sono forme rappresentative di Nassa nel tempo: N. gibbosula. L. sp. Pliocene di Siena N. circumcineta, Adams d’ Alessandria d’ Egitto. N. subpolita, d'Orb. — Piacentino del Modenese N. corniculum, Olivi sp., vivente nel Mediterraneo ; la var. plicata, Olivi rammenta la discen- denza primitiva. In conclusione in tutti i tempi i molluschi, come gli altri esseri, hanno avuto massimi o minimi nel loro sviluppo numerico come specie e come individui. La differenziazione si è andata — 152 — sempre più accentuando verso il polimorfismo sino ad aversi forme diversissime dalle primitive; la scomparsa più o meno su- bitanea di alcuni gruppi (p. e. Ammoniti) non è forse che un’ap- parenza delle nostre cognizioni incomplete. Seguono le altre leggi essenziali o comuni a tutti gli orga- nismi. Mi basterà enunciarle: b) Della propagazione — Vi è una tendenza in tutti i viventi allo scopo di continuare le specie con mezzi economici e sicuri. c) Dell’adattamento — Una forma vivente è il risultato di due forze contrarie ed antagoniste; la legge d'ereditarietà e le forze mo- dificanti (lotta per l’esistenza, ecc... Se la differenza d’intensità fra le due è notevole, la risultante s avvicinerà alla componente maggiore; se vincono le forze modificanti, l adattamento sarà completo e si hanno forme discendenti; se la ereditarietà pre- domina la forma minaccierà d’estinguersi. d) Della protezione — Tutte le forze d’offesa e di difesa sono messe a profitto dai viventi nella lotta per l’esistenza. Il mimetismo è uno dei mezzi più validi di difesa nei mol- luschi; esso può essere di colore e di forma. Un bell'esempio di mimetismo di colore ci è dato dall’ Helzx desertorum Forsk. del deserto libico; questa specie imita il colore rugginoso della sabbia del deserto ed abita in gruppi sotto i ce- spugli di mesembriantemi dello stesso colore, piccoli o nani, ger- moglianti ‘a tratti nell'immensa ed arida distesa. La maggior parte dei pteropodi sono ialini e trasparenti come le acque del mare; i polpi cambiano colore a secondo del fondo su cui poggiano; la PAyllaplisia Lafonti di Arcachon abita sulle foglie di zostera assumendone la tinta; Melvile riferisce che l’Ovulum implicatum della Florida può avere la conchiglia rossa o gialla secondo che vive sulle Gorgonie di questi due colori; molti altri molluschi infine modificano il colore della loro con- chiglia in armonia con le varie specie di laminarie sulle quali abitano e non pochi pelecipodi hanno un certo fondo colorato rassomigliante al substrato su cui vivono. Il Phorus agglutinans presenta mimetismo di forma; esso si ricopre di frammenti d’ altre conchiglie, di ciottolini, ecc., in modo che, visto superiormente, può scambiarsi per un ammasso qualunque frammentario. Altri casi rassomiglianti li troviamo nelle Patella, ricoperte di balani ed incrostate d’ alghe marine nelle Haliotis, rivestite di briozoi e d’alghe; nelle Chama e negli — 153 — Spondylus, portanti sulle loro valve serpule e vermeti; nei Pecten, ricoperti di spugne; nelle Lima ed alcune Modiola circondate dal loro bisso incrostato di sostanze frammentarie. Ma uno dei più caratteristici esempi di mimetismo di forma è stato osservato dal Lagard 1). Quest’autore racconta come es- sendo nel 1854 in una delle isole Comori (costa orientale afri- cana), avendo preso riparo sotto un albero al sopravvenire d’una forte pioggia, osservò che molte delle spine delle piante vicine si muovevano quando le goccie d’acqua bagnavano i rami. Me- ravigliato volle ricercarne la causa e vide che queste credute spine non erano altro che Bulmuni (gasteropodi polmonati), i quali erano coperti da una epidermide imitante esattamente le spine e da queste distinguibili solo col tatto. Altri mezzi di difesa dei molluschi, oltre del mimetismo, sono, p. es., il liquido nero della seppia e gli organi urticanti di alcuni nudibranchi. e) Dell’associazione — Tutti gli organismi tendono ad. associare le loro forze per aver maggior lavoro con minor consumo d' e- nergia. Mi basterà solo accennare a quanto accade nei Mytilus. Il M. minimus vive in catene serrate di centinaia d’ individui in- sieme legati per mezzo del bisso sugli scogli a fior d’acqua; ciò evidentemente per resistere all’azione delle onde. B.— LEGGI GENERALI f) Della diffusione — L’abbondanza dei molluschi in una regione è in ragion diretta della ricchezza in calce delle rocce, del fra- stagliamento di queste, dello sviluppo e natura della flora; in ragione inversa del vento, della altitudine, dell’ aridità, della siccità, dell’eccessivo calore e del numero degli organismi com- petitori che nello stesso sito abitano. I molluschi prendono la calce necessaria alla loro conchiglia dalle piante, che alla lor volta la ricavano dal terreno. Scarseg- giano quindi nei siti poveri di carbonato calcico ed alla man- canza di questo è associata la completa assenza di quelli. 1) E. L. Lacarp. — Mimiery in mollusca — Iournal of Conchology. Leeds, Vol. VIII, Iuly 1894. — 154 — Ho già altre volte fatto notare !) come l'isola di Capri, avente poco più di 12 km.? d’area e di natura calcarea, sia ab- bondante in molluschi terrestri quasi come le regioni vesuviane e flegrea prese insieme, la prima sola misurante più che 100 km.? di superficie, ma di costituzione vulcanica. Nei fondi marini la maggior abbondanza di forme sì trova nei siti ricchi di anfrattuosità. I dintorni quindi dell’ isola di Capri sono molto più forniti di molluschi che non le spiagge vesuviane e flegree. Due cause che ostacolano il rigoglio della vita malacologica sono il vento e l’altitudine; questa perchè importa una diminu- zione di condizioni biologiche, quello producente una troppo ra- pida evaporazione dell'umidità che è indispensabile alla vita dei molluschi. Con Valtitudine la fauna diviene meno ricca e gl’in- dividui si localizzano per quanto più si sale; in Europa l’ultimo termine della vita dei molluschi è verso i 2800 m., ma in Ame- rica si trovano forme terrestri viventi sino a 5000 m. Nelle Alpi Helix glacialis ed alpestris vivono a quasi 2600 m.; l’Helix carascalensis a 2877 m. al Pic du Midi nei Pirenei (Locard); nel Perù i Bulimus culminensis e nivalis a 5000 m. (d’Or- bigny). In generale ogni catena montuosa più alta di 1070 m. ha fauna propria. Ma una causa importantissima dell’ abbondanza e della va- rietà dei molluschi in una regione è la natura della flora. È noto come i molluschi terrestri sieno soggetti a condi- zioni d’esistenza variabili secondo la flora nei suoi cambiamenti dal piano al monte, la quale in generale ed in particolare con- tribuisce alla frequenza o scarsezza dei molluschi in un sito; in generale perchè questi esseri si nutriscono di vegetali e la de- ficienza di questi porta seco anche la rarità di quelli; in parti- colare perchè nel maggior numero dei casi ogni specie preferisce una data pianta. Quando in alcuni punti le condizioni organiche e topografiche sono buone l’abbondanza dei molluschi è enorme. Nell’ isola di Capri ho raccolto una volta più di 200 tra Helix elata ed acuta in uno spazio di meno di 1 metro?, e Bourguignat *) in un’area quasi eguale ha contato presso Dinard 304 tra Helix acuta, pi- sana, submaritima, ossia 3.040.000 per ettaro. i) R. BeLuni — Aleume osservazioni sulla distribuzione ipsometrica dei mol- luschi terres rî mell’ isola di Capri. — Rendiconto del II Congresso Zoologico di Napoli — Aprile 1901. 2) Malacologie de la Bretagne, p. 156. — 155 — g) Della forma — La regolarità di forma dei molluschi è in ragion diretta dell'abbondanza del nutrimento e più Varea è localiz- zata e maggiormente la fauna è abbondante e speciale. In un complesso di molluschi acquatici d'un dato sito le forme coni- che sono più numerose quanto più l’acqua è ricca di vegetati. Quest'ultimo fatto si comprende riflettendo che le forme acute possono meglio delle depresse venire alla superficie del- l’acqua. Il fenomeno della specializzazione delle faune insulari de- vesi principalmente alla maggior selezione alla quale è andata soggetta la popolazione primitiva, sino al punto d’acquistare ca- ratteri differenziali dagli animali abitanti i continenti vicini. È notevole che le isole a fauna speciale sono separate dalle altre terre per un mare più profondo. La Sicilia ha 240 e più specie di molluschi terrestri, dei quali la metà circa è speciale. La Corsica su 110 specie ne ha ‘una quindicina esclusive. Creta ha una fauna di quasi 80 mol- luschi, tra i quali un terzo speciali ed ogni isola dell’arcipelogo greco ha specie caratteristiche di Claustlia. Le Azzorre sono abi- tate da T1 specie, delle quali 30 esclusive. Su 170 specie Madera . ne ha endemiche la metà. Le forme abitanti nelle isole possono fornire validi dati an- che alla geologia morfologica, per le prove che arrecano alla conoscenza delle antiche condizioni delle terre. L’affinità massima della fauna caprense alla sorrentina è una dimostrazione dell’an- tica unione delle due contrade, mentre alcune specie che vivono solo in Capri ed in Sicilia (Helix elata, turrita, Aradasi) possono fornirci la dimostrazione della oligocenica Tirrenide, costituita dall’unione delle grandi isole italiane legate all’ Africa da una parte ed al littorale occidentaie d’Italia dall’altra, h) — Della statura — Nes molluschi la statura è in ragion diretta del clima caldo, della luce, dell'abbondanza di calce nelle rocce e del nutrimento; in ragione inversa dell’altitudine, della pro- fondità, del freddo e del vento. I molluschi dei paesi nordici e freddi, delle montagne e delle acque profonde sono tutti di piccola statura e presentano poche varietà di forme. Molti dei fossili neogenici di Pozzuoli e d’Ischia, sebbene appartenenti a specie tutte ancor viventi nel — 156 — golfo di Napoli, hanno sviluppo organico maggiore perchè vis- suti in epoca in cui le acque erano riscaldate da azioni vulcaniche. Fu detto che i molluschi del Mediterraneo hanno dimensioni minori delle stesse specie del Nord Europa. !) Il fatto, accennato anche dallo Jeffreys, fu messo in dubbio dal Mac. Andrew ?) a cui replicò *), ribattuto 4). lo stesso Jeffreys. Esso quindi non è provato, ma possono aver tutti ragione, giacchè si può ragio- nevolmente supporre che ogni specie acquisti il suo massimo di statura nella latitudine meglio atta al suo sviluppo. S.— LEGGI SPECIALI i) — Dell’avvolgimento — L’avvolgimento nelle conchiglie monovalvi è, salvo non molti casi, destrorso. La destrorsità è regola in natura. Esistono in natura specie normalmente sinistrorse, ma, tolte queste eccezioni, la sinistrorsità è un fenomeno teratologico; al- cune poche specie possono essere 'indifferentemente destrorse o sinistrorse. L’inversione nel modo d’ avvolgimento della spira è in pa- ragone più comune nei monovalvi che non nei bivalvi e si è anche notato che la sinistrorsità si mostra spesso in una località determinata, ciò che fa supporre possa trasmettersi per eredità. Porro e Companyo 5) suppongono che nelle conchiglie tera- tologicamente sinistrorse questo fatto debba ricercarsi in un ac- cidente della conchiglia, ma il Locard fa notare come questa ipo- tesi non sia da ammettersi essendo la sinistrorsità già nell’uovo ‘). Altri l'attribuiscono ad un cambiamento nel modo di rota- zione dell'embrione, che nei molluschi esegue un movimento gi- rante su sè stesso, seguito ad un periodo più avanzato da un altro di traslazione. E 1) ForBes E. — Natural History of the European Seas. 2) R. M’AxpREW — Note on the comparative size of marine mollusca în va- rious latitudes of the Europea Seas—The ann. ond mag. of. Nat. Hist. I. Ser., Vol. 5.9; N.0 26. London 1860. 3) I. G. JEFFREYSs — Remarks on Mr. M°Andrews « Note », ecc. Ibid., N.9 27, 1860. 4) R. M'AxpreEw — Reply to Mr. Jeffrey Remarks on a « Note », ecc. — Ibid., n. 28. 5) Hist. Nat. des Pyrènees — Vol. III, p. 432. 6) L'influence des miliena sur le developpement des mollusques — Soc. d’Agrie, Hist. Nat. et arts utiles de Lyon — Seance du 1°" mars 1891. — 157 — Il Bourguignat !) notando l'abbondanza relativa di conchiglie sinistrorse in certi paesi, suppone che causa di tal fatto sia la elettricità; e, fatte le necessarie esperienze, ha concluso che per formarsi una conchiglia sinistrorsa occorrono un suolo buon con- duttore, un tempo molto burrascoso che possa agire elettrica- mente sui giacimenti della località, la riunione subitanea dell’elet- tricità delle nubi con quella del suolo, riunione che deve coin- cidere col momento stesso in cui nel germe si sviluppa la prima mobilità e che abbia luogo in senso inverso del movimento di rotazione. Il suddetto autore nota che la coincidenza di queste varie circostanze è difficile e ciò spiega bene la rarità d’imbattersi in siffatte anomalie. Però questa spiegazione è molto dubbia. lk) — Della colorazione — Nelle conchiglie L’inteNsITÀ della colora- zione è in ragione inversa dell’altitudiue, della statura , della grandezza, ed in ragion diretta dello spessore (Nelle parti molli in ragione inversa). La vivacità della colorazione è in ragion diretta dell'umido, della luce, del calore dell'ambiente. LA vaRIETÀ dei colori è în ragione inversa dell’estesa distribuzione geografica delle specie e dello stato giovanile degli individui. La colorazione è tanto più scura nelle forme terrestri per quanto più vivono in isole ristrette. Possiamo dividere i colori dei molluschi in tre gruppi: ( imitanti il colore del suolo o del fondo (Helix, Patella). imitanti il colore d’altri corpi (Spondylus, Buliminus). imitanti il colore del mare (Zanthina, Pteropodi). imitanti il colore del suolo e del fondo (Polpî). \ protettivi Utili \ ( | insidiosi INDIFFERENTI (perchè l’animale ha altri mezzi di protezione). Specie con robusta conchiglia. melanismo (color nero in ispecie normalmente in altro Accidentali (causati modo colorate). da speciali condi- ‘ albinismo (color bianco in specie normalmente colorate). zioni). jalinismo (aspetto subtrasparente in specie normal- mente opache). Più comune è il bianco, poi il rosso ed infine rarissimi l’az- zurro, il violetto ed il verde; resistono poco dopo la morte del- 1) In Morressier—Hist. malacol. da depart. de l’Hèrault—Paris 1868, p. 90. — 158 — l’animale, ma in parecchi casi si trovano ben conservati nelle conchiglie fossili. Nella ripartizione geografica delle specie quelle a colori fulgenti sono proprie dei paesi caldi e la colorazion@ sbiadisce allontanandosi dall’equatore; egualmente, siccome i cam- biamenti che avvengono in ragione della latitudine coincidono con quelli secondo la altitudine o profondità, così noi troveremo che nelle parti profonde dei mari e nei punti elevati dei conti- nenti le forme sono più deboli e sbiadite che non nelle zone littorale e nelle pianure, dove però sono più soggette a variare. L'Helix pisana dei nostri paesi mostra più intensa la colo- razione rosea del labbro se vive in punti maggiormente assolati. Nell’Helix nemoralis, hortensis, ecc. notiamo varietà diversissime per colorazione in dipendenza delle condizioni luminose e calo- rifiche. Queste specie offrono centinaia di varietà nel numero, colore ed estensione delle fasce, sempre più scure della conchi- glia e saldabili in un numero vario di combinazioni. Nell’Helix nemoralis il De Moulins !) ha osservato che la rarità nelle varietà di questa specie aumenta in ragion diretta dei numero delle fa- sce quando è pari, ed in ragione inversa di questo stesso nu- mero quando è impari. Gli Sporndylus, pelecipodi marini aderenti per una delle valve al corpi sommersi, hanno quasi incolora la valva per la quale sono fissati e l’opposta più intensamente colorata. Così molte altre specie di simili abitudini. Alcuni mezzi colorati possono agire chimicamente e mecca- nicamente sulle conchiglie modificandone il colore normale; mo- dificazione che può trasmettersi per eredità. Così la Paludinella rubiginosa deve il suo nome al colore che ha acquistato vivendo nelle sorgenti ferruginose dell'Ariège. Le condizioni insulari d’ una località hanno per effetto di scurir la colorazione della fauna terrestre ?). l) Delio spessore — E in ragion diretta dell’ abbondanza di calce delle rocce e del nutrimento, in ragione inversa dell’altitudine e della estesa distribuzione geografica delle specie. Sono più sottili le conchiglie delle specie a grande disper- sione ed altitudine, viventi in mezzi e su suoli poveri di calce, in acque profonde o quando il nutrimento è scarso. 1) Catalog. des moll. de la Gironde — Act. Soc. Hist. Nat. Bordeaux, II. p. 46. 2) FiscaeR P. — De l’influence des iles sur les espèces — Zourn. Conch., V. 1856, p. 35. — 159 — Burchard-Chantereux !) ha constatato nei molluschi ovipari che lo spessore della conchiglia è proporzionale a quello dell'uovo, e quando si vede diminuire la spessezza di quella diminuisce nelle stesse proporzioni anche in questo. Del resto lo spessore nella conchiglia non è uniforme ; il carbonato calcico e la conchiolina variano in proporzioni secondo l’età, il mezzo e la parte della conchiglia. Delacroix ha notato che l’ epifragma dell’ Helix pomatia contiene circa tre volte più conchiolina che tutto il resto. m) Dell’'acutezza della spira — Nelle specie terrestri rimanendo co- stanti la forma propria ed i caratteri della conchiglia in cia- scun genere le forme più acute sono quelle viventi ad altezza maggiore. Di questo fatto io giù me ne sono occupato in altra occa- sione ?); la causa deve evidentemente ricercarsi nella pressione atmosferica che diminuisce con l'altitudine e quindi la tendenza eliotropica della spira nella conchiglia dei molluschi terrestri varte- rebbe in ragione inversa della pressione atmosferica. Locardo Reclus hanno osservato in Francia tal fatto nelle Helix pomatia ed aspersa 3). In generale la spira è uno degli elementi più variabili; nelle Testacella, che è quasi nulla, già presenta diverse modificazioni. Nell'isola di Capri ho notato che V'H. variabilis in una zona an- che ristrettissima offre individui di varia altezza a seconda delle piante sulle quali abitano. n) Degli ornamenti — L’ornamentazione della conchiglia nella specie d'uno stesso gruppo è tanto più accentuata per quanto più la specie ha origine recente. Questo fatto s’osserva benissimo nelle ammoniti ed in altre forme con spine, coste, varici, ecc., che segnano la fine dei vari periodi d’ accrescimento. In molti casi lo scopo di questi orna- 1) Ann. Sc. Natur., Qme Serie, t. XI, 1854, p. 302. 2) R. BeLLinI — Alcune osservazioni sulla distribuzione ipsometrica dei mol- luschi terrestri nell'isola di Capri. Rendiconto del II Congresso Zoologico Ita- liano — Napoli 1901. 3) A. Locarp— L'influence des milieux dans le develloppement des mollusques. Sos. d’Agric., Hist. Nat. et arts utiles de Lyon, 1881, p. 65. — 160 — menti è ignoto; in altri casi servono al mollusco per fissarsi nella sabbia (Cardium echitnatum, ecc.). Tutte le diverse cause di variazioni accennate nelle prece - denti pagine possono indurre cambiamenti anche in elementi più ristretti o produrre anomalie non ereditarie perchè la forza d’a- tavismo non è vinta dalle condizioni dell’ ambiente. Mi basterà qui accennare a solo qualche caso. Accrescimento — È influenzato delle condizioni biologiche, che, se costanti dallo sviluppo dell’ individuo sino a completezza , si avrà la rassomiglianza ai progenitori, altrimenti la differenza. La eccessiva variabilità delle forme acquatiche extramarine è dovuta ai tempi di sosta del loro accrescimento in causa del se c- carsi nell’estate degli stagni, ruscelli e paludi. Opercolo — Locard !) crede che nei molluschi fluviatili l’oper- colo sia più spesso e striato nelle colonie abitanti acque più fredde e correnti. Epifragma — È spesso come la conchiglia, più o meno forte secondo la natura e la forma dei corpi ai quali aderisce. Denti — Nei pelecipodi fluviatili gl’individui d’una stessa fa- miglia hanno i denti più o meno sviluppati nel cardine . della loro conchiglia secondo l'habitat. Bourguignat *) ha riconosciuto nel suo nuovo genere Pseudanodonta che « a misura che si segue la filiazione delle specie dal centro dell’Africa sino ai nostri paesi si vede il dente cardinale, prima forte e tubercoloso, diminuire poco a poco e diventare quasi nullo nelle forme più occidentali ». Epidermide — Sparisce con l’età e con i cambiamenti igro- metrici dell'ambiente. I peli sono più lunghi e villosi nelle forme dei luoghi bassi. Nelle specie fluviatili la spessezza del rivesti- mento epidermico è in ragion diretta dell'abbondanza dell’ ani- dride carbonica dell’acqua. Corrosione della conchiglia — Più profonda nelle conchiglie spesse. Il Gassies ) la crede dovuta ad un miriapode acquatico; il Fischer 4) suppone che gli stessi molluschi in difetto di calcare possano prenderlo da altre conchiglie ed a tal fatto ha eseguito 1) Etudes sur les variations malacologiques. Tome 214 Lyon-Paris 1881; p. 400. 2) Description de deux nouveaua genres algeriens — 1877, p. 55. 3) Tableau methodique et descriptif des mollusques de Vl Agènais, 1849 — piL6r: 4) Note sur l’erosion du tét chez quelques coquilles fluviatiles univalves — Iourn. de Conchyl., III, 1852, p. 303. gilt esperienze sulle Lamraea; il Locard !) crede che gli embrioni di bivalvi e di neritine, di cui le uova furono depositate sulle valve della conchiglia, possano determinare le escoriazioni di questa; il Brard ?) attribuisce il fatto ad un verme ed il Bonillet 3) vi vede l’azione d’un insetto. In conclusione deve ritenersi la cor- rosione un fenomeno accidentale, che può aver varie cause, pren- der varie colonie e trasmettersi per eredità. Nelle conchiglie delle acque ferme o che si prosciugano può esser originata da una causa meccanica. Certe crittogame acqua- tiche (Chaetopora, Batrachospermum) depositano sulla conchiglia i loro germi ravvolti da una incrostazione calcarea e nelle piccole fessure dell'epidermide la loro introduzione ne determinerebbe la screpolatura. Molte specie delle acque stagnanti presso Napoli offrono questo fenomeno 4). Strozzamento dei giri — Causato da una frattura della con- chiglia nello sviluppo dei primi giri e più tardi il mollusco ha continuato regolarmente a svilupparsi. Scalarismo — Deriva da azione meccanica e può divenire ere- ditaria. Albinismo 0 leucosi — Deriva dall'assenza dello strato pigmen- tario e può esser generale e particolare. Più frequente nei gaste- ropodi terrestri e predomina nei paesi caldi o freddissimi. Altre volte è causato dalla vecchiezza e nelle specie nude terrestri può esserne l’origine l'acido d’alcune piante, come ha osservato Bour- guignat *) nell’ Aron albus. Colorazione dermale — Negli individui d’una stessa specie di- minuisce con l’altitudine. Da quanto sinora ho esposto possiamo così raggruppare le varie cause di variazione nei molluschi. FISICHE a) Ipsometriche— Coll’altitudine si eleva la spira, s’indeboli- scono i colori, diminuisce lo spessore delle conchiglie. La colo- razione viene a localizzarsi verso l'apertura. 1) Etudes sur les variations, ecc., p. 409. 2) Histoire des coquilles. 1815 — p. 195. 3) Cataloque des mollusques de UAuvergne, 1836 — p. 68. 4) BeLuini R. — The freshwater shells of Naples and the Neighbourhood — The Iournal' of Conchology, Vol. II, N. 2—April 1904. 5) Spicileges malacologigques—1862, p. 15. il — 162 — b) Latimetriche—Coincidono con le precedenti. I tipi delle regioni alte e dei paesi settentrionali differiscono, perchè meno accentuati, da quelli delle regioni basse e dei paesi meridionali. c) Batimetriche-Una causa della varia profondità alla quale i molluschi vivono è la maggiore o minor abbondanza d’ossigeno necessario alla respirazione. d) Climatiche -L'umidità ha un’ influenza sullo sviluppo ; le specie dei luoghi secchi ed aridi sono più -piccole di quelle vi- venti nei siti umidi. Più i molluschi hanno conchiglia sottile e più evitano il caldo ; 1 Limax Testacella Hyalina non vanno mai al sole; sulle rocce calcaree di monte Pellegrino ‘a Palermo ed in altri posti le Leucochroa candidissima ed altre specie dalla con- chiglia ponderosa sì raccolgono in gruppi numerosi. Gaspard ha osservato 1!) che una temperatura di + 20 a + 25 R. in inverno e+39 R. in estate fa cadere 1 molluschi in letargo agendo sulla respirazione; il calore di+42 KR è fatale. e) Luminose I diversi raggi colorati hanno speciali azioni sullo sviluppo degli animali e dei vegetali ed il verde è uno dei meno favorevoli; quindi i molluschi viventi sotto verdi praterie si sviluppano più difficilmente. f) Elettriche e magnetiche sulla riproduzione e forse sull’avvolgimento delle spire. g) Insulari — La fauna delle isole è più selezionata ed ha L’elettricità ha grande influenza colore più oscuro. CHIMICHE h) Litologiche.—Il calcare è la condizione per l'abbondanza, per lo spessore e per la grandezza delle conchiglie. I sali di ferro hanno anche una certa influenza e si è osservato nei fossili che una stessa specie ha individui più sviluppati se trasformati in ossido di ferro piuttosto che in pirite, forse per causa dei solfuri delle acque. i) /drologiche-Sono abbondanti i molluschi nelle acque tem- perate, poco ricche di principi minerali, con detriti vegetali in sospensione. Due orizzonti geologici eguali ed a fauna definita, ma di facies petrografica differente, avranno i loro fossili di diversa taglia. ì 1) In Magendie, Zourn. physiol,. 1872, II, p. 296. — 163 — MECCANICHE k) Substratiche — Nei fondi sabbiosi predominano i pelecipo- di, in quelli rocciosi e con anfrattuosità i gasteropodi di piccola taglia. 1) Movimentali — Causate dalle correnti, venti, uccelli e dai trasporti per causa dell’uomo. Esiste realmente uno spostamento nelle faune; le specie meridionali tendono a rimontare per le valli verso il nord e le faune delle grandi altezze a discendere verso il basso; si ha così un continuo adattamento e continue scomparse di forme che non resistono alle condizioni dell’ambiente. m) Fluvialit—Sono più favoriti gl’individui viventi alla super- ficie delle acque e che ne subiscono il movimento e la variabile temperatura; le correnti diminuiscono alquanto la regolarità delle forme. n) Azzone meccanica dei vegetali—-Quando le piante nell'acqua prendono un eccessivo sviluppo ostacolando il libero movimento dei molluschi, questi tenderanno ad assumere forme coniche per- chè più atte delle depresse a vincere la resistenza per venire alla superficie. Si producono per questa ragione molti casi di scala- rismo (Pirè e Van der Broeck). o) Densità der mezzi — Esercita una considerevole influenza sullo sviluppo, giacchè impedendo la libera respirazione determina un rachitismo generale sull’ organismo. Questo fatto notato per primo dal de Folin !), ci spiega anche i caratteri di deperimento di molte faune, come p. es. quella del lago Fusaro ?). ORGANICHE p) Mimetiche —Il mimetismo induce forme e colorazioni speciali. q) Botaniche — L' abbondanza delle piante per nutrimento porta il rapido e regolare sviluppo delle forme. La condizione opposta ha nei bivalvi l’effetto d’allargare la conchiglia in alcune specie ed attenuarla in altre, di maggiormente imprimere le strie d’accrescimento e farle irregolari. 1) Faune lacustre de Vancien lac d'Ossegor, 1879 -- p. 22. 2) Berni R.—I molluschi del lago Fusaro e del mar Morto nei Campi Flegrei — Boll. Soc. Naturalisti in Napoli, XVI, 1902, — 164 — r) Parassitiche — Il parassitismo è poco comune nei mollu- schi ed in gran numero di casi è a spese di celenterati ed echi- nodermi. Tal genere di vita induce modificazioni nella colora- zione, nella struttura e nella radula. Segue una breve lista di molluschi parassiti. GENERI E SPECIE OSPITI Vulsella, Crenatula. Spugne. Coralliophila, Sistrum, Rhizochilus, Ma- gilus, Cryptobia, Tridacna, Pedwe. Coralli. Pedicularia sicula. . Melithaca rubra. Stylifer, Styliferina, Eulima. Echinodermi in generale. Pileopsis astericola, P. crystallina. Asterie. Montacuta substriata, Lepton parasiti- | cum. Spatangus, Cydaris, Hemiaster. Odostomia. Pecten maximus, Turritella, communis. Anomia. Pecten, Chlamgs. Modiolaria marmorata. | Ascidie semplici. Lamellaria perspicua. Ascidie composte (Leptoclinum). s) Ibernative ( L'ibernazione e l’estivazione influiscano sulla t) Estivali è statura e sul colore. u) Dell’addomesticamento — Per mezzo dell’addomesticamento s'ottiene una più grande rapidità nell’evoluzione. v) Dell’ accoppiamento — Si sono osservati accoppiamenti di specie diverse senza conoscere i risultati. Tutte le variazioni sono regolate da leggi generali che pos- sono brevemente così esprimersi: a) — Le variazioni sono più accentuate nelle specie terrestri abi- tanti in basso e nelle marine littorali, perchè sono più nume- rose le diversità dell'ambiente. 8) — Sono anche più accentuate nelle forme cosmopolite 0 che pos- sono vivere a diverse altezze. Conseguenza di questo fatto sono le (ORME RAPPRESENTATIVE NELLO SPAZIO. v)— L'influenza dei mezzi è maggiore nelle forme acquatiche e quindi il maggior polimorfismo di queste. ©) Le specie dei generi più ricchi e numerosi variano dappertutto più di quelle dei generi meno numerosi di forme. Tutte queste cause hanno sempre agito sin dal primo appa- rire della vita sulla terra, lentamente hanno prodotto le nume- — 165 — rose forme organiche popolanti il nostro pianeta e preparano quelle avvenire; giacchè vi è una correlazione costante tra le leggi regolanti il mondo inorganico e quelle dello sviluppo del viventi. I limiti nei quali le variazioni agiscono sono circoscritti; le forme accidentali ed individuali svaniscono davanti alle leggi generali, che danno origine ai tipi dominanti e per un tempo lunghissimo sussistenti, subendo alla lor volta altre modificazioni accentuantisi nei secoli e polimorfizzandosi nello spazio. A queste forme in certo qual modo stabili noi dovremo as- segnare un nome specifico. Credo che non si debba accettare l'opinione di chi quasi non vuol riconoscere l’esistenza delle spe- cie e nominarle, ma d’ altra parte anche una distinzione esage- rata d'ogni minima variazione prepara la via per un secondo Linneo. Pensando che la nomenclatura è la condizione essenziale per la conoscenza delle cose noi seguiremo una strada intermedia, altrimenti saremmo obbligati ad ammettere un gran numero di forme molte delle quali senza visibili anelli d’ unione, passanti le une alle altre per gradazioni succedentisi senza limiti e senza leggi. Torino, Aprile 1904. Su di alcuni nuovi casi di teratologia vegetale. — Nota del socio G. Rippa. (Tornata del 14 agosto 1904). Da parecchio tempo vado raccogliendo materiale per la com- pilazione di un « Contributo alla teratologia vegetale » e già le mie osservazioni sommano ad un discreto numero. In questa mia prima nota sono comprese soltanto le osser- vazioni, che riguardano quei casì, i quali reputo più interessanti, e che fin ora non sono stati descritti da altri. Oltre all'opera del Penzig « Pflanzen-Teratologie », ho avuto cura di riscontrare la estesissima letteratura sul soggetto, poste- riore alla pubblicazione di tale manuale, sicchè, per quanto m'è stato possibile, ho cercato di evitare la ripetizione di cose già dette. Alla presente farò seguire altre note, non appena il tempo e la opportunità me lo permetteranno. RANUNCULUS LANUGINOSUS L. Didimantia. — Il Ramnuneulus lanuginosus cresce abbon- dantemente nei prati dell’orto botanico di Napoli, e fiorisce per quasi tutta la stagione primaverile. In questa specie i singoli fiori sono messi all’estremo del peduncolo e non mai due di essì sì trovano a terminare lo stesso peduncolo. Non pertanto raccolsi due di siffatti fiori, i quali, per la vicinanza dei punti d’inserzio- ne sul medesimo peduncolo, serbavano una direzione divergente. I verticilli fiorali non presentavano alcuna anomalia. Il Dott. Zodda (Nuovi casi teratologici, in Malpighia anno 1903, p. 3) ha osservato un caso analogo nel Papaver rhoeas, e dice « che questa specie di mostruosità non è stata mai osser- vata nè in questa nè in altra specie », e propone per un tal fe- nomeno il nome di « didimantia o fiori gemelli ». Io adopero l’i- stesso nome per il caso da me osservato. — 167 — AKEBIA QUINATA Decne. Sinfisi foliare._-Nell’Akebia qunata, frutice scandente del Giappone, le foglie sono peltato-digitate, ed hanno ordinariamente cinque foglioline ovali, ottuse e con margine intero. Una foglia anormale, da me raccolta su di una pianta colti- vata nell'orto botanico, aveva quattro foglioline in luogo di cin- que, e delle quali due erano interamente saldate fra di loro, e, delle altre due, una lo era per metà, l’altra fin verso la base. Così alterata, la foglia aveva tutto aspetto di una foglia sem- plice, trilobata, piuttosto che quello di una foglia composta. BrassicA NAPUS, VAR. RADICE EXILE Gasp. Cloranzia da parassitismo. — Tra numerosi esemplari di quella varietà di Brassica, la quale in Napoli è conosciuta col nome di Broccolo di Rape, e che Pasquale 1) riferisce alla Bras- sica Napus var. radice exile Gasp., mi è occorso osservarne alcu- ni, i quali presentavano esempio di cloranzia e di altre anomalie nella maggior parte dei loro fiori. È noto a tutti che i casi di virescenza s'incontrano con una certa frequenza ed in piante ap- partenenti alle più svariate famiglie, sicchè quello da me stu- diato sul comune « Broccolo di Rape » non è affatto nuovo. Non pertanto credo non interamente inutile occuparmene nella presen- te nota, e ciò sia per descrivere le concomitanti alterazioni fiorali, sia per indicarne la causa produttrice, la quale non era rappre- sentata nè da una lesione prodotta per opera di funghi, nè da puntura di speciali insetti. Descriverò, adunque, tutte le alterazioni studiate, facendo notare che esse si ripetevano in non pochi individui, e che talor: erano poco complicate e costanti per ciascun individuo, e tal altra lo erano abbastanza e svariate nella stessa pianta. I. Analisideifioriappartenentiadun primo indi- viduo. —Irami di questo individuo, come al solito, erano ter- minati da una infiorescenza a corimbo-racemo, del quale i fiori situati nella regione inferiore avevano di anormale il solo gine- ceo. Difatti alla sommità di un podogino, lungo circa un centi- metro, era un grosso ovario, largo ed appiattito, lungo circa 4 volte il normale, e questo determinava uno strano contrasto 1) Pasquare G. A. Catalogo dell'Orto Botanico di Napoli, 1867. — 168 — con le altri parti fiorali, che erano normali nello sviluppo e nel colore. Nel medesimo ramo però i fiori andavano sempre più al- terandosi, a misura che sì procedeva verso l’alto dell’infiorescenza- Talora mi è occorso notare: 19) Un calice monociclico di 4 sepali mutati in foglie; di essi i 2 esterni erano più larghi e trimervati, i 2 interni più stretti subuninervii e quasi gamofilli alla base. 2°) Una corolla di 4 petali, trasformati in foglie verdi, piane, più anguste dei sepali ed uninervi. La loro posizione era sensibilmente bilaterale: 2 per 2. 3°) Un androceo di 6 stami, ridotti al solo filamento e verdi. 49) Un grosso ovario, sorretto dal podogino, come nel caso precedente. | II. Analisi dei fiori appartenenti ad un secondo individuo.— I fiori di questo secondo individuo di Brassiea pre- sentano alterazioni ancora più profonde. Al calice, di 4 sepali, verdi e disposti come nel caso precedente, succedevano 4 petali piani, clorantici, mutati in foglie ed uninervi. Gli stami, in nu- mero di 6 e tetradinami, erano anch'essi verdeggianti; poco più corti dei normali e con antere prive di polline. In qualche fiore tali stami erano o mutati in foglie verdi, ovvero mostravansi co- stituiti da un gracile e lungo assicino, alla cui estremità era un’an- tera del tutto deformata. Quando i fiori, appartenenti a tale infiorescenza, erano an- cora chiusi, a traverso gli altri organi, veniva fuori un grosso pistillo le cui foglie carpidiali erano avvicinate l’una all'altra. Ma nell’ulteriore sviluppo i due carpidii, formanti il pistillo, si allontanavano l’un l’altro ora interamente ed ora restando avvi- cinati soltanto alla base e per breve tratto. Nell’un caso o nel- l’altro dalle ascelle delle foglie carpidiali venivano fuori due gem- mette, una per foglia, e fra queste una gemma diafitica, la quale talora aveva uno sviluppo assai limitato. Da tali gemmette, si avevano altri fiorellini clorotici, il cui pistillo, a carpidii liberi, si comportava come quello del fiore principale, generando cioè altri fiorellini di piccolissime dimen- sioni. In qualche altro fiore la gemma diafitica produceva una in- finità di piccolissime formazioni, le quali riusciva difficile il de- scrivere, proprio per la loro estrema picciolezza. III. Analisi dei fiori appartenenti ad un terzo individuo. Quest’altro individuo di Brassica Napus var. radice erile, da me osservato, presentava virescenza di tutti gli organi fio- — 169 — rali; appiattimento laminare dei pezzi del calice, della corolla e del gineceo; clorosi e talora notevole alterazione degli stami; sviluppo di un ginoforo, paragonabile a quello delle Capparidee; notevole iperblastesi antofora nell’asse talamico. Ma non tutti i fiori di tale individuo erano in tal modo alterati. La pianta, alla quale era stato asportato l’asse primario, aveva cinque rami secondarii, e qualcuno di questi portava fiori normali o quasi. Un fiore tera- tologico, tolto ad uno dei rami anzidetti, era fatto: 1° da un calice di quattro sepali ellittici, mutati in foglie verdi, lunghe circa due centimetri, con una nervatura mediana e due laterali; 2° da una corolla di quattro petali ellittici verdi e trinervati; 3° da quattro stami ridotti al solo filamento e verdi; 4° da un pi- stillo (sorretto dal solito podogino) con foglie carpidiali libere e fra queste un gracile assicino con numerose gemmule. Un altro fiore, tolto allo stesso ramo, aveva i sepali ovali e cucullati, i petali a lamina verde ed angusta, gli stami con fila- menti terminati all’apice e lateralmente all’antera rudimentale da due piccoli rigonfiamenti. Finalmente, in altri fiori i petali ripe- tevano perfettamente, ma in piccolo, la forma delle foglie vege- tative, e gli stami avevano l’antera verde, saettiforme e priva di polline. Altro fatto degno di nota, il quale si notava in detti fiori, era che dall’ ascella dei sepali venivano fuori degli assicini, con all’apice una piccola gemmetta. IV. Le alterazioni fiorali, delle quali mì sono occupato, si ri- scontravano ancora su di altri individui, ma in generale esse si riducevano sempre a quelle poc'anzi descritte. Epperò, per quanto alterati fossero i fiori, il calice era sempre riconoscibile, perchè assai sviluppato; la corolla si rendeva sempre in foglie minutissime; gli stami (ora in numero normale ed ora ridotti a 4) erano al- cune volte molto trasformati. I due carpidii si rendevano mini- mi nei fiori superiori, e per compenso la gemma diafitica si svi- luppava in un primordio di complicata infiorescenza, con race- mo di fiori abortivi e minuti, nel cui centro talamico, singolar- mente, si ritrovava un primordio di racemi (terziarii) ancora più piccoli. A questi termini si riducevano le infiorescenze colpite da clorosi. Quanto poi all'architettura del fiore, vi sarebbe stato appiglio per considerarla pentaciclica in questo senso: due sepali esterni laterali; due sepali interni antico-postici; due terne laterali, com- posta ciascuna da due petali e da uno stame (maggiore), organo cioè tripartito, o, per meglio dire, stame con filamento biappen- — 170 — dicolato ; due coppie di stami interni; due carpidii sovrapposti al sepali esterni. I numerosi fiori di altri numerosi corimbi clorantici offri- vano naturalmente una innumerevole varietà di caratteri defor- mati, ma tutti venivano a confermare nei tratti generali la espo- sizione sovradetta. Come ho detto, quantunque la serie di deformazioni osser- vate nei fiori di Brassica Napus var. sembrasse a prima vista dovuta solamente ad interne disposizioni, pure non riesce diffi- cile dimostrare il contrario ed additare un novello fattore di spe- ciali casi teratologici. Invero in questi ultimi tempi i Proff. Delpino e Massalongo, occupandosi di un caso teratologico (per verità non di virescenza, ma di cladomania) da essi indipendentemente osservato sovra piante di Pieris hieraciordes *), rilevarono che nel colletto della pianta, in luogo del midollo, era scavata una galleria, ove una larva d’insetto, verisimilmente di un coleottero, avea rosicchiato tutto quanto il parenchima midollare. Le anomalie da me osservate sulla citata varietà di Brassica Napus si debbono parimente riferire a causa parassitaria. I rami, i quali sostenevano le infiorescenze clorotiche, sezionati per lungo, si mostravano attraversati quasi ininterrottamente da gallerie, le quali, nel momento dell’osservazione, erano ancora abitate da bruchi bianchi, i quali distruggevano, alimentandosene, il tessuto midollare. La via di entrata dell'insetto era piccolissima ed a brevis- sima distanza dalla inserzione foliare, il che la faceva poco ma- nifesta. Non sempre però la pianta era interamente invasa: ne ho osservata una, la quale era stata attaccata dai bruchi soltanto nella sua parte superiore. I fiori di essa erano anormali sola- mente al di sopra della regione invasa, laddove quelli inferiori non presentavano anomalia di sorta. Da quanto sin qui son venuto dicendo, e sovratutto dall’ul- tima osservazione, si può dedurre che la distruzione da parte di bruchi del parenchima midollare, in un certo periodo di sua esi- stenza, determina nelle piante speciali anomalie, le quali ora sono rappresentate da cladomanie ed ora da virescenza ed alterazioni più o meno profonde degli organi fiorali. !) MassaLongo, in Bull. Soc. bot. Ital. 1903, fasc. 5-6—DELPIN0, Cladomania di Picrîs hieracioides, in Bull. Soc. bot. Ital. ottobre 1903. — IM1 —- ACER oBLONGUM L. Frutto tri-tetra-pentacarpellare. — Il Dott. Zod- da !), a proposito dell’Acer campestre, dice che i frutti tricarpel- lari nel genere Acer non sono affatto rari, e che egli annual- mente ne osserva nella specie citata. Analogamente mi capita osservare nell’Acer oblongum. Que- st’ anno, oltre ai soliti tricarpellari, ho raccolti di questa specie varii frutti tetracarpellari ed un solo formato da cinque carpelli, dei quali tre erano contigui e due opposti. EDWARDSIA MICROPHYLLA Swartz. Da una infiorescenza di Edwardsia microphylla raccolsi un fiore, il quale presentava una singolare anomalia. Il calice, nella sua parte superiore, non offriva niente di anormale, ma in quella inferiore la sua parete, per un certo tratto, era sdoppiata come in due lamine: l’una esterna e l’altra interna. A traverso tale sdoppiamento veniva fuori un secondo fiore, in- serito verso la base del calice, brevemente pedicellato, assai più piccolo e più giovane del primo, ed a sua volta fornito di calice, il quale però era libero soltanto nella sua parte superiore, mentre quella inferiore aderiva con la lamina interna del calice, spet- tante all’altro fiore. Salvo le dimensioni, questo secondo fiore non presentava altra differenza rispetto al fiore principale. Mimosa Puprica L. Dialisi cotiledonare. — In quest’ ultima primavera mi è occorso di osservare parecchie pianticine germoglianti di M4- mosa pudica, le quali si differivano dalle altre, per la presenza di tre cotiledoni, dei quali due erano contigui fra di loro ed il terzo opposto. La posizione, che essi occupavano, era tale da non lasciare dubbi sul modo come si erano prodotti, cioè per dialisi laterale di uno dei due cotiledoni. 1) G. Zoppa. Di alcuni nuovi casi teratologici, in Malpighia, anno 1903. — 172 — TUPIDANTHUS CALYPTRATUS Hook. fil. Sinfisi fiorale. — Normalmente, i fiori del Tupidanthus calyptratus sono costituiti da una corolla caliptriforme, la quale all’esterno è quasi interamente rivestita da una fitta peluria ed internamente è fatta come da due segmenti semicircolari con al- trettante linee sporgenti. Gli stami sono numerosi, uniseriati, 0, in alcuni determinati punti, biseriati ed avvicinati in 2 o più gruppi. Gli stimmi sono sessili e disposti in modo da costituire una figura di forma irregolare, per solito a quattro lati. La placentazione, pure determinando una cavità unica, pre- senta alcuni centri, attorno ai quali irradiano i setti delle sin- gole logge. Tali centri, corrispondendo a due convergenze trigone dei lobi stimmatici, possono essere ridotti agevolmente a due sol- tanto. L’ovario è alquanto depresso nel senso della lunghezza, e racchiude numerosi ovoli. In una infiorescenza di Tupidanthus calyptratus coltivato nel- l’orto botanico di Napoli, raccolsi, or non ha guari, un fiore, il quale non era alterato nelle sue dimensioni. Il pedicello, alquanto schiacciato, mostrava due solchi (uno per lato); i quali gradata- mente si accentuavano e si dilatavano a misura che si portavano in alto. Nella regione ovarica essi determinavano una larga sca- nalatura, la quale segnava la linea di demarcazione di due fiori saldati fra di loro. Non ebbi la opportunità di osservare le co- rolle dei due fiori, perchè cadute nel momento dell’osservazione. Gli stami, che erano numerosi, apparivano uniseriati ed annu- lari in ambedue i fiori. I due ovarii avevano, ciascuno, 22 logge, disposte annular- mente, tutte attorno ad un unico centro. Gli stili, nei singoli fiori, erano saldati fra di loro e forma- vano un cono, al cui estremo erano disposti gli stimmi a guisa di un anello o di un circolo. Ora, paragonando i fiori normali con quei teratologici testè cennati, si nota che le dimensioni di questi ultimi rispetto ai primi non sono alterate, che il pedicello fiorale è schiacciato tanto negli uni quanto negli altri, che l' o- vario il quale è depresso nel senso della lunghezza nei fiori nor- mali, è circolare nei due anormali che la placentazione nei nor- mali (pure determinando una cavità unica) presenta due centri, attorno ai quali irradiano i setti delle singole logge , laddove è monocentrica nei due fiori teratologici, e che, infine, gli stimmi — 173 — si dispongono a guisa di anello nei fiori teratologici, mentre si raggruppano sempre in modo da formare una figura allungata o triangolare in quei normali. Da tutto ciò risulta che i fiori del 7'upidanthus calyptratus devono considerarsi come normalmente e stabilmente divenuti doppii, mediante la fusione di due fiori. Questa congettura fu già espressa anche dal Prof. Delpino, ed ora resta convalidata dal- l'interessante caso teratologico che ho qui descritto. ARMERIA JAPONICA Hort. I. Cloranzia. — Parecchi individui di questa specie presen- tavano alcune infiorescenze a fiori clorotici. In tali infiorescenze il peduncolo era assai ridotto nelle sue dimensioni, e qualche volta era lungo appena quanto le foglie. I fiori in una stessa in- fiorescenza erano con pedicelli ora cortissimi ed ora lunghi più di un centimetro. I fiori con lungo pedicello avevano il calice di 5-8 sepali angusti, gamofilli alla base, verdi nei ?/3 superiori, rossicci nel 1/3 inferiore. La corolla era formata da 5 petali, parimente angusti, clorotici, lunghi quanto i sepali e liberi fra di loro. Gli stami apparivano rudimentali, e quindi con antere prive di polline. Il pistillo mostrava un ovario alquanto ipertrofico ed i cinque stili in gran parte liberi. I fiori con pedicello raccorciato avevano il calice a sepali obovali, e gamofilli solo per breve tratto alla base; la corolla con petali obovali e più corti dei sepali, gli stami erano come nei fiori precedentemente descritti, ed il pistillo aveva i carpidii li- beri solo nella loro parte superiore. Quantunque siffatte infiorescenze clorotiche non mostrassero traccia alcuna di lesione prodotta per opera di funghi o di in- setti, io non dubito che le anomalie descritte debbano attribuirsi proprio alla puntura di piccoli animali, e verisimilmente a quella di afidi. II. Fasciazione. — Il fenomeno si avverava tra due infio- rescenze a fiori normali. Il peduncolo, come accade per solito nelle fasciazioni, era il doppio del normale ed era depresso per tutta la sua lunghezza. La guaina era unica ed ampia. Al di sopra di essa le due infiorescenze, ridivenute libere , si svolge- vano ciascuna per proprio conto. — 174 — VINCA ROSEA Cloranzia.— Su di una pianta, appartenente a tale specie, raccolsi alcuni fiori, i quali avevano il calice normale nello svi- luppo e nel colore; ma la corolla aveva il tubo più corto del solito e più grosso , ed il lembo diviso in 5 lobi molto rimpic- cioliti e verdi. Gli stami avevano dimensioni poco differenti dal normale, la qual cosa poteva dirsi anche per il pistillo. Altri fiori, spettanti allo stesso ramo, avevano normale il ca- lice; la corolla ridotta a 5 foglioline alternisepali, verdi, cucul- late, picciuolate e penninervie. A tali foglioline seguivano gli stami, anch’ essi ridotti in foglie vegetative anguste e verdi. Finalmente le foglie carpidiali erano alla lor volta anguste, lanceolate e verdi. Quantunque difficile precisare la causa delle anomalie sud- descritte , pure riscontrai che tutte le antere dei fiori clorotici erano invase dal micelio di un fungo, il quale attaccava e di- struggeva i granuli pollinici. Può darsi che sia proprio questo fungo la causa della citata anomalia. CHLORA PERFOLIATA Lin. Aderenza e soppressione (o disgiunzione?) fo- liare. In un individuo di Chlora perfoliata notai le seguenti ano- malie. Verso la base del fusto vi era una coppia di foglie, nor- mali per forma e posizione. Ma ad esse ne seguivano due, le quali erano contigue invece di essere opposte, ed erano saldate dalla base fin verso l’apice per uno dei loro margini. Tutto questo era confermato dalla presenza di due nerva- ture principali distinte e dalle dimensioni delle due foglie saldate. A quest’ anomalia ne succedeva un’ altra, rappresentata da altre due foglie, le quali erano alterne e non opposte, come avrebbe dovuto accadere. Sicchè in questa pianta si aveva una duplice anomalia: cioè una, rappresentata dall’aderenza marginale di due foglie anor- malmente divenute contigue, e l’altra dalla soppressione (o dis- giunzione?) di una delle due foglie, costituenti la coppia foliare. Ammettendo la soppressione, il fatto si sarebbe ripetuto due volte, per due coppie successive. — 175 — CaLysTEGIA sEPIÙUM R. Br. Nella Calystegia sepium le foglie sono descritte come « saet- tiformi od astate, ad orecchiette troncate !). Su di una pianta raccolsi una foglia perfettamente trilobata. Siccome nella famiglia delle Convolvulacee assai spesso s'incontrano specie a foglie tri- lobate (Pharbitis, Batatas, Ipomaea, ecc.), suppongo che l'anomalia da me osservata non sia accidentale, ma rappresenti un ritorno atavico a detta forma. BaALLOTA NIGRA Lin. Eterofillia. — In questa specie le foglie sono dette « ovate, crenato-seghettate ». Io ne ho raccolta una pianta, la quale, con le normali, aveva foglie bilobe o quasi, bipartite ed anche pal- mato-lobate. Non pare che questa anomalia sia stata osservata anche da altri. LeucoJoMm HERNANDEZI Camb. In parecchie infiorescenze di Leucojum Hernandezii ho no- tato dei fiori anormali, nei quali costantemente vi era soppres- sione dei filli interni del perigonio e di uno o più stami; il pi- stillo però era sempre normalmente rappresentato. In un fiore ho notato: 3 tepali esterni, dei quali 2 laterali più grandi ed uno superiore più piccolo; 5 stami, dei quali 3 erano normali e degli altri due, uno aveva l’antera bianco-gial- liccia, priva di polline e con una lieve espansione laminare bianca, l’altro mancava di tale espansione. In altri fiori, appartenenti ad altre infiorescenze, i tepali erano per lo più ridotti a 3, e gli stami erano ora in numero di 4, ora di 3 ed ora di 5. Raramente tutti gli stami avevano l’antera fertile, il più delle volte essa era sterile o mancante ad- dirittura. In un caso dei quattro stami, di cui era fornito il fiore, due erano ad antere saldate col pistillo. 1) ARcANGELI Comp. fl. Ital. (1.8 ed.) pag. 479. — 176 — OPHIOGLOSSUM RETICULATUM Lu. Di questa specie esistono varii esemplari, raccolti al Congo dal Sig. G. Zenker, assieme ad un disegno, grossolanamente ese- guito dallo stesso. Fra questi esemplari varii presentano la re- gione sporangifera a tre od a due rami, in luogo di uno, come normalmente accade. Anche nel disegno è raffigurata una pianta, la cui regione sporangifera è tripartita. Questa anomalia conferma l’interpretazione , data dal Prof. Delpino, sul modo come avviene la formazione della regione spo- rangifera negli Ophioglossum, vale a dire per fusione dei due lobi laterali fertili di una foglia tripartita. LyCoPOPIUM CAROLINIANUM Lin. Tra le pteridofite raccolte al Congo dal signor G. Zenker e conservate nel nostro laboratorio di botanica , si trovano varii esemplari di Lycopodium carolinianum , provenienti da una pra- teria presso la foresta di Rio Bahna. Uno di tali esemplari aveva la spiga, lunga circa un pollice , la quale verso la metà di sua lunghezza s’incurvava bruscamente, e, dalla ascella di una delle sue squame, veniva fuori una seconda spiga fruttifera, più corta della prima. Così alterata , la spiga sembrava come ramificata dicotomicamente. Sul sistema nervoso di Dentalium entalis Desh (=vulgare Gosta) del socio ArcANGELO Distaso. (Tornata del 17 aprile 1904) L’anno scorso, in luglio, ebbi un posto di studio nella Sta- zione Zoologica. Sotto la guida preziosa del mio compianto amico e maestro, Giuseppe Jatta, intrapresi lo studio del Dentalium entalis, la specie più comune del Golfo, per poi estendere le mie investigazioni su tutto il gruppo. Ma, l’amico e Ja guida mi ven- nero a mancare proprio quando il suo equilibrato consiglio mi era più necessario, lasciandomi però un'infinita eredità di ammae- stramenti, che avrei voluto fossero germogliati sotto il suo sguardo paterno. La difficoltà tecnica, a cominciare dalle prime operazioni, che offre il Dentalium non credo che la presenti alcun altro ani- male. Ho provato, posso dire, tutta la gamma dei fissatori, e la tecnica microscopica ne è così ricca; ragione per cui questo la- voro mi è costato molto tempo. I migliori risultati li ho ottenuti, narcotizzando 1’ animale con la cocaina all’1%, e ammazzandolo rapidamente con la so- luzione satura di sublimato con qualche goccia di acido nitrico. Ho avuto cura di adoperare poco acido per la presenza della con- chiglia, e quel poco l'ho dovuto usare per ottenere l’effetto ful- mineo ed avere la perfetta distensione, perchè non fossi condotto in errori dalle possibili contrazioni. Questo breve lavoro ha lo scopo di portare il contributo delle mie osservazioni sui punti controversi; di far risaltare e dimostrare le cose non dette e di aprirmi il varco con la inter- pretazione e correlazione dei fatti anatomici nella farragine di ipotesi e teorie emesse. Il sistema nervoso è, come si dice, il sistema conservatore per eccellenza, quindi è il prologo del mio successivo lavoro ed è la base anatomica dell’intera organizzazione dell’animale. Con la sola anatomia, però, mi sarà impossibile dar ragione di molti fatti, per la soluzione dei quali chiederò l’ ausilio alla embriolo- 12 — 178 — gia, che spero mi sia il filo di Arianna nel dedalo in cui si aggira questo animale. Gli autori che mi hanno preceduto, si sono occupati larga- mente dell'animale fin dal 1825. Il Clark e Deshayes furono i primi ad occuparsene, ma, data l’esiguità dei mezzi di osserva- zione di cui potevano servirsi, non poterono portare la rigoro- sità di metodo e di studio che vi apportò Lacaze - Duthiers, che ne fece una stupenda monografia. Riprese l’argomento Ludwig H. Plate, H. Fol, Pelseneer ed ultimamente M. Boissevain. Il Clark descrisse i gangli cerebroidi in numero di quattro, forse dovè considerare i due pleurali come tali; Lacaze nega l’esi- stenza dei quattro gangli suddetti, ma ne descrive due, consi- derando, come rigonfiamenti, soliti a riscontrarsi nei Gasteropodi, due appendici che sono accollate ai gangli cerebroidi. Evidentemente Lacaze andò più in là del Clark, ma quei rigonfiamenti, di cui egli parla, io dimostrerò che sono veri gan- gli individualizzati. Fol è del parere di Lacaze; Plate invece sostiene che i gan- gli cerebroidi siano formati: da due anteriori, omologhi ai gangli pleurali dei Gasteropodi, i rigonfiameuti, cioè, indicati da Lacaze, e ì posteriori veri gangli cerebroidi. Però di questo fatto importantissimo, il Plate non ne dà fi- gura, e, secondo me, non fa che ripetere una intuizione del Lankester. I gangli cerebroidi non si presentano unici, ma formati ognuno di due gangli: uno posteriore grande, 1’ altro antero - laterale, piccolo. Feci tagli nelle tre direzioni: frontale, sagittale, trasversale. Nei tagli frontali i gangli posteriori, grandi, i cerebroidi sono uniti ai gangli pleurali rispettivamente per cortissimi connettivi e fra di loro per una commessura, la quale, come dice il Fol, non merita questo nome, perchè i gangli sono così avvicinati da non far credere alla sua esistenza. Le parti antero-laterali, che fin d’ora chiamo gangli tentaco- lari, appaiono subito dopo i primi tagli dei gangli cerebroidi ben caratterizzati ed appoggiantisi a questi. Questi gangli si manten- gono sempre laterali ai cerebroidi, sono di forma rotonda e man- dano un grosso nervo ai tentacoli (fig. 1). Nelle sezioni sagittali i gangli cerebroidi si vedono anche ognuno diviso in due parti: una antero-laterale e l’altra poste- — 179 — riore; ben definite, distaccate l’una dall’altra, e l’antero-laterale, il ganglio tentacolare, congiunto al vero ganglio cerebroide con un connettivo che ho messo in evidenza nella fig. 1. Fig. I. Taglio sagittale. p. piede, f. tentacolo , gt. ganglio tentacolare, ge. ganglio cerebroide, gpl. ganglio pleurale, gr. ganglio subradulare, g9f. gruppo dei gangli faringei, 90. ganglio boccale, gp. ganglio pedale. Queste sezioni oltre a far vedere chiaramente che trattasi di due gangli ben distinti, mi hanno potuto mostrare dove va a spandersi l’innervazione. Ed è unicamente da questo piccolo ganglio che parte il grosso tronco nervoso tentacolare col quale il ganglio cerebroide non ha che vedere. È inutile che descriva le sezioni trasversali, perchè il fatto è il medesimo. Dalla breve descrizione che ho fatto, ritengo che i gangli tentacolari siano bene individualizzati, perché sono composti di sostanza grigia al- l'esterno e di fibre all’interno, e per di più hanno un connettivo pel quale sono congiunti ai gangli cerebroidi. Essi sono perciò gangli sensitivi e non possono essere nul- l’altro, sia per i loro rapporti che per l'organo che innervano. I gangli pleurali si attaccano per un corto connettivo ai gan- gli cerebrali e non sono congiunti fra di loro: fatto questo fre- quentissimo nei Molluschi. La forma di questi gangli è ingros- sata verso la parte anteriore, e va via via diminuendo fino al- — 160: = l'uscita di un nervo, il quale, cacciandosi nel mantello, lo percor- re diritto, voltandosi poi e dividendosi in due rami: dei quali l'uno va a congiungersi col gruppo dei gangli viscerali, l’altro coi gangli parietali, sinistro e destro, come si vede nella fig. 2. I Gangli pedali sono i più importanti del Dentalium. Sono grossi e stanno nel- l’ultima parte, dove il piede sì congiun- ge al resto del corpo, portano gli otocisti che sono veri organi di senso specifico, ‘descritti benissimo da Lacaze; tanto che vi ritornerò solo per una semplice os- servazione. — Egli disse che sono for- mati da due strati: uno esterno e l’altro interno sensitivo. Questo è vero, ma lo strato esterno involge ganglio e otocisti, mentre lo strato sensitivo interno è & contatto con la sostanza grigia del gan- glio. I suddetti gangli emettono due grossi nervi dalla parte anteriore, i quali Fig. II. — Semischematica. Come nella fig. precedente ga. ganglio viscerale, gpa. corrono vicino alla musculatura longi- ganglio parietale. tudinale del piede dalla parte interna e due altri dalla parte posteriore. Essi sono uniti per mezzo di una commessura tra di loro e per un connettivo al ganglio ce- rebroide e per un altro al ganglio pleurale dall’una parte e dal- l’altra. I gangli che non furono descritti e che io dimostrerò essere i parietali sono di un interesse straordinario. Essi sono congiunti ai gangli pleurali per mezzo di un largo connettivo e sono posti nella parte posteriore del diaframma. Sono due gangli simme- trici, posti l’uno a sinistra e l’altro a destra, si trovano vicino al mantello e sul connettivo, quello esterno, che parte dai gangli pleurali. Io penso che sono omologhi ai gangli parietali dei Ga- steropodi, e ciò risalta a prima vista, se si tien conto della posi- zione e dei rapporti con le altre parti del sistema nervoso, e, cosa importantissima, degli organi cui sono destinati ad innervare. In- nervano l’osfradio, che ho trovato non nel Dentalium entalis, ma nel panormitanum, organo non ancora visto e che deseriverò nel lavoro anatomico che succederà a questo; quindi ritengo che anche nell’ entalis, benchè non si veda Vosfradio, per la posizioue essi Siano i gangli parietali. È questo forse l’unico vestigio di organi che sono scomparsi. — 181 — Il Lacaze osservò le branchie che furono negate e che nem- meno io ho finora trovate, ma, l’esistenza di questo ganghio nelle vicinanze, dove il Lacaze poneva detto organo, rischiara uno dei problemi morfologici, che presenta questo animale. Il Lacaze soltanto fece una larga descrizione dei gangli del simpatico. Gli altri autori si contentarono di riportarsi a lui, trascurando il loro studio che è d’importanza massima. Li divi- derò in due gruppi: Il primo comprende i gangli previscerali; in- tendendo con questo nome il gruppo bdocco-faringeo; l’altro i gangli post-viscerali, che raggruppa quelli che innervano l'intestino. Gangli previscerali. Sono in numero di 4 paia: Il boccale ai lati della bocca, che dà nervi che la circondano; sta quasi alla base della proboscide, ove questa si strozza, e incomincia dopo il tubo digerente; emette due nervi lunghissimi, che seguono la proboscide fino al così detto abajour, ove si spandono. Per due connettivi si unisce ai gangli cerebroidi, e per due altri connet- tivi si unisce al primo paio di gangli faringei. Il primo paio di questi si unisce al secondo e tutte e due le coppie per commes- sure sì uniscono tra di loro, formando così tra di loro un vero anello nervoso attorno alla parte più stretta del faringe (fig. 1) Dai faringei anteriori non ho visto uscir nervi., invece i poste- riori sì congiungono ad un altro paio di gangli, il subradulare, che ho disegnato nella fig. 1 e che innerva 1 organo subradulare come nei Chitonidi. Il gruppo post-viscerale è formato da 4 gangli che si dividono in un paio anteriore ed uno posteriore, uniti con connettivi e tra di loro con commessure. Essi stanno attorno all’ano e si congiun- gono ai gangli pleurali per la seconda branca, la interna, che emettono rispettivamente 1 gangli pleurali; innervando l'intestino posteriore. Questo gruppo per me è omologo al gruppo viscerale dei Gasteropodi, primo per la sua posizione vicino all’ ano, poi per i connettivi ai gangli pleurali e terzo per il territorio che essì innervano. CINGOLO ESOFAGEO Per finire questo mio lavoro non mi resta che parlare del col- lare esofageo. Lacaze ne aveva capito l’importanza, e non aven- dolo visto, forse per l’esiguità dei mezzi tecnici a sua disposizione, lo negò; quantunque due osservatori a lui anteriori lo avessero ammesso intuendolo, ma senza dimostrarlo. Gli autori susseguenti, ad onta di connettivi numerosi che abbiano trovati, non hanno — 182 — messo in evidenza questo fatto di massima importanza. Eppure è così chiaro sol che si seguano le sezioni seriali sagittali e tra- sversali. Non solo nessuno autore ha pensato che la mancanza del cingolo voleva essere spiegata, ma è strano che dopo avere ammesso, quasi di straforo, l’esistenza dei connettivi che lo in- dividualizzano, non se ne sia dato la figura integrale. Non nego che mi fu difficile, dopo che lo ebbi intravisto, dimostrarne l’e- sistenza, ma finalmente , potetti avere una sezione trasversale, disegnata nella fig. 3, che non ammette dubbio alcuno. Cotroneo Fig. III. — Taglio trasversale. Come nella fig. precedente. E. esofago. I tagli sagittali mi mostrarono un connettivo sviluppato, il quale, uscendo dal ganglio pedale e giunto dove la musculatura del piede si confonde con quella del corpo, si biforca in 2 rami, uno dei quali va al ganglio pleurale, l’altro al cerebroide. I gangli pedali si uniscono per commissure fra di loro come anche i cerebroidi, e formano così un vero anello intorno all’eso- fago, il quale sulle sezioni trasverse si vede integralmente perchè i gangli pedali si congiungono ai cerebroidi, come ho disegnato nella fig. 3, nella quale un lato si vede due o tre sezioni dopo altro. CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI Dalle cose anzidette ho dimostrato che i gangli cerebroidi non sono unici, ma il voluto rigonfiamento di Lacaze va consi- derato, a differenza di come la pensava il Plate e prima di lui il Lankester, come un vero ganglio sensitivo, che io chiamo gan- — 183 — glio tentaculare, unito con un cortissimo connettivo al ganglio ce- rebroide e che emette un grosso tronco nervoso ai tentacoli; che esiste un cingolo esofageo; che i connettivi che partono dal piede sono i seguenti: pedio-cerebrale, pedio-pleurale ; inoltre vi sono i connettivi cerebro-boccali, cerebro-pleurale, pleuro-parietale , pleuro-viscerale , boccal-faringeo e faringo-sub- radulare ; che il sistema dei gangli viscerali è evidentissimo ed è in- teressante il gruppo faringeo formato da quattro gangli ed il gruppo viscerale formato anche esso di quattro gangli; che esistono i gangli parietali i quali, benchè non posti sui connettivi pleuro-viscerali, purtuttavia non si possono considerare altrimenti per i loro rapporti con l’osfradio. Il sistema nervoso del Dentalum è completo, anzi nel siste- ma viscerale è più sviluppato degli altri molluschi. È uguale a quello dei Lamellibranchiati, perchè i gangli pleurali e cerebroidi sono accollati, e per lo spostamento dei gangli-pedali; però nel sistema viscerale, vi sono estreme differenze fra questi due grup- pi. Il sistema bocco-faringeo, che nel Dentalzum è molto svilup- pato, nei bivalvi è nullo o ridottissimo e mi richiama alla mente quello dei Cefalopodi, specialmente per i suoi gangli faringei; così il sistema viscero-parietale è ben differente da quello di tutti i gruppi, perchè sia nei bivalvi, sia negli Eutineuri o negli Zi- goneuri, il connettivo pleuro-parieto-viscerale non è mat diviso in due, ma si può ridurre a questo, immaginando che sia avve- nuto una trasposizione dell'intestino. Non posso chiudere questa breve nota senza osservare al Fol che egli ingiustamente voleva detronizzare i gangli viscerali, per- chè non gli sembrava che assurgessero a dignità anatomica. È vero che sono molto piccoli, ma ho trovato che essi hanno la co- stituzione istologica come gli altri dei centri della vita animale. Napoli, dalla Stazione Zoologica, Marzo 1904. — 184 — LETTERATURA 1° DesHayes G. F. — Anatomie et Monographie du Genre Dentale, in Mém. Soc. Hîst. Nat. Paris T. 2 1825. 2° Lacaze-DurBIERS H. — Histoire de l’organisation e du développement du Dentale. in Ann. d. Sc. Nat. Zool. T 6, 1856, fig. 225-81; p. 319-85; "7, 18570p. 151: ep; d'A-255. i 3° JHERING H. v. — Vergleichende Anatomie des Nervensystems und Phylo- genie der Mollusken. ‘1877. 4° LankesteR Rav. — Artikel Mollusca, in Encyclopaedia Britannica, 9 Ed. Vol. 16 N. 357, 1883. 5° For H.-- Sur l’ anatomie microscopique du Dentale, iu Arch. Zool. Exp. (2) T 6, 1889. 6° TaieLe T. — Ueber Sinnesorgane der Seitenlinie und das Nervensystem von Mollusken, in Zeitsch. f. W. Z. Bd. 49, 1890. ‘° PLatE Lupwie H. — Ueber den Bau und die Verwandschaftbeziehungen der Solenoconchen. Zool. Lahrb. Bd. 5. 1892. p. 332-396. 8° PeLseNEER P. — Recherches morphologiques et phylogénétiques sur les Mol- lusques archaiques, Gand. 1898 p. 58. 9° Lane A. — Lehrbuch d. vergl. Anatomie d. wirbellosen Thiere 2° Aufl. 1900. 10° Borssevainx MARIE — Beitrige zur Anatomie und Histologie von Dentalium. in Jena. Zeit. f. Naturw. Bd. 31 Heft. 3, 1904. Il clima di Napoli nell'anno meteorologico 1902-903 — Nota del socio ERNESTO ANNIBALE. (Tornata del 24 luglio 1904) Nulla ho da dire in riguardo a modificazioni apportate al- l'Osservatorio universitario ; tutto rimase come negli anni pre- cedenti 1). Ricorderò le formole usate per la determinazione delle tem- perature medie diurne, decadiche, mensili ed annuali. Noto solo queste, perchè da esse si ricavano le corrispondenti medie degli altri elementi meteorici, sostituendo alle temperature minima e massima i dati delle rimanenti due osservazioni giornaliere. min. + mass. + 9"-+21* Temp. media diurna = — 4 d Zd num. dei giorni della decade Temp. media decadica — I Somin-j 2 mass.v_ 2 9° 3 21° D 4 numero dei giorni della decade >d z È 404 Temp. media mensile — - Mi num. dei giorni del mese Zd Temp. media annua — —__—____—__-___—= num. dei giorni dell’anno In cui il Y si estende al numero dei giorni della decade, del mese e dell’anno rispettivamente. Ripeto ancora le coordinate geografiche di questo Osserva- torio: Latitudine N. 40° 50°. Longitudine E da Roma + to 47, Altitudine = metri DT. 1) E. AnwniBaLe « Il clima di Napoli nell’anno meteorologico 1900-901 » Boll. Soc. di Natur. in Napoli-Serie I, Vol. XVI, An. XVI. E. ANNIBALE « Il clima di Napoli nell’anno meteorologico 1901-902 » Boll. Soc. di Natur. in Napoli-Serie I, Vol. XVII, An. XVII. — 156 — Pressione atmosferica La media annua della pressione atmosferica, calcolata sui valori osservati alle ore 9, 12, 15, e 21, risultò di mm. 757, 793, superando le singole medie dell’ultimo triennio per oltre 1 mm. Tale sopravanzo, raggiunto solo dall'anno 1898-99, si deve al forte eccesso di pressione verificatosi durante l’inverno (mm. 761, 448) essendo la primavera, la state e l'autunno rimaste molto prossime alla media ordinaria. Nel seguente specchietto noto le medie delle stagioni degli ultimi cinque anni; in esso si riscontra quanto ho accennato. MEDIE STAGIONI | 1898-99 |1899-900 | 1900-901 |1901-902]1902-903 Tuverno. Wo OE gs ara | 761,448 Primavera. . . 756,20 (54,45 755,84 | 755,38 | 755,490 Estate . . . .| 757,10| 756,24| 756,29| 756,98 | 756311 Autunno . .. Taio, 757,53 | ‘156,47 | ‘756,77 | 757.923 Anno . . . .| 757,90) 755,45) 756,582 | 756.465 757,793 Le medie primaverile ed estive risultarono inferiori all’ an- nuale , la media autunnale ne rimase superiore per appena 18 cent. di millimetro, rimase solo l’ inverno quindi a compensare il disavanzo delle altre stagioni e a rialzare notevolmente la media annuale. Le medie di gennaio (mm. 762,76) e di febbraio (mm. 764,18) sorpassarono non lievemente quelle comuni mensili (V. Quadro 1); 1/ mm. circa la media annuale. Febbraio risultò di quasi 3 mm. superiore al mas- la prima sorpassò di 5 mm. e la seconda di 6 simo medio annuale già ben alto dell’ anno scorso e di più di 5 mm. quello del 1900-901. In aprile si ebbe la più bassa media mensile in mm. 452,27. In gennaio e in febbraio si riscontrarono altresì le medie decadiche massime, tutte superanti 761 mm. Alla terza decade ii] — di ciascuno di questi mesi si devono rispettivamente le rilevanti altezze di mm. 765, 83 e mm. 766, 05. Notevoli sono pure gli analoghi valori della terza decade di marzo con mm. 762,38, della terza decade di settembre con mm. 762,00 e della seconda di dicembre con mm. 761,35. La prima decade di dicembre (mm. 151.25) e quindi, con lievissima differenza, la prima di aprile (mm. 751,50) diedero i minimi valori. Quadro I *). Medie decadiche MEDIA DIURNA | c & ® | | CI Sat CRCR > | Escursione MI TON na S D na SI A | Id 25 ee (= RE Ò | massima == RIAÒI sia (da) |S92 (do) | 1.8 2.2 3.8 S| massima minima = = | Za | | | \ mm Rr | | | | Dicembis . —. .®. 1902 | 51,25 | 61,35 | 59,59 | 57,39 | 67,01 | 45,99 | 67,51 24 12) 45.16 1 15 | 22,35 | | | | | Gennaio c P - 1908 61,32 61,14 65,83 62,76 70,75 | 51,05 | "1,35 30 12 | 49,50 1 9 | 21.85 . | | | Mpbbreibi Mi i a 63.00 | 63,49 | 66,05 | 64,18) 72,27 | 4879 | 72,84 8! 9 | 48,05 3 15 | 24,79 | | | | Marzo + «+. +. | 54:68 | 57,62 | 62,38 | 58,23 68,38 | 4606) 69,36 29% D coi dd | e 21 | 2847 | | | | | | | Aprile dba AO 51,30 | 53,09 | 52,43 | 52,27 | 58,05 | 46,84 | 58,98 15 | 1 | 45,86 9 9 13.12 Q | | | d Maggio TRE " ; È ; 53,72 58.10 56,05 | 55,95 | 62.48 | 47,79 63,18 14 21 | 46,51 | 2 00 16.67 à | | | | Giugno SE — ne AD SERIE 53.40 | 54,94 | 56,31 | 54,88 | 58,74 | 48.29 | 59,33 gone e ade 4,800 3 9 11,96 3 | | | | | | Luglio i. 1 DEE: 56,05 | 57,16 | 56,46 | 56,56 | 59,59 | BA,TA | 59,86 bat a (BOE e 9 9.09 Agosto Spe e I Ceo 57,711 | 56,01 | 58,78 | 57,50 60,03 | 54,73 | €60,38 27 | 9 | 53,86 20 9 6,52 Î Î || Settembre . . . . .. |58,74 | 56,55 | 62,00 | 59,10) 65,56 | 52,25 | 66,27 26 9 | 51,56 ii DEI 14,91 Ottobre 39) et ILE Sia I COMI? 58,84 | 56,86 | 56,16! 57,29 | 63,04 | 4847 | 63,33 6 | 9 | 41,94 30 21 15,39 | | | I | | | | Novembre. et. e. 59,65 | 57,73 | 54,77 | 57,38 | 69.10 | 37,04 | 770,22 24 | 9 35,72 30 15 34.50 | | Ì | | Ari o er i — | — — | 57,93 | man! an,o4 | 12,84 8 9 | 5,72 30 15 37,12 | | | febbr, | nov. 1) I dati della pressione barometrica riportati in questo quadro furono per brevità diminuiti di 700 mm. — 159 — La media pressione barometrica diurna dell’8 febbraio di mm. 772, 27 superò tutte le altre dell’anno, quella del 30 no- vembre, di mm. 737.04, rimase a tutte inferiore. La prima si scostò dalla media annuale per mm. 14, 477, la seconda per mm. 20, 753. Alle ore 9 (ora di osservazione) dello stesso giorno di febbraio si verificò la massima pressione assoluta (mm. 772,84), e alle ore 15 (ora di osservazione) dello stesso giorno di novem- bre la minima assoluta (mm. 735,72). L'escursione maggiore quindi fatta dal barometro nel corso dell’anno, ricavata dalle 4 osser- vazioni giornaliere, fu di mm, 37,12, escursione ben raramente raggiunta negli anni precedenti. Ad essa bisogna aggiungere an- cora mezzo millimetro, se si vuole l'escursione reale del barome- tro, poichè il massimo fu toccato qualche ora dopo le 9 dell’8 febbraio. Il mese in cui la pressione atmosferica oscillò fra limiti più estesi fu novembre; in esso superò per la terza volta i 770 mm., e toccò la depressione più forte di mm. 735,72. Tale forte oscil- lazione si verificò nell’ intervallo di 6 giorni tra il 24 e il 30. Anche marzo ebbe una variazione di ben 28,17 mm., sempre in- feriore però a quella di novembre per più di 6 mm. La pressione fu invece pochissimo variabile nei mesi di agosto e di luglio, come già avvenne in generale negli anni precedenti. Solo 4 su 12 medie mensili e solo 15 su 36 medie decadi- che, risultarono superiori alla media annuale, I mesi, le cui medie decadiche maggiormente differiscono fra loro, sono dicembre e marzo; relativamente poco differiscono quelle degli altri mesi e specialmente quelle di aprile, di luglio e di ottobre. Se si eccettua la forte depressione del 30 novembre e quella meno forte del 3 marzo, si può dire che non si ebbero altre no- tevoli depressioni nell’anno meteorologico considerato. Durante questi tre giorni si ebbe pioggia torrenziale con qualche tempo- rale, vento impetuoso di SW e mare tempestoso. Tutto concorse a produrre gravi danni in città, come allagamenti, sprofonda- menti di strade, interruzioni di linee telefoniche, ecc. e nel porto avarie non lievi a molti piroscafi. La depressione di marzo non presenta nulla di notevole: fu compresa in un periodo di tempo relativamente breve e si ebbe vento leggiero di SW, limitata pioggia e mare calmo. — 190 — Temperatura La temperatura media annuale che si calcolò di 16°, 516 risultò inferiore di 09,331 alla media dell’ultimo quadriennio. Benche la temperatura invernale non scendesse al disotto di 29,0 come nel passato anno, pure la media temperatura di questa stagione rimase alquanto inferiore all’ordinaria, e ciò si spiega per il fatto che il termometro si mantenne quasi livellato, cioè sempre tra estremi abbastanza miti e senza presentare sbalzi eccessivi. Periodi di freddo quindi non ve ne furono. In confronto alla media invernale dell’anno passato essa presenta una differenza in meno di 19,317 e a quella dell’ultimo quadriennio di 00,606, risultando solo superiore alla media del 1900-90 per 19,206, il cui inverno si mostrò notevolmente freddo. Nella state sì nota un primo periodo di caldo nella seconda decade di luglio, dal 16 al 20, in cui il termometro superò i 309,0; in questo periodo la temperatura oscillò tra un massimo di 349,0, (giorno 19) che fu il massimo dell’anno, e un minimo di 210,0 (giorno 16), la massima media diurna in esso fu di 279,82 (giorno 19). Un altro periodo di 8 giorni, ma con massimi meno forti, si ebbe tra il 7 e il 14; in esso la temperatura variò tra 320,9 (giorno 9) e 190,0 (giorno 10). Un terzo periodo più breve sì notò dal 31 agosto al 8 settembre con un massimo di 339,9 (giorno 3) e un minimo di 219,6 (giorno 31). Anche la state passò con temperatura quasi uniforme, le medie diurne di quasi tutta la stagione non presentarono grandi variazioni. La massima media diurna della state sì registrò il 19 luglio (270.82). È degno di nota il fatto che essa non fula massima media diurna dell’anno, ma questa si notò verso la fine della prima quindicina di set- tembre e precisamente il 13 di questo mese, superando la prima per 09,95. Le medie delle altre stagioni non si scostarono di molto dalle corrispondenti dell’ ultimo quadriennio: in riscontro con l’anno precedente si ha che la primavera fu più calda per 00,143, mentre la state e l'autunno più temperate per 00,814 e 00,283 rispettivamente. Come di solito avviene, la stagione che più sì avvicina alla media annuale è l'autunno, differendone per 19,636. Nel seguente specchietto sono riportate le medie delle sta- gioni meteoriche degli ultimi cinque anni; in esso sì può rico- noscere che la stagione di maggiore variabilità nelle medie è l'inverno, presentando un massimo di 119,140 nel 1901-902 ed un minimo di 89,617 nell’anno precedente ad esso. — 191 — MEDIE STAGIONI . | 1898-99 |1899-900 | 1900-901 |1901-902] 1902-9083 inverno id. 119,066 100,893 89,617 | 11°,140| 90,823 Primavera . ... 150,389 139943 149,850 | 149,470 | 149,613 Histate... (5 U . 230,388 230,726 249,173 | 239,075 | 230,461 Autunno SV. . 180,214 1905749 17°,133 | 189,430 | 189,147 Anno . . . .| 179014| 179,077 | 160,343 | 160,954| 169511 L'andamento della temperatura durante l’anno meteorolo- gico, a giudicare dalle medie mensili, si presenta regolare; esso è crescente dai mesi invernali a quelli estivi e decrescente da questi agli autunnali. Qualche anormalità si nota nei mesi di marzo e di aprile, nel primo per un eccesso di calore, nel secondo per un sensibile ed esiziale rincrudimento di freddo. Dicembre è meno freddo di gennaio, il quale presenta la minima media mensile dell’anno (99,34); da questo mese la temperatura cresce sempre con differenze più o meno forti fino a raggiungere un massimo mensile di 259,20 in agosto; da agosto a novembre con uguale andamento diminuisce. In generale in primavera e in autunno la temperatura media mensile presenta più forti variazioni che non nelle due rima- nenti stagioni dell’anno (V. Quadro Il). C'è da notare in quest'anno lo spostamento in agosto della massima temperatura mensile, la quale più comunemente cade in luglio. Giugno , l'altro mese della state, risultò meno caldo del settembre per 1,78. Solo marzo, maggio, agosto e novembre ebbero la tempe- ratura superiore ai corrispondenti dell’anno precedente, gli altri furono tutti più freddi. Da ciò si spiega il leggiero incremento riscontrato nella temperatura della primavera e la non lieve di- minuzione di temperatura riscontrata in inverno. Nessuna delle medie mensili si avvicina molto alla media annuale ; le medie che meno se ne allontanano sono quella di ottobre e quindi quella di maggio, con differenze rispettive in più di 19,674 e di 20,454. 192 — Quadro IL. Medie decadiche Si Media mensile delle n z n= E du E 5. E 2 So È | de È 5 a CE iz I ILS | SUI = QhUa RnS ole eh A = = E | | Dicembre. . . 1908 | 10°,54| 99,91) 909,03] 90,80 | 99,90] 110,46 | 11°,52| 909,52) 29,9 g4a SI 199,2 Ro | GAI Gonuòto e >. | =» 111908 11° | "omai | 9915) 9934 | 9°,46| 110,02 | 119,39 | 99,06) 250 | 19 | 179,5 11 | 150,5 | | Febbraio. $ A 5 » | 109,07 9°,24 | 120,00 10°,33 | 10°,38 | 129,86 | 13°%3 | 100,09 20,0 18 200.0 21 18°0 Maro e, © fi > 10°,83 | 12°,16 | 13°,38 | 12°,16 | 120,06 | 14°,60| 14°,86 | 11°,56| 591 9 | 2002 2 | 15% Aprile sg > 110,88 | 120,12 | 14912 | 12°,M1 | 139.31) 15°19.| 150,05 | 129,03| 3°9| 20 | 190 30 | 1591 | | Maggio . . . 3 170,21 | 180,13 | 21°,33 | 189,97 | 19°,87 | 21°.88| 21°,75 | 179,63 | 109,3 4 | 280,9 29 | 180,6 Gino e a: » 20°,86 | 20°,18 | 229,01 | 219,02 | 210,86 | 230,22 | 230,86 | 190,92 | 1494 45 | 298) 30 | 1504 Tipialtorto di Ge » | 230,33 | 250,21 | 230,94 | 240,16 | 250,60 | 279,16 | 279,57 | 229,98) 169,0) 10 340,0 | 19 180,0 Mostar na co Ten » 260,13 | 250,48 | 250,00 | 259,20 | 250,49 | 280,38 | 290,37 | 240,32 | 18°4 | 25 | 330,3 31 | 149,9 | Settembre . . » | 259,94| 21°,55 | 200,92 | 229,80 | 230,07 | 25°,62| 269,28 | 21°,87| 14°0 10) -33°,8 ge | 19938 | Ottobre Ne 0 “È. » | 209,80 | 179,97 | 16901) 189,19 | 189,41 | 20°,66| 209,56 | 179,69) 99,5 pool 259,07) de 1084 | | | | Novembre . . . » | 159,24 | 13°,39| 11°,71 | 13°,45 | 13°,14| 15°,61| 150,75 | 139,06) 69,6 28 | 209,9 4 | 1493 nic RO È 1% a ca) — |16°,516| 16°,86 | 180,96 | 19°,25 | 150,70) 2°,0 \19genn.| 34°,0 | 19 320,0 | | | 118 febb. luglio | Î | [ Ego: Delle 36 medie decadiche circa la metà (19) si mantennero inferiori alla media annuale, le altre risultarono superiori. Le in- feriori comprendono tutte le decadi dei primi cinque mesi del- l’anno meteorico, quelle di novembre e l’ultima di ottobre; que- st'ultima è la media decadica che più si avvicina all’ annuale, scostandesene per solo mezzo grado. La media decadica massima non è compresa nella state me- teorologica, essa è dovuta alla prima decade di settembre e rag- giunse 259,54; questa differisce dalle massime di luglio e di ago- sto per 09,75 e 00,46 rispettivamente. La decade più rigida la presentò gennaio nella seconda (19,71), similmente all'anno decorso, differendo però da quest’ul- tima per 1°,02 in meno; in questa decade, il 19, la temperatura toccò per la prima volta il minimo annuale di 20,0. Ad essa segue la terza di dicembre e quindi la seconda di febbraio, dove il giorno 18 il minimo raggiunse per la seconda volta 29,0. Le relazioni che passano tra le temperature osservate nelle diverse ore di osservazione rimangono invariate. Così la media mensuale delle 9" risultò sempre superiore a quella delle 21" senza eccezione alcuna, la media delle 12", con maggiori divergenze dell’anno precedente, in aprile, maggio, ottobre e novembre, in- feriore a quella delle 15". Inoltre esiste, come negli anni prece- denti, una differenza che va aumentando dai mesi freddi ai caldi, toccando, nell’anno che si considera, più di 59,0 in agosto, come pure il solito eccesso della media temperatura delle 15° su quella delle 9", superando in quest'anno nei mesi più caldi 39,0 e raramente raggiungendo nei rimanenti i 20,0. La media temperatura minima e la media temperatura mas- sima mensuale seguono lo stesso andamento regolare della tem- peratura media mensile (V, Quadro III). Esse, come quest’ulti- ma, toccano il minimo in gennaio (min. 69,92-mass. 110,94), da questo mese vanno proporzionalmente crescendo fino ad agosto (min. 200,98-mass. 300,02) e quindi nuovamente e regolarmente decrescendo, La media annua delle temperature minime (13,250) e massime (200,181) rimasero più basse delle corrispondenti del- l’anno precedente e lievemente più alte di quelle dell’anno 1900- 901: si ebbe cioè una differenza in meno col 1901-902 di 00,417 per la minima e di 0°,421 per la massima e una differenza in più col 1900-901 di 00,130 per la minima e di 09,060 per la massima. L'escursione media annuale che risultò di 60,848, fu inferiore di 0°,086 a quella del passato anno, e di 00,152-e 02,693 a quelle rispettive degli anni 1900-901 e 1899-900. 18 Quadro ILL Anno Meteor. 1902-903 Temperature mec | DICEMBRE | GENNAIO FEBBRAIO 5 " = 5 5 los E È È x È ; E a] È : | E) g E : Ei "| E | 1 |1930| 11,9] 146| 2,7]| 897) 69| 11,0) 41|10,32| 84) 198 o | 1447] 105 172) 47| 780) 49| 104) 551145) 82| 130 3 | 1g72| 1066) 162) 36| 810] 46] 104). 58) 10,15] 90| 147 4.| 987/181. 159) 881142) 86. Joi 64100 (oe 5 | 850) 7,696 2012987) 97151) 654| 94) 70108 6_.| 807/59. 110) 5,1 19,97) 1150 146) 310 ‘9 ele 7 | 795) 46] 11,0) 64]19,80] 108| 150) 42] 9,82) 62) 134 s | sz ell 15 54/1192) ‘88 | 165 67 |104 cli 9 | i1052| s5|11,6| 8,1|1990) 89| 150) 61/1002) 67| 13,1 10 | 1047| 87129] 42| 1417) 11,2] 168 56|1002|) 84|.116 11 | 1010| 77) 130) 581585] 191] 175] 54] 987) 69| 136 10 | 982) 76) 128] 47|1445| 142] 156) 14/1025) 71| 199 is 1127) 91] 1960 451,80) 9,7) 130) 3381142) 9,7) 139 14 | 1027] 86 130| 44 630) 40 99) 5,9|1120) 91| 140 15 | 887) 74 106 32 540) 26), 88| 62/1075) 7,1 | 188 16 | 985) 88|116| 28| 450| 31] 61) 80/1017) 77) 134 iz. | 9,85) 72 121] 49) 487) 21) 69] 48/485) 24| 86 1g |izo| «gal 142] 69] 457) 22] 7,1] 49) 6,60) 20/90 10 | 1147] 98 145| s2| 475) 20) 76] 56| 885) 5,1| 127 20 | 687) 52| 94| 42| 607) 80| 95| 65 992) B4| 150 2 | 702) 42) 84| 42] 685] 40| 80| 40|12,72) 67] 200 22 | 780) 52| 96| 44| 825) 60) 105| 45|1245| 98| 158 23 | ast) 41| 58| 17| 897) 6,9] 120] 511182) 89| 150 94 | 532) 290 78) 44| 927) 78) 120] 42|1L65| 74| 159 25 | ess 34| 104| 70) 740) 66) 84| 181187) 86|.155 26 | 787 50|105| 55 987] 67|125| 581160) 84 160 27 | 1162} 95|145| 50|1002| 5,7] 144| 871205) 82| 176 28 | 11871 92139] 47| 1,07] 74| 149] 75/1915) 87] 156 99! '1oo5 luigi 014,5.) 28. |-10,67|,,81A012,6, 44 a 30: | 13,55:|1,9]15,0.|:,,8,1,|:9,92 0941-4346 62 la 311 |-10,26;|1:9,6-|419;8.| 106,2]: (9,8510694 1168 |6 44400 | Mese | 9,80| 7,78 [12,138 | 435 | 9,34| 6,92|11,94| 5,02 | 10,83] 7,43 |13,86 estreme diurne Inverno-Primavera MARZO APRILE MAGGIO | z È E È È | È E È È È E (5) (e) (05) MiA | 16,0 4,6 | 10,85 TB VIA 2% | 18105) 19,88) 225 9,7 MISNS:9 15,0 64 0112/05 7,1 | 16,8 SOM 109 9 8,5 RNN8,A4 | 135 DI MIEGLO7 9,6 | 13,0 AO 10,9) Ia 4,6 8,6 14,6 6,0 12.78 94 Mod 179 14,78) 10,8 18,6 8,5 92 15,6 6,4 | 13,483 | 10,0| 16,9 6,9. |.16,47| 13,3:| 208 7,0 MIN | 16,1 SENI Zoe 06449 4;3 | 20,10:| 12,0 | 26,8 4,8 Me0ls.2 | 15,1 6,9 | 11,50 6,6 | 16,3 Sta ‘21598) | (2071 326:2 6,1 MU, | (11,8 4,0 | 13,50 9,7 | 164 67%: | 19%5%| 1450|‘25,8* | 103 MISS,I: (12,1 TO fP11,02 9,6 | 14,0 44 | 1640| 13,2) 19,9 6,7 | 6,6 |.12,6 7,0 | 10,85 7,3.| 155 89h. | L62076) 405% 119,8 3 Ri (6,3 | 13,9 6 NR II65 80 | 15,8 ST || 1807| 13:01 1234 || 104 Me 140 6,9 | 1255 | 8O| 16,1 SH | 215100 3254 8,0 Wi8 | 15,5 To 14:00 10670 6,4 | 1885 | 15,7 | 225 6,8 Wi 7,6) 15,5 TON I14:88 12/64/5176 5,0. | 17,65: | 15,1 | 20,9 5,8 MNT | 17,0 93 | 14,37 | 105 | 18,9 84 | 16,92 | 13,1] 20% PT MINII,3 | 15,9 4,6 | 14,00 9,6 | 17,5 9) 16/08: 13.5! | (18,8 5,3 >) | 106| 18,6 8,0—--1220 | 84.| 15,4 7,0 | 16,97 | 135 | 204 6,9 MINI | 179 6,9 | 948 | 6,6 | 13,6 0% | 16595 135 205 7,0 il 10,0 | 18,0 80 | 9,15 5,6 | 12,5 6/98 | 755 42/61|128;,07) 104 Mi 95 | 15,0 5,5 8,90 3:98 13/90 100) (120990 5/5 VOgli | 166 MN, | 16,3 82 |1215 GOITO, 10;5 | 20957 |- L6ll |:26,0 9,9 Me 17,7 (9/98 HA 10,61) 178 2A 2600 | 26,9) | 102 MN | 17,9 92M 13308 CIANO 3,6 | 20;65:| 17,0) 250 8,0 Mi 8;9 | 16,5 7,6 | 13,80 | 10,8 | 16,6 Gigi | (240! 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Anno Meteor. 1902-903 Temperature mi GIUGNO LUGLIO | AGOSTO da; EE = - = 3 | 2 z | & San & = I [ei | i ‘a È z È GR ca | = S © 2 È È + (=| = I = | - [i D De; = 7 = O 7 mi. wa ks ta) LA n z { VA È 5 g = ci E z SÌ VSS E £ A z S © d z È n = S S a) pei z ri p=| n | = >| | T03l IMSA 2407 7,3 | 28,67) 20,0. 27,4 7A | 23,15|/20,0 |L27,0 9 |9435| 194] 287) 9,8 | 2488) 200| 310] 11,0| 24,62) 20,8 | 292 301021 8 | 10,0 | 24,55) 200| 29,4] -94|23,98| 20,1 | 28,8 4 | 1920) 16,4.|-23,1] 6,7 | 24,15) 199) 284 8,5 |.24,35 | 20,7 |.28,5 5. | 18,78| 16,6) 225 592475) 214| 287) 73|26,60| 218 | 32,6 6 | 19,60| 15,1] 23,9) 88] 24,77) 212) 28,6] (7,4| 25,90] 22,6 | 29,6 7 | 20,671 16,1) 25,0| 89/2375] 210] 27,2] 6,2]|25,45| 213 | 306 8 |21,28| 177] 264) 87|21,38| 188) 25,3| 70|25,62| 210 | 30,9 i | gl 8,1 | 26,63] 21,8 | 32,9 OiNi6.0.1 25.0 9,0 | 25,00) 19,0 | 30,8 25,6) 6,4. 26,12] 21,4 | 818 12 | 20,48] 17,0) 23,8 6,8 | 22,98| 18,1] 28,3 | 10,2 | 26,63| 22,1 | 32,2 13 | 2025) 172) 238) 6,1)2340) 195) 27,8) /7,8|2620| 216| 306 14 |1817| 15,2| 225) 78 | 23,62] 20,2| 27,2] 702667] 22,1 | 816 15 | 1885) 144| 21,7) 782478] 190) 29,9| 10,9 | 25,75] 212] 298 16 |-1983| 165) 237| 72|2702| 210) 83,7 | 12,7|26,00) 230 | 294 17 | 9057) 172) 241| 6,9|2683| 22,8 319) 9,6 | 24,63) 220) 282 i o | 1,8| 31,4| 10,6:|/24,12|: 20,0 | 27,9 19 | 21753) 174] 255| 812782) 291] 340) 11,9 | 24,18| 20,2| 27,6 20 |2183| 188| 261 78|26,83| 224| 315| 9,1|24,60| 22,7) 291 9 | 92445] 178| 284| 562357) 21,9) 260) 41|23,60) 189 | 287 22 | 1920| 16,1| 226] 65|2400| 196| 285| 89|2487| 195| 308 28 | 1950| 15,1| 242| 9,1|2490| 208| 294| 86|24,65| 19,7| 309 24 |20,25| 152] 248 9,6| 23,70] 200) 27,6) 7,6|24,08| 200) 289 25 |2197| 175| 258| 88|23,80] 196) 276| 80|24,25| 184| 294 96 |992,85| 187 275 882403) 193 28,1) 882625) 213 | 326 27 |2345| 19,1| 27,7) 86|2330| 20,6|27,8| 67|25,30| 20,6| 310 28 |2353| 195 | 281| 86|2360/ 189| 288| 99 | 25,30) 21,3 | 290 29 | 2412) 200| 296| 96|2445| 209] 284| 75|25,40| 217| 295 30 |2475| 189| 298| 10,9 | 23,97| 200| 27,6| 7,6|2465| 215| 281 ie 24,08| 199 | 288| 84|2717| 21,6 | 338 | Mese | 21,02 | 17,20 |25,08 | 7,88 | 24,16|20,06 | 28,55 | 7,49 | 25,20|20,98 |30,02 estreme diurne Estate-Autunno SETTEMBRE | OTTOBRE NOVEMBRE | E CSI, È z SLAARLI A 2 2 Mas 313 | 85 na E o e O N Mil: 525 | 96° 16 88 al ea l'i7o7 deg ode 58 i | 20,1) 338 | 117 21,37) 181] 250 | 6,9 | 1695) 142| 206 || 64 ì| 235) 299 | 64 ‘2090) i70| 248 | 78 | 1715) 144 209) 6, Mi 215) 288 | 68 2188) 189/249 | 60 | 1659] 138] 204 DI Mi 7 100] 185° 288 | 63 L15000] IS4SCIOLO | Db dl 219) 304 | 92 | o070) 176) 245 | 69 | 1408 120170 5,0 fil oi4 310 | 96 | 1995) 172) 240 | 68 | 1322] 115 | 159 |" 44 i-214| 289 | 75 2052] 178) 238 | 60 | 1250] 97) 160 | 68 ) | 219 | 26, 4.8 |'1848.| I6p) 212° 57 | 1630 89 l'as N Lele | ar3| 266 | 58 | 1677] 1,8) 206 | 88 |1925| io 154 | 5, fico 281 | 5,1 | 1860| 141) 219 | ‘78 | 11,60] ‘1080 103, fii3:0 |. 318 | 88, 21338] 196] 229 | 33 | 1072) 78| 147 69 MW 226] 28,7 6,1 |20,20| 168| 244 TG 1295 00 6,9 | | 206] 245 | 39 | 1957] 172 229 | 57 | 1413] 112 174 DI Mi165 229 | 54 (1973) 168] 227 | 59 | 1548] 125 187 62 N 140| 218 | 73 | 2022] 178|/224 | 46 | 1620] 1358) 184 4,( fil 144 221 7,7 | 1678) 16,1) 199 | 38 1542) 131] 179 4,8 fi(15,1/ 229 | 78/1380] 107] 188 | 76 | 1417) 196) 162 3,6 Mii | 228.) 65 | 1270 95| 164. | 6,9 | 1158] 102 145 DI: MR 249 | 07 1357] 01° 179 | 78 | 1090) 7615, 5,8 iis 258 | 75 eis iv) 189) 72/1085) 81188) 8, Mii i90| 259 | 69 | 1642| 15,1| 186 | 35 | 10,40) 67 | 147 8, iis: | 265 | so | 15,15| 138 | 178 | 45 19,15) 89 | 159 È E| 17,1 24,6 7,5 14,05 | 10,9 17,9 TOT 91010680162 5,6 Mi 75 240 6,5 | 13,65 | 10,0] 17,8 west 2:65 LT Ss, MO ost | si | 1505] 1097 189 | 80 | 1082) 89] 141 | 55 Mi 16,8 | 254 8,6 | 14,95 | 13,0| 16,7 3.7 | 110,88 6:60 | 1401 1,5 Mii:5 | 258 | 83 | 1985) 145].238 | 88 |1385| 110| 154 44 Bii66 | 27.3 | 107 | 2025) 195.) 236 | 4,1 |1322]| 108 | 160 5, - - So. Ion 2002 pre: ife Pe LISTE pz ) | 19,83 | 26,95 | 7,62 | 18,19 [15,32 | 2158 | 6,26 | 13,45 |10,98 [16,61 | 5,63 | ae P diurne gteon, 1902-903 Temperature medie ed estreme Anno MI Estale-Autunto segue: Quadro III. | LaVENO | Sai e ene” STRORRE | NOVEMBRE oa d G z 5 E $ E È E z £ | 8 i £ Ta Lose G È ARTO E È E E È A 3 | : MESE S Gi di E 5 G 1 |oiga| Im4a| 247) 78, 9367 a a pi cd sa > Si i dit po E e lele 1| 9 |o4g5| 194| 287) 93 | 2483) 200 31,0 | 11,0 | 24,62) 208 | 292 È = 9,6 Se E ca] cara n va 3 22,8 17,8 | 27,8 | 10,0|2455| 200 29,4 ch 23,98 20, 28,8 se 39;8 Lio (2197 | 181/250 | 69 | 1695) 140 20,6 Pata È nz | VAS 199 284 | 85 | 2485] 20,7 | 285 9235. || 2959 6 . 20.90) 170) 24 lle gverliage 4 feno 6,1 | A e e I e no Ba dial” 9 | 78 [1715] al 209°) ek 5. | 1878) 166] 225] 590 2475] 214) 250 si a ae 0° eo Tea 09, 2is8, 190, 259 | 60 1653 | 108 | d04 | eg 6 |1960| 16,1| 289] 88|2477) 212] 286 da du i da 3 È | nà i Li (SEO 90288 | 58 | 1557) 4a | da 7 | 2067) 161) 250] 89|2375| 210) 272 Sa do E no ca È n sa (SS. 17,6 | 245 | 6,9 | 1408 | 1290| 170 I SA 8g |o123| 177) 264] 8a 2198) 183 QpIBA AO 2A obo Ea Za dA She [19:95 | 17,2}| 240 | (68) 1392) 115 15,9! da 9 | 240) 184| 268| 842035) 17,0) 25,1 8,1 | 26,63 Hi sa a oi 1,5 ne0a2 17,8 | 23,8 | 60 | 1250] 97| 160 | 63 Lo, | 1e75| ume) 219) 40|2bt0 160) 250) 90 (2500) IN. “De di 3 a A ec, | 67 11 | 19,87] 161| 238] 722242) 192 25,6 | 64 DE 21,4 n 7 Si di Lot 11,8 (20,6 | 88/1225) 100| 54 | 54 12 | 2048| 170| 238 68) 2298 181 288 | 10,2 26,63 DI na e Sn o, | 18,60 | 141|2L9 | 78 | LL60| 108| 141 | 88 18 | 2025] 172) 233] 61|2340| 195| 299 7,8 2620 21,6 e a Ca Sp 2133 | 19,6] 22,9 | 38 | 10,72) 78] 147) ‘69 14 | 1817) 152) ap] 782862) 202| 252) 10 26,67 | 29,1 | 316 4 Sa 6,1 20,20) 16,8 2h4 | 7612595) 90) 159 | 69 15 | 1885| 144| 21,7) 78 94,78| 190 | 29,9 | 10,9 | 25,95] 212 | 29,8 Doe a 3,9 | 19,57 | 172229 57 1408) 112 174 | Go 16 | 1988| 166| 287) 722702) 210 33,7| 19,7 | 26,00) 23,0 È È ni 54 |19,73| 168) 22,7 | 59 | 1548| 125) 187 | 62] it |cos7| 172] 241| 692683) 223| 3L9| 96 26,63 230 sc no N (A RNZZA NENE SE EZIO IA ez) ica lo SCA 18 | co7o| 166| 249] 88 | 2645) 218 31,4 | 10,6 | 24,12) 20,0 | 27,9 A D Gil 16,78) Let | 19:91 8,852 aio 8 19 | e17s| im4| 256 81|2782) 221) 340| 119 (2419 20,2 li 2A to. 7,81 ( 1380] 107 | 183 | 76 | aut] 16 | 169 | 3,6 20 | cies| 198 a61| #8|2688| 2a4| 315) 9,1| 2460] 227 290 i son | 65 [1270] 95| 164| 69/1158 102/145 | 48 9g | 2445) 17,8 234 56 93,57) 21,9 | 260) 41 | 23,60 385 DA pi * 97 | 13,57 | 10,1 | 179 (00 BLU COR Mo TR | 58 92 | 19,20) 16,1) 22,6) 65|2400| 196| 285) 89 24,37 | 19,5 308 no ge 7,5 | 16138 117| 189 | 72 |1085| g1| 188 | 657 93 | 1950] 15,1 242| 912490] 208| 294| 86 24,65 | 19,7 x # SI 69 | 1642| 151| 186 | 35 | 1040] 67|147| 80 94 | 2025) 152 248| 9,6|2370| 200) 276) 76 94,03 | 20,0 | sii 3A - 80) | 15,15 | 188/14 N des 25 sli) 70 25 | 2197) 175 258) 88] 2380] 196 276) 80 24,25 di | Pa E 256 | 7,5 | 1405] 10,9) 179 | 70 |13,10) 106| 162 | 56 26 | 2285] 187) 275| 88|2403) 198| 281) 88 26,25 21,8 sl si 230 6,5 |13,65| 100| 178 | 78 |1265| 1,7 152) 85 ot |o345| 191 | 2an7| 86|2830] 20,6| 278) 672590) 209 or 16,8 25,1 | 81 | 15,05| 10,9 189 | 80 |1082| 80] i41 | 52 98 | 2358 195 | 281| 862360; 189] 288] 99 25,30 Li oa i 234 8,6 | 14,95 | 13,0| 16,7 | 8,7 | 10,88 66|141| 75 29 | 24,12] 200| 296] 96|2445| 209] 284 7,5 | 25,40) 210 ci a ana 8,3 | 19,35. | 145 | 23,3 88 | 13,95 | dlo| dda | 441 30 | 2475| 18,9 | 298 | 10,9 | 23,97| 200| 27,6 7,6 | 24,65| 2195 a 3;0.| 27,3 || 10,7 | 20,25 | 195 | 23,6 4,1 | 13,22] 10,8| 160 | 5,2 | 31 Li sa Pa _— |o408| 199 288| 84|2717 21,6 |: 00 n # - 17,55 | 15,6 | 20,2 Ac e - 20] | SZ E E aleena | —---<\IT7TT7 e dl È ni = ss lena Mese | 21,02 | 17,20 |25,08 | 7,88 | 24,16|20,06 |28,55 | 7,49 95,20 | 2098 agi f 19,33 | 26,95 | 7,62 | 18,19 [1532 | 2158 | 6,26 | 13,45 [10,98 (1661 | 5,68 Ì | | = oa Le medie mensili delle temperature estreme che meno si allontanano dalle medie annuali estreme, sono quelle di maggio (diff. temp. min.=1°,46; diff. temp. mass.=3,159) e quindi quelle di ottobre (diff. temp. min.=20,07; diff. temp. mass.=10,399) come precisamente avviene per le medie mensili. L'escursione fra i due estremi assoluti dell’anno fu di 329,0, inferiore appena di 00,2 a quella dello scorso anno. Il termome- tro oscillò fra limiti più estesi, com'era da. prevedersi, in set- tembre, con una escursione mensile massima di 190,8 e fra li- miti più ristretti in dicembre e in novembre, con una escur- “ sione mensile minima di 149,3. Entrambe le dette oscillazioni furono superiori alle corrispondenti del precedente anno. La maggiore escursione termometrica diurna avvenne, cosa eccezionale, il 21 febbraio e fu di 139,3, superiore di 09,4 a quella dell’anno passato, avvenuta nel mese più caldo. Vicino a questa eccezionale massima vi è quella di 12°,7 appartenente al giorno 16 luglio. La minore escursione si registrò il 12 gennaio e fu di 19,4; altre di poco maggiore ampiezza si notarono il 23 di- cembre (19,7) e il 25 gennaio (19,8). Si ripete ancora il fatto che le escursioni medie mensili fra le estreme temperature seguono, in generale, l'andamento delle temperature medie mensili, esse, cioè, aumentano o diminuiscono con l'aumentare o dimimuire del caldo nell’anno. Anche in que- st'anno, come nel passato, si hanno delle eccezioni dovute a di- cembre, maggio e giugno. Queste escursioni si mantennero fre 49,35, che è la minima dovuta a dicembre e 90,04 che è la mas- sima dovuta a luglio. Per la stagione invernale la media delle oscillazioni fu di 59,267, per la primavera di 7°,487, per la state di 89,137 e per l autunno di 60,503. Le prime due furono su- periori e le ultime due inferiori alle corrispondenti dell’anno pre- cedente, come inferiore di 0°,083 risultò 1’ escursione media an- nuale, che fu di 69,848. Tensione del vapore acqueo dell’aria La tensione media annuale del vapore acqueo rappresentata da mm, 9,872 risultò la media più bassa dell’ultimo quinquennio e fu per 0,416 inferiore a quella dell’anno scorso. Il suo andamento nelle stagioni meteoriche, segue, come sempre, l'andamento della temperatura: in inverno la tensione risulta minima (6,607), nella state massima (13,993), in primavera (8,107) minore che in autunno (10,872). L’unica stagione avente — 199 — un sopravanzo sulla corrispondente dell’anno decorso fu la state, le altre risultarono inferiori non solo a quelle del passato anno, ma ancora a tutte le corrispondenti dell’ultimo quadriennio, con la sola eccezione dell'inverno del 1900-901. Il seguente spec- chietto dà ragione a quanto ho accennato. | MEDIE STAGIONI 1898-99 | 1899-900 | 1900-901 |1901-902|1902-903 Jmaresmonex: ti. AL: 17,22 1,17 5,96 7,58 6,607 Primavera . . 8,59 8,57 8,74 8,66 8,107 Wstate: 0h, |. 13,32 15,16 14,15 13:80 13,993 Autunno . . . 11,58 12,69 11,18 AGES, | 10,782 Ammnoflen ziali 10,12 10,90 10,008 | 10,288 9,872 L'andamento della tensione del vapore, come dalle medie mensili del Quadro IV si vede, segue, astrazion fatta da dicem- bre, lo stesso andamento della temperatura. Dicembre segna il minimo (6,43), da questo mese fino ad agosto, il più caldo di questo anno, la tensione cresce contimuamente, raggiungendo mm. 15,54, quindi diminuisce fino a novembre, toccando ivi mm. 8,47, tensione superata solo da quella di maggio, come precisamente avviene per la temperatura. Lievissime differenze sì riscontrarono tra le medie mensili dei primi cinque mesi dell’anno meteorologico; esse diventano marcate nei rimanenti, raggiungendo la massima tra agosto e settembre. Tolto maggio, giugno, agosto e novembre, tutti gli altri mesi accusarono deficienza di tensione in confronto ai corrispon- denti dell'anno precedente. La tensione media diurna si estese da un minimo di mm. 2,88 nel 20 aprile, ad un massimo di mm. 19,26 nel 15 agosto. Alle ore 12 dello stesso 20 aprile si registrò la minima tensione assoluta del vapor d’acqua, in mm. 2,30, mentre la massima as- soluta di mm. 20,55 fu notata due giorni prima della massima media diurna. = (00 — Quadro IV. | | Ka LA e ? ì Media diurna Massima i Minima e: E 3 MESI i Media (Horni Ore Giorni | Ore SS | i er assoluta assoluta | | cRR massima | minima | SS SG [nina | A E F ne. w- | | il | | | | Dicembre 1902. . 6,43 9,05 3.21 9,32 1 12 2,32 23 io de 00 Gennaio 1903. . .| 6,58 det «3.1 T0A6 Side | o 28 i (2912 ie “7,68 Febbraio. Ri 61 9,08 3.03 970. | 324° S SIM Sor = 18° (2 90 (Ce 279 | | | Marzo . . Sea voi 9,33 4,80 | 10,06 Osa i Sale E asd 21 gl. ‘76822 Aprile . . 1 7,26 | 10,65 2.88 | 1145 | 28 dic ‘= 23052 20 12 | 9,15 Maggio . . Sl 7984 | 1318 7,16 | 15,19 sign TEIL S| = 6,69» CS 20 lo e 8,6 | | | | i Giugno . . . | 1234 | 15,48 | 9,19 | 16,82 265° ii 16 mode ed Va, 2 e ER | | | | Luglio . . 1 JUSIOL) "17,94 9,18 | 19,55 20) 15 80982 79 È +9 Li Agosto . . SE 54 11926* 10,12% | 20,5 OE So 6,82% |:l 0 | eo Settembre . Re onor 18.01 | WIsd is oote gt o 400 di | di | 10,98 | | | | | Ottobre. . SR 115963 | 5 IES4 | 6.16 6,580 17 | 016 4,76 dl <—— |®_ 19.

. U®. | 592" “50,3 257 1352 Was Ma igloo e o io on 7 Agosto ° : È 3 : 0,2 stille » 0,2 0,2 1° Settembre 0... 12:01 ‘1859 » 30,9 | 12,0 10 Dre n e DR 0 VS ISS SO Noyembre:... 0 pl «42,8 DO | AO 172.6, bo 29 Se 03 ORSINI RPASBCI SARI _ — _ 904,5 | 55,1 |29 nov. | La maggiore altezza raggiunta in un giorno fu di mm. 55,1 dovuta al 29 novembre, la decade che la comprende fu, come già ho ricordato, la più piovosa dell’anno. Temporali Durante il 1902-9083 si segnalarono 23 temporali, come nel precedente. Però, tenendo conto dei giorni rispettivi di precipita- zione acquea di questi due anni, bisogna riconoscere che mag- giore fu la frequenza di essi nel considerato. Degni di maggior nota sono il temporale del 10 ottobre e l’altro del 30 novembre (v. Quadro IX): il primo con forti sca- riche elettriche, di cui parecchie a terra e con grandine dopo la fase massima, il secondo con scarsi tuoni, entrambi accompagnati da vento impetuoso di SW, mare tempestoso e pioggia torren- ziale, causa di diversi allagamenti in città. Forti scariche elettri- — 213 — che si ebbero a notare in quelli del 2 Febbraio, 2 marzo e 22 ottobre. Solo 2 temporali si notarono in inverno, 5 in primavera, 5 in estate e ll in autunno; privi ne furono i mesi di gennaio, mag- gio e agosto. Dei 23 temporali registrati solo 5 ne avvennero durante la notte (dalle 21" alle 9°). La provenienza fu varia, la più frequente fu di E edi NE. Nel quadro seguente sono riuniti tutti i temporali segnala- tisi durante l’anno meteorologico considerato, con le indicazioni del giorno e l'ora in cui toccarono la città, con la loro prove- nienza e con qualche breve notizia. Quadro IX. oe = ANNOTAZIONI ORA. DATA feci Provenienza città Dicembre Sl | no 5 E Febbraio 2 | 13% 45 NE | Marzo 2| 14"40 19 » » I 45 W 3 17 | 14:00 ENE » BI NA3O NW Aprile 18" 13800. NE Giugno S| 20%830 NE » 14 21" 00 E » D2 2%40 mosservato » 280 14290 NW Luglio 20 | 1900 | N Settembre 16 | 11" 45 | E » » 15° 20 W Ottobre 10 8" 15 |Inosservato » TOR aA=300) N » 99.| 2145 | NE » 23 9" 00 W » 94 | 2230 E » 30 13% 157, E » » | 16200 | E Novembre 1° | 21"00 S » 300/0022315 NE Passa a SW con ripetuti tuoni. i ultima alle 14" 05 con acqua mista a fitta e minuta grandine. Con forti scariche elettriche , acqua e grandine minuta. Fase massima al-' le 14°. Con lampi e tuoni. . Con fortissime scariche elettriche. Fase massima alle 18" 15. Con tuoni. Con scarsi tuoni e poca pioggia. Con tuoni, acqua e grandine. Con lampi a brevissimi intervalli. Fase massima alle 21" 20. Con scarsi tuoni e molta pioggia. Con lampi e tuoni e scarsa pioggia. Passa ad E, attraversando la città con lampi e tuoni. Passa ad E con lampi e tuoni. Fase massima alle 19" 45. Con deboli tuoni. Passa ad E, attraversando la città con lampi e tuoni. Con forti scariche a terra. Acqua tor- renziale, che genera allagamenti in città con molti danni. Verso le 4" grandine mista ad acqua. Fase mas- sima 53" 45. Con tuoni e discreta pioggia. Con lampi e tuoni. Qualche scarica a terra. Scarsa pioggia. Tuoni e molta pioggia. Lampi e tuoni. Scarsa pioggia. Passa a S con scariche elettriche e piog- gia abbondante. Con scariche elettriche e pioggia di- screta. Con lampi e tuoni. Fase massima 21"35. Pioggia abbondante. Qualche tuono. Mare tempestoso, reca varii danni nel porto. Pioggia tor- renziale, allagamenti in città. Sulle ghiandole cutanee della Rana esculenta — Primo contributo del socio ALessanpro Bruno 1). (Tornata del 14 agosto 1904). Tra le scienze biologiche che si sono specialmente avvantag- giate del rapido progresso della Istologia è, senza dubbio, la Fi- siologia, la quale, addentrandosi, mercè il microscopio, nella in- timità degli organi, ha potuto studiare da vicino gli elementi cellulari, dalle cui singole attività risulta qualsiasi organica fun- zione. E uno dei capitoli più efficacemente illustrati dalla Istologia è quello, che concerne il lavorio ghiandolare. Varie ed erronee opinioni per lungo tempo han dominato intorno alle funzioni secretive, e contraddittorie si sono dimo- strate le conclusioni degli osservatori sul modo di comportarsi del- l’ epitelio ghiandolare, come, del pari, incompleti sono stati i me- todi per sorprender questo nelle varie fasi di sua attività. Mentre quasi tutte le indagini fatte per investigare i cangia- menti delle cellule ghiandolari durante la secrezione si sono gio- vate di agenti, che questa ultima potessero attivare in un modo più o meno transitorio, o mediante, cioè, stimolazione dei nervi ghiandolari con mezzi diretti, o mercè sostanze, che agissero, in una guisa qualsiasi, eccitatrici della secrezione, io ho preferito seguire i cangiamenti dell’ epitelio secretivo in fasi naturali di attività, senza l’ intervento di mezzi estranei, che, quando pure arrivino a destare atti funzionali, sono sempre lontani da quelle condizioni, che si svolgono nella ordinaria misura ed attività fi- siologica. i È perciò che dei miei studii ho fatto obbietto le ghiandole caratteristiche del pollice della Rana maschio. Da Come è noto , la Rana porge esempio di uno speciale di- morfismo sessuale esterno, presentando il maschio negli arti to- 1) Le ricerche , di cui nel presente lavoro, furono argomento della Dis- sertazione dell’ A. agli esami di Laurea in Scienze naturali. 216 — racici il dito pollice rigonfiato di molto rispetto sia alle altre dita, sia al pollice della femmina ; rigonfiamento, il quale è do- vuto in parte ad un maggiore sviluppo muscolare ed in parte al turgore notevole di speciali ghiandole e papille. Orbene, essendo tali apparecchi ghiandolari molto semplici e poco voluminosi, è relativamente facile in poche sezioni seriali ricostruirli interi, come anche, dato il loro probabile destino in rapporto ai fenomeni sessuali, averli in una fase di grande atti- vità fisiologica ed in modo duraturo. Allo studio delle cosiddette ghiandole del pollice ( Daumen- driisen dei Tedeschi) io dovevo, per necessità di comparazione, associare quello suHe altre ghiandole cutanee della Rana; e, poichè dalle une e dalle altre indagini ho ottenuto risultati, che mi pare ‘alga il merito di riferire, così io ne fo ora questa prima espo- sizione, per poi, a suo tempo, comunicare il risultato conapleto degli studii, che vo tuttora proseguendo. Compulsando i varii lavori pubblicati sull’ argomento o su altri affini, ho notato gli sforzi fatti per giungere ad una esatta classifica delle ghiandole cutanee della Rana. L’ Ascherson!), che fu tra i primi a tentarla, non seppe della esistenza delle ghiandole del pollice, di cui non avrebbe, data la specialità dei caratteri, mancato di far menzione, se solo ne avesse avuto contezza. Egli nelle ghiandole cutanee della Rana non trovò altra dif- ferenza, se non nell’ essere piccole e rotonde le une, grandi ed ovate le altre; nè vide fibro-cellule muscolari nelle loro pareti. Fondò, dunque, la sua classifica sulla dimensione e sulla forma in toto delle ghiandole, restando così ben lungi dal riconoscervi una profonda differenza morfologica e ancor più lungi dal sup- porvi complessa diversità chimica del loro secreto. L’ Hensche 2) iniziò lo studio degli elementi contrattili nelle pareti ghiandolari e fu il primo, a quanto sembra, a riconoscere nel maschio della Rana l' esistenza di speciali ghiandole nel pol- lice. Delle quali ultime egli, riferendosi alla classifica proposta dall’ Ascherson, fece un terzo gruppo: delle ghiandole mezzane AscHERson — Muller’ s Archiv. 1840. 2) HenscHe —Zeitschrift fiir wissenschaftliche Zoologie 1854. E sn Non venne, però, a conclusioni precise, riconoscendo le fibro-cel- lule solo nelle grosse ghiandole. Non meno incompletamente il Leydig !) limitò l’esistenza degli elementi contrattili nelle grosse ghiandole dei fianchi della Rare temporaria. Più tardi il Ciaccio riconobbe le fibro-cellule muscolari in tutte le ghiandole e di queste propose una nuova classifica, am- mettendone nella cute della Rana esculenta due forme: ghiandole ad epitelio pavimentoso e ghiandole ad epitelio cilindrico ?). ù, dunque, ad un criterio non più di sola dimensione e forma esterna, ma di vera istologia che il Ciaccio si affida: non è più la maggiore o minore grandezza delle ghiandole, ma la forma del loro epitelio il carattere essenziale della classifica, la quale costituisce, quindi, un passo innanzi non poco notevole. Il Ciaccio, però, distingue, fra le ghiandole ad epitelio pavi- mentoso, ghiandole grandi, mezzane, piccole e piccolissime. Di- stinzione questa di ben scarso valore: giacchè come si potrebbe, avendo presenti varie di tali ghiandole, orizzontarsi nello studio di esse con una semplice determinazione di loro grandezza? come affermare o negare che una qualsiasi di queste ghiandole sia de- stinata a restar quale è, ovvero a crescere ancor più di volume ? Forse che le grandi e le mezzane, prima di esser tali, non son dovute essere piccole e piccolissime ? È, senza dubbio, molto vaga ed insufficiente una tale suddivisione: non già che il determinare la grandezza di un organo non possa esser di utilità, ma credo che ciò sia, quando si accompagnino a quello altri criterii ed altri ‘aratteri più definiti e non variamente apprezzabili. Venendo a tempi ancor più vicini, ricorderò l’Engelmann 3), che in un lavoro del 1872 sulle ghiandole cutanee della Rana distingue un secreto mucoso ed un secreto granulare, ed il Ge- genbaur 4, che nell’ edizione del 1898 della sua Anatomia. dei Vertebrati riferisce integralmente le conclusioni dell’ Engelmann sul proposito come le più recenti e le più attendibili. Altri autori si sono, non è molto, occupati delle ghiandole cutanee degli Anfibi. 1) Leypie — Muller’ s Archiv. 1856 — Lerbuch der Histologie 1857. 2) Craccro — Sulla minuta fabbrica della pelle della Rana esculenta—Pa- lermo 1867. 3) ENGELMANN — Die Hautdriisen des Frosches. Pfl: Archiv: f. Phys: Bd Viu. VI 1872. 4) Gecenpaur—Vergleichende Anatomie der Wirbelthiere mit Beriicksichti- gung der Wirbellosen. Leipzig 1898. 218 IL’ Heidenhain !) ed il Nicoglu *), seguendo per i primi il metodo microchimico in siffatte ricerche, si son rivolti in parti- colar modo ai Tritoni ed alle Salamandre, determinando tre tipi diversi di ghiandole e cioè: un 1.° tipo di ghiandole sempre mucose o almeno tali in al- cune fasi del loro sviluppo; un 2.° tipo di ghiandole secernenti una sostanza, che non è muco e che costituisce un veleno di protezione; un 3.0 tipo di ghiandole, che associano i caratteri del 1.° e del 2.° gruppo. i IL’ Heidenhain , inoltre, avvertiva di aver fino allora (1898) rinvenuto quelle del 1.° tipo solo nel Tritone e nella Salamandra e quelle del 3.0 nel Tritone soltanto. In seguito, altri lavori si sono avuti, ma per lo più limitati allo studio delle ghiandole cutanee del Tritone o della Salaman- dra: così il Vigier ha studiato le ghiandole cutanee della coda del Tritone, e la signora Phisalix 3) le velenose della Salaman- dra , delle quali ha sostenuto l’ origine mesodermica! Contro questa opinione sorse 1’ Arcel e quindi la dott. Fano, di cui è recentissimo il lavoro dal titolo: « Sull’origine, lo svi- luppo e la funzione delle ghiandole cutanee degli Anfibi » 4). In questa pubblicazione 1° A., pure esponendo i risultati di ricerche fatte solo sul Tritone e sull Axolotl, conclude, per la ge- neralità degli Anfibii, che i varii aspetti delle ghiandole cutanee siano da considerarsi molto probabilmente come fasi successive di una medesima specie, piuttosto che come altrettanti tipi ghian- dolari distinti, e ritiene più probabile che le ghiandole comune- mente dette scure o granulose siano forme giovanili delle chiare O mucose. E l essere queste relativamente più piccole dipenderebbe, secondo la dott. Fano, dall’ aversi nel ringiovanimento una coar- tazione della membrana muscolare della ghiandola dopo la se- crezione, per poi espandersi di nuovo col rinnovarsi dell’epitelio secretivo. 1) HepENHAIN— Die Hautdriisen der Amfibien. Sitzungsbericten der Wirz- burger. Physik: med: Ges: 1593. 2) Nicocu— Ueber die Hautdriisen der Amphibien. Zoologischer Jahresbe- richt fur 1893. Berlin 18:4. 3) dia — Origine et développement des glandes à venin de la Sala- mandre terrestre. Zoologischer Jahresbericht fir 1900. Berlin 1901. 1) Fano L.—Sull' origine, lo sviluppo e la funzione delle ghiandole cuta- nee degli Anfibii. Arch. ital. di Anat. e Embriol. Vol. II, fase. 2.° 1903. — 219 — Uno studio molto particolareggiato è quello venuto alla luce quest’ anno nella « Anatomie des Frosches » di Ecker e Wieder- sheim, rimaneggiata ed ampliata dal Gaupp !. Con molte delle minuziose ricerche di questi autori concordano le mie, ma non nella loro parte essenziale, limitandosi il Gaupp a riconoscere nella cute della Rana un gruppo di ghiandole mucose ed uno di ghiandole granulose o velenose e considerando come mucose an- che quelle caratteristiche del pollice del maschio. Anzi, in tale opera è detto che da false apparenze fu illuso il Leydig (1876) nel classificare le ghiandole in discorso, mentre che, non ostante l'appunto che gli sì possa fare, per essersi ri- ferito alla grandezza dei corpi ghiandolari, ha egli dato la clas- sifica più vicina al vero, come io stesso ho potuto verificare, guidato, però, nelle mie ricerche da considerazioni di ben altra natura che di semplice e grossolana morfologia. Nel mio studio parte non ultima ho dato alla ricerca micro- chimica, sul cui fondamento ho avuto ragione di fare una più organica divisione delle ghiandole cutanee della Rana esculenta, avendone la prova più chiara ed indubbia della diversità del destino, a cui ciascun gruppo di quelle è legato. Il moderno indirizzo della tecnica istologica, per ciò che ri- guarda le colorazioni, poggia sulla elettività, che con le diverse materie coloranti hanno le singole parti dei tessuti. Questa elet- tività, che già spesso nella colorazione semplice si manifesta con lo intingersi in modo più intenso di alcune e meno di altre parti, si esplica maggiormente nelle così dette colorazioni doppie, per le quali, più che di intensità, trattasi di differenze profonde nel tono del colore, con cui si presentano le varie parti di una cel- lula o le cellule dei varii tessuti. E, se, in generale, si potea dire di una semplice imbibizione, non si deve disconoscere, però, che le colorazioni differenziali, le così dette tinzioni metacromatiche cioè, sian dovute a vere reazioni chimiche fra i coloranti ed 1 costituenti citologici ed istologici, reazioni, che son diverse, perchè diversa è la costituzione chimica delle varie parti cellulari e di una stessa parte nelle distinte fasi della sua vitale attività. 1) Ecker und WrepersEem-GauPP. Anatomie des Frosches. Braunschweigg ed. 1899 e ed. 1904, e già prima: Ecker. Anatomie des Frosches. Braun- schweigg 1864. — 220 — Orbene, se la virtù metabolica, che, in genere, deve ammet- tersi per tutti gli elementi cellulari sì, da potere col Paladino affermare che questi « sono dei veri osmometri a corrente. bi- laterale in scambio con i liquidi plasmatici, da cui sono circon- dati » !), è nelle cellule ghiandolari sviluppata in grado eminente e tanto le differenzia dalla comune delle cellule degli altri tes- suti e così importanti le rende per la vita e la conservazione dell’ individuo e della specie, si dovrà convenire che sono pro- prio i caratteri microchimici quelli, che meglio e più ci possono illuminare e guidare nello studio delle ghiandole, come quelli che ne rivelano la natura e la importanza fisiologica col pro- dotto stesso, che ne rappresenta l’opera ed il fine. Condotto, adunque, da questo concetto, ho nelle mie ricerche dato gran valore alla scelta della tecnica opportuna. Ho cominciato, come è naturale, col ricorrere ai metodi or- dinarii e dirò come fra i liquidi fissatori mi si è prestata bene la Formalina (2 e 3 °/) e più ancora il Sublimato corrosivo (2 °/o), e fra i coloranti l’Ematossilina con lo Scarlatto (Paladino) ed il Carminio Mayer. Risultati più specifici, però, ho conseguito con l’uso della tionina e propriamente col liquido formol-tioninico de Pietro, da me modificato nelle proporzioni ?). È esso un liquido, che, risultando di formalina e tionina, dà modo di poter sor- prendere col colorante gli elementi in vita ed aver così | im- bibizione e la reazione chimica delle varie parti cellulari nello stesso tempo che esse vengono fissate. Senza dir, poi, che, es- sendo la tionina un colorante metacromatico per eccellenza, avevo tutte le probabilità di potere ottenere delle differenze nella tin- zione, che potessero meglio farmi apprezzare la natura ed il la- vorio delle ghiandole. Con questo metodo, infatti, ho ottenuto i più decisivi risul- tati, giacchè ho potuto distinguere tutte le varie specie di ghian- dole dal reagire del loro protoplasma e della loro secrezione. 1) Parapino G. Istituzione di fisiologia — Napoli 1902. 2) Il liquido formol-tioninico de Pietro fu con successo adoperato, per la colorazione della mucina intestinale, nelle proporzioni seguenti: formalina 3% 100 cme; tionina sol. acq. 1% 5 cme. Io, per le mie ricerehe, l’ ho modificato così: formalina 1 1/4 % 100 eme; tionina sol. acq. 19/8 cme. — 221 — Ho detto più su che il Ciaccio distingueva le ghiandole cu- tanee della Rana in quelle ad epitelio pavimentoso e quelle ad epitelio cilindrico. Ghiandole ad epitelio cilindrico egli disse le speciali ghian- dole, che si trovano nel pollice del maschio, mentre nel gruppo delle ghiandole ad epitelio pavimentoso riuniva tutte le altre, che si ritrovano nel resto della cute. Le prime sono molto caratteristiche e perchè esclusive del lato palmare del pollice del maschio e per la loro morfologia sia e- sterna, sia interna. Relativamente grandi, in generale, variano a misura che dai limiti laterali si va alla parte mediana della re- gione papillosa, ove sono le più grandi. Le laterali, che sono le più piccole, hanno forma piuttosto globosa , laddove sono sem- pre più ovate, quanto più sono vicine alla linea mediana. La varietà di forma, più che ad altro, deve. probabilmente riferirsi al fatto meccanico della compressione, che mutuamente le vescichette ghiandolari si esercitano, data la breve area pal- mare, sulla quale sono accumulate. In generale, son disposte su un’ unica fila, e, benchè nei tagli praticati alla base del pollice le si veggano pure in più serie, tuttavia un'attenta osservazione mostra trattarsi semplicemente di ghiandole superiori col fondo inflesso in giù, a livello delle inferiori. Aggiungeròo , anzi, che siffatte ghiandole sono spesso lievemente anfrattuose, con pieghe della membrana e dell’ epi- telio sporgenti nel lume. Non è da trascurare simile condizione, sia dal punto di vista morfologico, perchè, come ho potuto costantemente verificare, è un carattere questo, che non si riscontra in nessuna di tutte le altre forme ghiandolari della cute della Rana, sia dal punto di vista fisiologico, perchè tale complessità, pur lasciando le ghian- dole numericamente limitate, ne estende, senza dubbio, la su- perficie secernente , la quale risulta così più estesa di quel che potrebbe supporsi, a desumere dalla quantità ben ristretta di tali organi ghiandolari. Ognuno di essi presenta un dotto escretore sempre rettili neo, che, restringendosi lentamente, va ad aprirsi, a livello della superficie epidermica, in uno dei tanti avvallamenti tra le nume- rosissime papille, che così irregolare rendono quella regione della cute nel maschio. Le cellule, che limitano il dotto escretore, sem- — 222 — bran seguire le fasi delle epidermiche circostanti, delle quali, in- fatti, tutte, meno le più vicine al corpo ghiandolare, ripetono lo aspetto. Queste ghiandole sono limitate da una membrana propria o basale, fornita all’esterno di frequenti fibro-cellule muscolari ed internamente di un florido epitelio secretivo. Essa è sottilissima tanto che riesce di osservarla, alquanto agevolmente solo là, dove, per una meccanica rottura o per torsione, sì sia pieghet- tata e le cellule interne se ne siano allontanate. Conviene insistere sulla relativa sottigliezza di siffatta mem- brana, essendo uno dei caratteri differenziali più importanti per distinguere le ghiandole, di cui parlo, da un altro tipo, di cui dirò in seguito. La membrana è anista. Le cellule all’ interno di essa adat- tate sono numerosissime. Strettamente compresse tra loro, appa- riscono un pochino curve ed obliquamente impiantate sulla pa- rete basale. Una tale disposizione concorre, forse, a dar mag- giore solidità a tutta l’impalcatura epiteliale. Di forma cilindrico-prismatica, dànno nell’insieme la figura di una elegante e molto regolare palizzata. Alla base, presso alla membrana propria, presentano, in generale, un nucleo solo: non mancano, però, esempii di elementi a due nuclei. Comunque, questi han forma più 0 meno tondeggiante e mo- strano nel loro interno un nucleolo principale e qua e là anche dei nucleoli accessorii. Il protoplasma è abbondante e granuloso: più denso verso il nucleo, si mostra sempre più rarefatto verso l’ estremo, che guarda il lume ghiandolare. Il movimento secretivo non comincia mai contemporanea- mente in tutte le parti della ghiandola, ma, invece, dalle cellule più vicine al dotto escretore si propaga man mano alle più lon- tane, interessando, quindi, tutto l’epitelio. L'osservazione, infatti, mostra come, a misura che la secrezione prosegue, il lume ghian- dolare si vada dilatando dalla parte che guarda l'epidermide ver- so il fondo. Lo svolgersi della secrezione si riconosce ancora meglio dal presentarsi tanto più basse le cellule, quanto più son vicine al dotto escretore. Negli clementi la secrezione comincia all'estremo interno, ove si accumula una prima porzione del secreto prodotto. Questa espulsa, la cellula resta con forma quasi come di una coppa. >_< 988, — Il secreto, intanto, continua a prodursi e si accumula lungo l’asse della cellula, per poi versarsi nel lume della ghiandola. La cellula, nello elaborare, si va un po’ per volta esaurendo, col prevalere della secrezione sulla sua nutrizione, e, come ho già detto, si rende sempre più bassa. Si osservi, però, che l’ accorciamento non giunge fino alla distruzione della cellula, ma ad un certo punto si ferma in guisa, che rimane col nucleo circa la metà del protoplasma. Gli elementi, prima che comincino a versare il loro elabo- rato, essendo molto alti, toccano quasi con l'estremo interno le cellule corrispondenti dell’opposta parete; sicchè nel periodo detto di riposo il lume della ghiandola è più virtuale che reale, men- tre si fa sempre più evidente durante la secrezione, sia perchè le cellule divengon più basse, sia perchè il secreto, accumulan- dosi, fa meccanicamente gonfiare la ghiandola e discostare le pa- reti. E la escrezione avverrebbe appunto per la eccitazione che ne risulta ed il successivo contrarsi delle fibro-cellule. Più diffusamente dirò altra volta del meccanismo secretivo, dei cangiamenti intimi che ne derivano negli elementi ghiando- lari e del destino riservato alla secrezione: ora credo bene no- tare il modo di reagire del secreto in azzurro chiaro con la tio- nina , in roseo sbiadito col carminio , in scarlatto-roseo con lo scarlatto, mentre ha poca affinità con l’ematossilina ed è molto de- bolmente colorata in roseo dal rosso di Magdala, anche con un’a- zione molto prolungata. Che non sia muco lo rivela la reazione negativa col carminio mucinico e il dare con la tionina una co- lorazione azzurra e non violetto-rossa , quale è quella caratteri- stica della mucina. Oltre alle ghiandole ad epitelio cilindrico-prismatico, ebbi a vedere tra esse delle vescicole ghiandolari con una parete note- volmente spessa e tappezzata all’interno da un certo numero di nuclei con un sottile strato di protoplasma , mentre all’ esterno la circondavano elementi fusiformi a nucleo allungato. La cavità della vescicola era riempita da un enorme cumulo di secrezione, fatta di granuli, quali più chiari, quali più scuri, e più o meno perfettamente sferici. La posizione di queste ghiandole doveva necessariamente farmi proporre il quesito, se trattavasi delle medesime « ghian- dole del pollice », tra le quali vedevo quelle in quistione, in altra — 224 — fase di attività, o eran piuttosto ghiandole del tutto diverse, di altro tipo; e, in quest’ipotesi, se erano le stesse, che esistono nel resto della cute, o anche da queste diverse. Nè, data la esistenza di ghiandole a secrezione granulare, ammessa da parecchi autori, poteva sembrarmi questo un inutile quesito, dal momento che qualche osservatore ha sostenuto di aver riscontrato la coesistenza in una stessa ghiandola di ele- menti mucosi ed elementi granulosi, e per qualche altro le varie forme di ghiandole dovrebbero esser ricondotte ad un unico tipo. Orbene, se un rapporto evolutivo dovesse ammettersi tra le ghiandole del pollice e quelle a secrezione granulosa, non po- trebbe dubitarsi che dovessero queste appunto essere in uno stadio più evoluto, non apparendo altro in esse, a secrezione inoltrata, che materiale secretivo, ed essendo quasi completamente scom- parsi gli elementi ghiandolari. Ma, paragonando i caratteri delle une e delle altre ghian- dole, si osserva una cospicua differenza nella membrana propria, la quale, sottilissima nelle « ghiandole del pollice », appare, in- vece, molta spessa nelle altre. Le prime, inoltre, anche quando hanno molto elaborato, con- servano su per giù la loro forma ovale, allungata, mentre le se- conde assumono le forme più irregolari, globose, ovate, allun- gate, con contorno quasi sempre a pieghe o a lobi, come se una repentina contrazione le abbia violentemente deformate. Infine, nelle ghiandole del pollice, anche in fase secretiva avanzata , le cellule non si dissolvono come in quelle a secre- zione granulosa, ma presentano tutt’ al più un rimpicciolimento. Tante e così evidenti diversità rendevan sempre più impro- babile l'opinione che si trattasse di un medesimo tipo di ghian- dole, ma, tuttavia, eran tali, che potevan ben conciliarsi e por- tare a quella conclusione. Nulla di impossibile, infatti, che le ghiandole ad epitelio ci- lindrico-prismatico, sempre più elaborando, finissero con la dis- soluzione dei loro elementi, dando così tutto quel materiale se- cretivo. Il quale si presenterebbe granuloso, e, quindi, diverso dalla secrezione prodotta nelle prime fasi, sol perchè, restando in sito, si altererebbe nell’aspetto e forsanco nella sua costituzione chimica. Ma validi argomenti sciolgono ogni dubbio. Noterò, anzitutto, che mai, nelle numerose osservazioni fatte, mi si è dato di trovare delle ghiandole in fase tale, da potersi ritenere come intermedie tra l'una e 1° altra forma ghiandolare. — 225 — E, poi, di quelle a secreto granuloso non ho avuto mai a notare un numero maggiore di due in un medesimo gruppo di ghian- dole del pollice, quando pur non ne abbia affatto trovate , nè, e ciò è di gran rilievo, ho visto aumentarne il numero, facendo osservazioni comparative su maschi di varia età ed in varie sta- gioni. | D'altra parte, se le ghiandole a secrezione granulosa fossero le medesime del pollice in altra fase di attività, bisognerebbe o trovare anche queste in altre regioni della cute ed anche nella femmina, o trovare quelle esclusivamente nel pollice ed esclusiva- mente nel maschio. Invece, le ghiandole ad epitelio cilindrico-prismatico sono caratteristiche, come ho già detto, del pollice del maschio, men- tre quelle le ho osservate in gran numero, in mezzo a numerose altre ghiandole, diverse e da esse e dalle ghiandole del pollice, da per ogni dove, nell’ascella, sul dorso, nell’avambraccio, nella regione ventrale , sulle cosce ecc., e non nel maschio soltanto, ma anche nella femmina, nè solo negli adulti, ma anche nei gio- vani. Dirò, anzi, che ghiandole così tipiche sono già molto grandi ed evolute in individui giovani, quando ancora le altre forme ghiandolari vi sono piccole e le più non ancora in attività ; di guisa che, oltre ad escludere che esse siano le stesse del pollice in un periodo più avanzato , bisogna escludere anche l’ ipotesi che esse possano aver comunanza con le altre forme di ghiando- le, che si osservano nel resto della cute. Giacchè , se così non fosse, bisognerebbe proprio nei giovani trovare e per grandezza e per forma e per caratteri istologici e per caratteri microchi- mici maggior somiglianza che non negli adulti. È, dunque, incompleta la classifica del Ciaccio, che, eccet- tuate le « ghiandole del pollice », faceva un unico gruppo di tutte le altre della cute della Rana, ed è da escludere, almeno per la Rana esculenta, l'opinione di coloro, che ritengono i varii aspetti ghiandolari della cute degli Anfibii come fasi diverse di un’ unica forma. Ulteriori indagini, guidate specialmente dal reattivo formol- tioninico, mentre mi confermavano pienamente nei risultati ot- tenuti, mì mducevano a riconoscere una delle forme ghiandolari determinate come più complessa di quel che non sembrasse, in guisa da doverne fare una suddivisione e comprender tutte le 15 + de ghiandole cutanee della Rana esculenta almeno in quattro ca- tegorie. Di quella delle ghiandole del pollice ho già parlato per lo innanzi ed ho riferito la reazione in azzurro degli elementi e della secrezione con la formol-tionina. Completando quanto riguarda quelle a secrezione granulosa, noterò come la loro secrezione acquisti col liquido formol-tioni- nico una bella e caratteristica colorazione in verde-pisello. Sono esse ghiandole relativamente grandi e precoci, di for- ma rotondeggiante prima della contrazione e straordinariamente varia durante e dopo di questa. La guaina spessissima, di cui appariscono rivestite, è fatta da una parete anista, rinforzata da una spessa e regolare tunica di connettivo. Questa si presenta striata parallelamente al con- torno della ghiandola e mostra nella sua spessezza frequenti nuclei. Altri nuclei più o meno ovali, con l’asse maggiore parallelo alla parete e circondati da zone poco estese di protoplasma, si veggono all’interno della membrana. Tali cellule si colorano diversamente da quel che non faccia la tunica. Da questa esse alcune volte si sorprendono allontanate, anzi staccate in modo netto, per azioni evidentemente meccaniche. Quanto, poi, alla tunica considerata in sè, credo non inutile avvertire come essa faccia ricordare qua e là quel che si è fi- nora osservato nella membrana propria dei tubi seminiferi e dei tubi uriniferi: ma della sua struttura e del suo valore avrò oc- casione di intrattenermi più diffusamente nel lavoro esteso, che verrà alle stampe, quando avrò completato tutte le mie. osser- razioni. Richiamo , intanto , speciale attenzione sul fatto che nelle ghiandole a secreto granuloso , mentre questo assume, come ho già detto più su, una caratteristica colorazione in verde-pisello col liquido formol-tioninico, si colorano in azzurro, invece , col medesimo reattivo le cellule, che sono disposte alla periferia in- terna della parete. La tunica , poi, reagisce uniformemente al connettivo circostante. Riservandomi di far conoscere in seguito i risultati delle mie indagini sul meccanismo secretivo e sull’ ufficio di queste caratteristiche ghiandole, che sono le sole, che si potrebbero dire olocrine della cute della Rana esculenta, non posso , però, non notare fin da ora come grande debba esserne l’importanza dal punto di vista genetico, morfologico e fisiologico, sia per i An numero e la diffusione, sia per la contrattilità pronunziatissima, sia, e ancor più, per il precoce loro sviluppo. Esse , per la na- tura del loro secreto, hanno, forse, un’azione eminentemente pro- tettiva. Passo ora alle altre forme ghiandolari. Vi è un tipo di ghiandole non molto numerose, che dalla forma del loro epitelio posson dirsi ghiandole ad epitelio cubico. Il loro lume, sempre beante, è limitato da uno strato di elementi secretori, impiantati su una sottile membrana propria, anista e circondata esternamente da poche fibro-cellule muscola- riconoscibili dal loro nucleo bastonciniforme. Il nucleo delle cellule secretive è vescicolare e lascia facil- ri, mente scorgere nel suo interno un nucleolo ed altri granuli più rifrangenti. Il dotto escretore anche qui corre direttamente al- l’esterno con forma conica allungata. Queste ghiandole, per le colorazioni degli elementi e dei pro- dotti secretivi, sì avvicinano alle ghiandole del pollice. Ne dif- feriscono, però, per molti caratteri. Non sono, infatti, localizzate come queste e sono più piccole: hanno una forma più o meno esattamente sferica ed i loro ele- menti sono più bassi e più larghi. Ma più profonda differenza è nel meccanismo della secrezione, poichè, mentre nelle ghian- dole del pollice il lavorio secretivo si propaga successivamente e senza sbalzi dalla parte che guarda l'epidermide a quella che guarda il derma, nelle ghiandole ad epitelio cubico, invece, la se- erezione procede in modo ben più irregolare. In esse, quando già una cellula o un gruppo di cellule ha segregato e rientra nella. fase detta di riposo, solo allora le vicine ne escono, per essere, poi, a loro volta, al termine del loro lavorio, susseguite da altre. Si veggono, infatti, cellule, in cui i nuclei son respinti alla base, ed altre, in cui 1 nuclei sono piuttosto verso il mezzo: queste si preparano a versare il loro secreto: quelle I’ hanno già elimi- nato. Di guisa che di continuo vi sono delle cellule in secre- zione sparse qua e là, isolate alle volte, altre volte in gruppi, ma sempre circondate ed intramezzate da altri elementi, che ancora si veggono nella loro floridezza, con un protoplasma non rarefatto, ma abbastanza denso e granuloso, e che si approntano a funzionare. Molte di esse si rigonfiano e, profittando dell’ avviz- zimento delle cellule vicine, che han già dato il loro contributo, — 228 — sì espandono verso i lati e verso l'estremo interno, in modo da alterare la forma cubica originaria. L’alternanza di fase ci è ri- velata dall’ aspetto e dalla colorazione, apparendo più compatte ed oscure le cellule, che ancora devon versare il secreto e come reticolate e più chiare quelle, che già sono in via di compiere il loro ufficio. Questa maniera così evidente di secernere è, forse, da rife- rirsi alla necessità per l’ organismo di avere tali ghiandole in continuo lavorio : esse, in effetti, impiegano, volta a volta, solo parte dei loro elementi'secretori, dando così agio a quelli esau- riti di riaversi e tornare in condizioni opportune di floridezza. L'ultimo gruppo, di cui mi resta a parlare, è quello delle ghiandole mucose. Le ghiandole mucose hanno una forma perfettamente sferica, turbata solo là, dove prende inizio il tubo escretore. In generale, fatti meccanici, che ne determinino la compres- sione, e, quindi, la deformazione, non se ne dànno, essendo sif- fatte ghiandole comodamente allogate nella massa dermatica. Una membrana anista le involge come in un sacco: fuori di essa si veggono poche fibro-cellule muscolari. L’ epitelio secernente è fatto di»cellule pavimentose, tutte egualmente sporgenti nel lume ghiandolare, sempre beante e di forma sferica. È tale la uniformità delle cellule nell’altezza e così regolare la forma rotondeggiante delle ghiandole, che le sezioni di queste sì veggono come anelli perfettamente circolari. Il protoplasma delle cellule è granulare e reagisce in mas- sima parte in violetto-rosso con la tionina, che colora, invece, in violetto tendente allo azzurro i nuclei. Questi, uno per ogni cel- lula, son disposti nel mezzo del protoplasma nella fase di riposo, mentre nel periodo di attività essi sì ritraggono verso la base, ed il protoplasma sì carica sempre più di secreto e sempre più forte- mente si intinge con i reattivi caratteristici della mucina. Il tubo escretore è limitato da elementi, che per i loro ca- ratteri devono ravvicinarsi alle cellule epidermiche piuttosto che alle ghiandolari, giacchè con la tionina queste si colorano in violetto-rosso e quelle, invece, in azzurro così, come gli elementi epidermici. iO È bene ora notare che siffatte ghiandole sono meno nume- rose di quel che, a desumere dal complesso degli studii finora fatti sul proposito, comunemente si crede. Del resto, ciò non deve stupire, se si pensi che, dal momento che per imperfette osserva- zioni sì era pel passato fatto di tutte le ghiandole cutanee della Rana — ad eccezione delle « ghiandole del pollice » un sol grup- po, se ne dovè necessariamente ritenere identica la natura e la secrezione. Quanto all'ufficio a tali ghiandole affidato, pare sia proprio il loro secreto destinato a rendere viscide le superficie e a man- tenerle umide, cosa, che assume importanza maggiore nei Ba- traci, i quali anche allo stato adulto han bisogno di mantenere al loro corpo come un'atmosfera di umidità, in rapporto, forse, con la importanza, che in essi conserva la respirazione cutanea. Osservazioni comparative, fatte su individui di varia età, mi han mostrato come queste ghiandole siano tarde a compa- rire e raggiungano uno sviluppo relativamente maggiore solo negli adulti. Il che è con ogni probabilità da connettersi col fatto che nei primi periodi, quando, cioè, le Rane, allo stato di girini, vivono vita acquatica, non v'è necessità di questa secrezione, la quale si rende, invece, indispensabile, quando, col progredire dello sviluppo, alla vita acquatica sottentra in buona parte la vita aerea. Dando ora uno sguardo complessivo a tutte queste forme ghiandolari descritte, noterò come non vi sia punto della cute che ne sia sprovvisto e come grande sia la quantità di pigmento, che d’ogni parte le circonda. E, forse, non poche condizioni nella funzionalità delle ghian- dole dipendono dalla presenza di pigmento intorno ad esse. Sul modo di intendere 1’ essenza del pigmento interepider- moidale non posso seguire il Ciaccio, che pure della disposizio- ne delle cellule pigmentose nel derma sottostante diede esatta descrizione. Ritiene egli che quelle formazioni di pigmento, le quali, con l'aspetto di cellule più o meno ramificate, si osservano talora nell’epidermide della Rana, non siano cellule, ma trasformazioni in pigmento della sostanza intercellulare. Ecco testualmente come egli conclude al riguardo: « La ma- teria pigmentale, che talune volte si osserva nell’epidermide sotto 9a — forma di cellule ramificate, proviene da una particolare trasfor- mazione della sostanza interposta alle cellule epiteliali ». Io, però, ho potuto osservare nell’epidermide della Rana del pigmento in forma di cellule così ben delineate e distinte, da non poter lasciare alcun dubbio sulla loro natura. Ho visto sì produzioni pigmentarie in forma di filamenti interposti alle cellule epidermiche, ma un’attenta osservazione ed una esatta ricostruzione di tagli dimostrano essere quelle for- mazioni prolungamenti di vere cellule pigmentali, cacciatisi tra le cellule epidermiche e meccanicamente isolati nei tagli. CONCLUSIONI I. Contrariamente a quanto si era finora ripetuto, nella cute della Rana esculenta esistono, a mio parere, per lo meno quattro forme ben distinte di ghiandole, che si possono dividere così: a) Ghiandole ad epitelio cilindrico-prismatico. merocrine 8) Ghiandole ad epitelio cubico. Ghiandole { y) Ghiandole ad epitelio pavimentoso. olocrine Sono forme nettamente differenziabili fra loro per caratte- ri morfologici, citologiciy topografici e, principalmente , micro- chimici. II. Le ghiandole ad epitelio cilindrico-prismatico sono abba- stanza grandi, di forma, a così dire, utricolare più o meno al- lungata e fornite di elementi contrattili all’ esterno della mem- brana propria. Questa è anista. L’epitelio, ricco e floridissimo, si riduce di molto, segregando. Sono ghiandole merocrine , la cui attività si esalta nel periodo degli amori. Sono esclusive del pollice del maschio e perciò dette ghiandole del pollice. Il loro secreto reagisce in azzurro con la formol-tionina. III. Le ghiandole ad epitelio cubico, pure merocrine, si com- portano alle colorazioni presso a poco come le ghiandole del pol- lice, ma se ne distinguono, oltre che per la forma dello insieme, per la ubicazione in tutte le parti del corpo, per la presenza negli individui di ambo i sessi, per la forma dell’epitelio e pel modo di secernere, giacchè al lavorio di secrezione in ciascuna di queste ghiandole partecipano, a quanto pare, alternativamente ora alcuni, ora altri elementi. Anche le ghiandole ad epitelio cubico son fornite di una membrana propria anista, circondata all’esterno da scarse fibro- cellule muscolari. IV. Le ghiandole ad epitelio pavimentoso possono anche dirsi ghiandole mucinose per la reazione che dànno e gli elementi e il secreto con la formol-tionina. Si trovano diffuse per tutte le regioni cutanee, ma non in quel gran numero, che si potrebbe supporre. Sono merocrine ed hanno una membrana anista e, relativa- mente alle altre ghiandole, poche fibro-cellule muscolari. V. Le ghiandole olocrine, poi, sono molto caratteristiche non soltanto perchè le sole olocrine della cute della Rana, ma anche per il reagire in verde-chiaro della secrezione ed in azzurro del- l’epitelio secernente con la formol-tionina. Queste ghiandole sono fornite di una sottile membrana anista, rinforzata da una spessa tunica di connettivo, e sono contrattili in sommo grado, perchè le più ricche di elementi muscolari. VI. Così nel maschio come nella femmina e, dove più, dove meno, in tutte le regioni cutanee, sono rappresentate queste specie di ghiandole, esclusion fatta di quelle ad epitelio cilindrico-pri- smatico, che si trovano solo nei maschi, localizzate nella regione palmare del pollice, dove, peraltro, oltre di esse, si rinviene an- che, ma molto raramente, qualche ghiandola olocrina. VII. Quanto allo sviluppo delle varie forme ghiandolari, più precoci e prime a giungere a completo sviluppo sono le olocrine, ultime le mucose. VIII. Il pigmento, che spesso si ha a vedere fra gli elementi epidermici, non è una trasformazione di sostanza intercellulare, come ritenne il Ciaccio, ma è dovuto a vere e proprie cellule pigmentose. Esse sono in numero abbastanza limitato e poste a preferenza in certe regioni. IX. Viceversa, è abbondantissimo il pigmento dermatico, spe- clalmente intorno alle ghiandole, che ne sono più o meno inte- ramente rivestite. Anzi, spesso si osservano degli elementi pigmen- tosi non semplicemente sovrapposti alla membrana propria, ma quasi immedesimati con essa, sicchè potrebbe, forse, la loro azione concorrere alla contrattilità delle ghiandole. Istituto di Istologia e Fisiologia generale della R. Università di Napoli diretto dal Prof. G. Paladino. Fog a SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA (Tav. II.) Fig. 1. — Ghiandola del pollice di Rana esculenta maschio (superficie palmare) in attività secretiva. — Subl. corr. — Carminio Mayer. — PE papilla epidermica; PD papilla dermatica; DE dotto escretore; MG membrana propria; FM fibro-cellule muscolari; P7D pigmento dermatico; CG” cellula ghiandolare in una prima fase di secrezione: a destra la stessa maggiormente ingrandita; CG” cellula ghiando- lare in una fase ulteriore: a destra la stessa maggiormente in- lay Ga È grandita. —-—, Koristka. obb: 5 Fig. 2. — Ghiandola olocrina in fase avanzata di secrezione (Rana esculenta) Subl. corr. Ematossilina e scarlatto. — E epidermide; D derma; YM fibro-cellale muscolari; 7'U tunica con- nettiva, in meccanicamente staccata dall’epitelio ghiandolare; NC nuclei delle cellule connettivali; NG nuclei delle cellule ghiando- lari quasi IE disfatte nell’attività secretiva; P9D pigmento : , OC dermatico. ° Kor istka. ali 6 Fig. 3. — Ghiandola ad epitelio cubico con elementi in fasi diverse di secre- zione (Rana esculenta). — Subl. corr. — Ematossilina e scarlatto. — E epidermide; DE dotto escretore; MG membrana propria; Y'M fibro- cellule muscolari; CG’ Cellule ghiandolari che non hanno ancora versato il loro secreto: nucleo verso la metà della cellula; CG” cel- lule ghiandolari che già hanno versato il loro secreto : nucleo po- oc - larizzato alla base; PyD pigmento dermatico. Sb G Koristka. 510) Fig. 4. — Segmento cutaneo di Rana esculenta con o di diversa na- tura, come rivela la elettività nella colorazione. — Liquido formol-tioninico. — G; ghiandola ad epitelio cubico: G, ghiandola mucinosa: Gy ghian- dola olocrina; £ epidermide; D derma; /7D pigmento dermatico. CCA Koristka. obb. 6 Fig. 5. — Segmento epidermico di Rana esculenta, ricco di cellule pigmentose. 0 — Subl. corr. — E epidermide; D derma; PyD cellule pigmentose dell'epidermide; RPg prolungamenti di cellule pigmentose dell’epidermide, il corpo OC. delle quali è rimasto isolato dal taglio in altri piani. bh È Ko- ODD. db ristka. We egg D+ dii si sl PI YI tai Wwosta Wepiuk tb alias 1 AJ 7 i REST ei \ nos ; pi . (STI uao AL SOI hi; d° TI É RETORICA E DAL Mi papi La RACE: * ì d o E Ù - tI I - de 7) DAL È Ù x "a ) Li SPARTITI IR È PTT a ù i ° MTA pid caginrcni y ; a ft l riot teti iegi, GIO t VE i late zi iù, \{ bell A a Pad III S4 the n à Ù 3%: a Mii î è } DI, NL, DI . * si PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE paL 10 GENNAIO AL 18 DICEMBRE 1904 Tornata ordinaria del 10 Gennaio 1904 Presidente: Geremicca M. — Segretario : PierantoNnI U. Socii presenti: Monticelli, di Paola, Aguilar, Pellegrino, Cerruti Anile, de Rosa, Bruno, Forte, Amato. Si apre la seduta alle ore 13,45. Il segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Il presidente comunica lettere di ringraziamento della famiglia Jatta e del socio de Franciscis per la parte presa dalla Società nel loro lutto. Si delibera d’ inviare condoglianze al socio Vastarini Cresi per la morte del padre. Di Paola legge un suo lavoro: Le perturbazioni magnetiche durante la fase eruttiva vesuviana del 1903 e ne chiede la pubblicazione. A proposito di questo suo studio, fa notare come all’Osservatorio Ve- suviano le osservazioni magnetiche non sono più possibili a causa del- l esercizio della ferrovia elettrica. Il Direttore dell’Osservatorio, prof. Mat- teucci, ha protestato verso il Ministero, dichiarando che tali studii sa- ranno abbandonati. {l presidente comunica la seguente deliberazione, presa dal Consiglio direttivo, in ordine ad un lavoro dell’ex socio Petraroja: « Il Consiglio direttivo, presa visione della nota inserita dal dottore « Petraroja in un suo lavoro adesso pubblicato, rileva nella medesima « solo alcune inesattezze, che sente il dovere di rettificare. Il lavoro a cui « si riferisce la nota fu presentato dal Petraroja ed accettato per la pub- « blicazione nel Bollettino, ma, essendo molto voluminoso, il dippiù delle « spese di stampa, a norma dell’ Art. 45 del Regolamento, doveva essere « sostenuto dall’ autore. Questi, non volendo accettare siffatto stato di « cose, preferì ritirare il lavoro e dimettersi ». Si prende atto del passaggio alla categoria dei socii non residenti del prot. V. Diamare. Si leva la seduta alle ore 14,55. DÌ — ‘Zoo. — Tornata straordinaria pubblica del 21 Febbraio 1904 Presidente: Geremicca M. — Segretario: PrerantonI U. Alle ore 14, — con l’ intervento di numerosissimi socii, di moltissimi invitati, dei rappresentanti della R., Accademia delle Scienze, della Facoltà di scienze naturali, della Stazione Zoologica, della R. Scuola Superiore di Agricoltura di Portici, del R. Istituto d’ Incoraggiamento, della Regia Scuola di Veterinaria, dell’ Associazione dei Medici e Naturalisti, ece.—il Presidente dichiara aperta la seduta e pronuncia le seguenti parole : « Non per ascoltare comunicazioni di ricerche scientifiche, non per assistere a dibattiti critici, non per sollevare lo spirito con la visione di nuovi orizzonti, ma è per un compito mesto,—affettuoso altresi per alcuni di noi, — che qui siamo raccolti, o Signori! « Di questa nostra, più che sodalizio, famiglia —nata, ora è più di un ventennio, dal connubio dell’amore alla scienza con la fede giovanile — è venuto improvvisamente a mancare chi ne fu, nel manipolo dei fonda- tori, come l’ispiratore e il padre: colui che più degli altri concorse, con la meravigliosa maturità del suo intelletto in cervello giovanile, a dare alla nostra Società un indirizzo tanto diverso dalle altre di simil genere, il quale è stato come il talismano , che ci ha sorretti finora in mezzo al glaciale indifferentismo dell’ambiente ». « Un ferale morbo troncava la giovane vita del nostro socio Giusep- pe Jatta, non sono ancora due mesi; ed eccoci qui raccolti ad onorare la memoria del caro estinto. Epperò, a rendere più solenne la mesta ce- rimonia, stimammo acconcio d’invitare a questa nostra tornata straordi- naria, oltre ai congiunti ed agli amici del compianto socio, quelle persone che nel campo della scienza, della scuola e del civile consorzio ebbero più diretti rapporti con lui ». « Veggo che la gentilezza d’animo degl’invitati non è venuta meno alla nostra aspettazione; onde sento il dovere di rivolgere agl’intervenuti estranei alla nostra Società, in nome di questa, i più vivi e cordiali rin- graziamenti ». « Ringrazio, dunque , la facoltà universitaria di scienze, nella quale il Jatta fece i suoi studii per addottorarsi; la R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche, che lo segnò fra i socii corrispondenti adorni di più serie promesse per un avvenire non lontano; ringrazio la gloriosa Sta- zione Zoologica, dove si svolse la maggiore attività di lui; la Scuola Su- periore d’Agricoltura, dove il Jatta fece le sue prime armi nell’insegna- mento; ringrazio la R. Scuola di Medicina Veterinaria, il R. Istituto d’In- coraggiamento, l’Accademia Pontaniana, lAssociazione dei Medici e Na- turalisti, nei quali nobili istituti e sodalizii egli contava numerosi amici ed ammiratori; ringrazio |’ Associazione degli agricoltori e proprietarii, — 237 — dove il Jatta fece giustamente ammirare le sue solide idee nel campo economico >». Dopo di che presenta all’uditorio il prof. Francesco Saverio Monti- celli, il quale legge un applaudito discorso commemorativo, che trovasi integralmente inserito in questo volume (pp. 86-99). Si toglie la seduta alle ore 15, 20. Assemblea generale del 28 Febbraio 1904 Presidente: Geremicca M. — Segretario: Cerruti A. Socii presenti : Pierantoni , Monticelli, Pellegrino, Bruno, Morgera, Abati, Cutolo E., Amato, Patroni, Police, Modugno, De Rosa, Caroli, Anile, Cutolo A. Il segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Morgera legge un suo lavoro su La relazione tra il testicolo ed il deferente di alcuni rettili e ne chiede la pubblicazione. Police legge una sua nota Su i centri nervosi dei cheliceri e del rostro negli Scorpioni e ne chiede la pubblicazione. Cerruti fa una comunicazione : Su di un caso di ermafroditismo în un Bufo vulgaris. Sono ammessi come socii ordinarii residenti i signori Emmanuele Filiasi ed Emilio Trani e socii ordinari non residenti i signori Edmondo di Tullio e Francesco Romano. Pierantoni (segretario uscente) legge la relazione sull’ andamento scientifico ed amministrativo della Società nell’anno 1903. RELAZIONE SULL'ANDAMENTO SCIENTIFICO ED AMMINISTRATIVO DELLA SOCIETÀ DURANTE L'ANNO 1903. Egregi colleghi. Or è un anno, aprivo la relazione sui lavori della società nostra col notare, come tutte le manifestazioni della vita di essa avessero segnato un notevole incremento. Le cifre che in appresso andrò esponendo dimostre- ranno che quell’aumento di attività non era fittizio, poichè , anche nello scorso anno 1903 si è lavorato con buona lena e con profitto, senza venir meno a quell’ accordo, che ha assicurato così lunga e prospera vita a questa nobile istituzione. --- 238 — Bollettino. Anche quest'anno presentiamo all'assemblea un volume di oltre 300 pagine, con 5 tavole litografate e ben 61 tigure nel testo. Il numero di 23 lavori è di poco inferiore a quello dell’anno precedente. Essi possono raggruparsi così: 10 di zoologia ed anatomia, 7 di botanica, 3 di chimica, 1 di fisica, 1 di fisiologia, 1 di meteorologia. A questi vanno aggiunte cinque comunicazioni scientifiche riassunte nei processi verbali. È da ricordare a tal proposito che, col. consenso unanime dell’ as- semblea, la ricezione dei lavori dovette esser chiusa qualche mese prima del consueto, essendo sempre crescente l’aftluenza dei lavori, e temendosi che la mole eccessiva del bollettino dovesse gravare troppo il bilancio. Tornate.—In tutto l’anno la Società si riuni 13 volte in 13 tornate e tre assemblee generali, in cui sì raggiunse un massimo di 23 soci pre- senti e si scese solo una volta ad un minimo di 9, Il numero legale mancò assal di rado. Socii.-Spesso nelle tornate vi furono votazioni per ammissioni di soci, e assai meno spesso dovemmo prendere atto di dimissioni o radia- zione. I nuovi soci ammessi furono undici, di cui tre ordinari residenti, i sigg. Giuseppe di Ciommo, Giuseppe di Lorenzo e Filippo Tangari, e 8 non residenti, i sigg. Luigi Parlati, Giovanni Rossodevita, Jone Foà, Er- nesto Caroli, Michele Pellegrino, E. Marcucci, E. Zuppardi, A. D'Onofrio. Quattro soci furono radiati per prolungata morosità e due, uno residente ed uno non residente, abbandonarono volontariamente la Società. Per modo che la posizione dei soci a decembre portava: 47 soci ord. residenti 46 » » non residenti 1 socio aderente. In tutto n. 94 soci, cinque in più dell’anno scorso. Uno dei più vecchi e stimati soci residenti, Giuseppe Jatta, morto negli ultimissimi giorni dell’anno sociale, venne solennemente commemo- rato il 21 Febbraio dal socio Monticelli. Biblioteca, Cambiij.- Il servizio della biblioteca e dei cambî si man- tenne attivo come pel passato. Il numero dei cambi si accrebbe di tre all’estero. Attualmente ci pervengono 154 periodici, di cui 75 italiani e 79 esteri. I titoli dei nuovi cambî sono: I. Bulletin de la Société des Amis des Sciences Naturelles. 2. Archiv der Verein der freunde der Naturgeschichte in Meck- lemburg. — 239 — 8. Revista Chilena de Historia Natural, di Valparaiso. Il numero delle pubblicazioni pervenute in dono ascese a 186, di cui forse i due terzi, e molte per lo più pregevoli, furono donate dal socio De Rosa, a cui la Biblioteca, e la Società tutta, deve viva riconoscenza. Fu_ rono in complesso aggiunti 190 numeri all’inventario. Voti e deliberati. — Continuò nello scorso anno da parte della So- cietà l’interessamento a tutte le quistioni dibattute nel campo scientifico e professionale delle discipline naturali: interessamento che già si era di- mostrato vivo nel precedente anno con voti e deliberati. Va ricordato a tal proposito il voto di protesta contro la convenzione che ha permesso il passaggio della ferrovia elettrica vesuviana presso losservatorio , impe- dendone le osservazioni magnetiche e sismiche, che tanta parte sono delle vulcanologia. Va ricordato ancora il movimento suscitato dalla Società in favore dell’insegnamento delle scienze naturali nelle scuole secondarie, e come una commissione di soci formulasse un memorandum in cui sono contenute proposte concrete sui provvedimenti da adottarsi per miglio- rarne le sorti. Il memorandum, che figura nel Bollettino, fu largamente diffuso (in 1000 copie) e alle proposte pervenne un gran numero di ade- sioni da parte degli interessati. Auguriamoci quindi che di esse sarà te- nuto il debito conto in una prossima riforma della scuola media. Escursioni.--In pro’ dell’attività sociale vanno ancora registrate due splendide escursioni, l’una sull’amena collina dei Camaldoli, l’altra fra le colte boscaglie e i nitidi sentieri del Parco Reale e del Giardino Inglese di Caserta. In entrambe, i soci, animati dal caldo affetto per le scienze che li affratellano, ebbero agio, col raccogliere e col conversare , di ac- crescere le mutue cognizioni e di fornire prezioso materiale alle loro ri- cerche. Bilancio.-- Anche quest'anno dobbiamo registrare un deficit nel bi- lancio; ma un’occhiata alle cifre fa subito rilevare, paragonandole con quelle degli anni precedenti, come esso sia stato causato da due fatti: 1) dall’aver voluto mantenere decorosa la nostra pubblicazione, 2) dal vo- lerci vedere decorosamente allogati in una sede che, purtroppo, contro quanto era avvenuto in passato, siamo costretti a pagare. Per il lustro della nostra istituzione, a noì non è dato transigere, nè sull’una né sull’altra cosa. Vedendoci quindi impossibilitati a diminuire le spese, per dare un definitivo assetto alle nostre finanze bisogna tentare con ogni sforzo di aumentare le entrate: ed in questo senso vi è già chi studia e lavora: attendiamo il risultato di questi studi, fidenti di vederci -— 240 — presto liberati dalle pastoie, che la scarsezza dei mezzi impongono alle nostre forze, desiderose di accrescersì e di progredire. Egregi colleghi , Una pratica oramai lunga della nostra vita scientifica ed ammini- strativa mi permette di esprimere la convinzione che dove, come fra noi, regna l'affetto e il disinteresse, la prosperità non può mancare; e che, quindi, se pure ci si pareranno davanti difficoltà ed ostacoli, non man- cherà modo di superarli a ‘chi, come noi, ora e sempre libero da ogni personale ambizione, lavora sotto la semplice scorta dell'amore per la istituzione che ci affratella. Sicchè io oggi, nel lasciare la carica di se- gretario a chi certo meglio di me saprà disimpegnarne le mansioni, sono lieto di potere con piena fiducia rinnovare alla nostra Società l'augurio sincero di vita lunga, prospera e felice. Si delibera un voto di plauso per l’ opera prestata dal. Pierantoni nell’ interesse della Società. Si approva il bilancio consuntivo del 1903 e quello presuntivo del 1904. Abati legge la relazione dei revisori dei conti per l’anno 1903, ehe è approvata. Si leva la seduta alle ore 16,50. Assemblea straordinaria pubblica del 13 Marzo 1904 Presidente: Geremcca M. — Segretario : CerruTI A. Si apre la tornata alle 14. Socil presenti: Monticelli, Pellegrino, Distaso, Pierantoni, Mareneci. Modugno, Bruno, Anile, Caroli, Capobianco, Morgera, de Franciscis, de Rosa, Annibale, Filiasi, Abati, Patroni, Leuzzi. Intervenuti non socii: Galiani, Longo, Fiorelli, de Robertis, Rossi, Alessandri, Montesano, Gentile, Donati, Pennella, Forcina, Brambilla, Ge- remicca A., Armandi, Dozin, Grieb, Compagnone, Bruzzese, Alfano, Tu- disca, Pascale, Vessella, Zambrano. Hanno inviato la loro adesione: Praus, Bassani, Foà, Palmeri, Sem- mola, Iizzi, Papaleone, Piutti, Mercalli, De Gasparis, Balsamo, Ricciardi, Rippa, Milone, Romano P., Romano A., Marcello, Siniscalchi, Franco E. Il presidente legge una critica sul progetto di legge presentato dagli On. Baccelli, Morandi e Rubini su la riunione di cattedre nelle scuole — 241 — secondarie, e principalmente su la parte di esso che riguarda 1° insegna- mento scientifico, e conclude col proporre il seguente ordine del giorno formulato dal Consiglio direttivo della Società: « La Società di Naturalisti in Napoli, riunita oggi 13 marzo 1904 « in Assemblea straordinaria, con l'intervento di professori non socii e « di uomini politici, intesa la relazione critica fatta dal Presidente prof. « M. Geremicca sul progetto di legge d’ iniziativa parlamentare per la « riunione di cattedre nelle scuole medie, compresa del danno che ne « verrebbe per questa legge alla cultura scientifica ed allo stato de- « gl’insegnanti, delibera di dare pubblicità all'intera relazione e di espli- « care tutta l’azione, perchè tale proposta di legge non abbia l’approva- « zione del Parlamento ». È approvato all'unanimità. Il presidente ringrazia gl’ intervenuti e scioglie la seduta, dopo di aver concretato i telecrammi al Ministro della P. I. ed al Presidente della Camera dei Deputati. Tornata ordinaria del 20 Marzo 1904 Presidente: Geremicca M. — Segretario: CerRoTI A. Socii presenti: Monticelli, Pierantoni, Caroli, de Rosa, de Franciscis, Annibale, Modugno, Patroni. Si apre la seduta alle ore 14. Il segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Annibale legge un lavoro dal titolo: Andamento tipico della pressione .e della temperatura dell’aria durante î temporali. e ne chiede la pubbli cazione. Viene affidato al presidente il mandato di rappresentare la Società al prossimo Congresso geografico nazionale e di svolgere in questo delle proposte per la istituzione di una laurea in geografia. Si leva la seduta alle ore 15 Tornata ordinaria del 17 Aprile 1904 Presidente: Geremicca M.-Segretario : CerRuTI A. Socii presenti: Aguilar, Di Paola, de Franciscis, Marcucci, Distaso, Pierantoni, Monticelli, Abati, Cutolo E., de Rosa, Cutolo A. Si apre la tornata alle ore 14. Il segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. 16 = ia — Il presidente legge un telegramma del Ministro della P. I., il quale as- sicura che terrà in debito conto la protesta della Società sul progetto di legge per la riunione di cattedre nelle scuole secondarie. Riferisce inoltre sull’azione da lui spiegata, a nome della Società, nel V Congresso geografico italiano, dove nella tornata del 9 aprile, che egli ebbe l’onore di presiedere, furono emessi voti, su proposta sua e di altri congressisti: 1° che non si attui la progettata riunione della cattedra di geografia a quella di storia negl’ istituti tecnici; 2° che in tutti gli ordini di scuole sia istituito l’insegnamento della geografia ed affidato ad appo- sito professore; 3° che venga stabilito nelle Università ed Istituti Supe- riori un corso di studii geografici pel conseguimento di una Laurea in geografia. - Su proposta Monticelli si delibera un voto di plauso al Presidente. Distaso legge : Sul sistema nervoso del Dentalium Entalis e ne chiede la pubblicazione. De Rosa comunica una sua risposta ad uno scritto del prof. Mattei intorno a è tartufi dell’Italia meridionale. È eletto ad unanimità socio ordinario residente il prof. T. d’Evant. Si leva la seduta alle ore 15.30. Tornata ordinaria del 15 Maggio 1904 Presidente: Geremicca M. — Segretario: CerRuTI A. Socii presenti : Pierantoni, de Franciscis, Modugno, Cutolo A., Aguilar, Marcucci, Tagliani. Si apre la seduta alle ore 14. Il presidente riferisce sulla escursione fatta dalla Società, il 1° maggio, sul Monte Faito. Comunica che, essendosi dimesso il segretario Cerruti, il consiglio di- rettivo ha deliberato di incaricare il socio consigliere Cutolo A. di reggere la segreteria sino alla fine dell’anno. L'Assemblea ne prende atto. Cerruti legge a nome del Socio Bellini: Sull'influenza dei mezzi come causa di variazione e di dispersione dei molluschi e ne chiede la pub- blicazione. Si leva la seduta alle ore 15.30. 243 — Tornata ordinaria del 26 Giugno 1904 Presidente : Geremicca M.— Segretario: Curoro A. Soci presenti: Aguilar, Balsamo, Leuzzi, Cerruti, Modugno, de Fran- ciscis, Monticelli, de Rosa, Pierantoni, Caroli, Capobianco, Bruno. Si apre la seduta alle ore 14. Il segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Si approvano i processi verbali del 17 aprile e 15 maggio. De Franciscis presenta il seguente ordine del giorno: « La Società di Naturalisti in Napoli, ricordando un analogo voto « emesso dalla Società botanica italiana ed i recenti richiami della stampa « periodica italiana ed estera, fa voti al Governo del Re, perchè sia data « esecuzione al Decreto luogotenenziale (R. Domini al di là del Faro) in « data 25 aprile 1857, che provvedeva alla conservazione della specie Cy- « perus Papyrus sulla valle dall’Anapo (Siracusa) » È approvato all'unanimità e si delibera d’ dio al Ministeri com- petenti. 1l presidente presenta, a nome del Consiglio direttivo, un progetto finanziario allo scopo di procurare il fondo necessario per trasformare la So- cietà in ente morale. Il progetto consta dei seguenti articoli: Art. 1°— Allo scopo di costituire un fondo straordinario, da servire come capitale necessario alla trasformazione della Societ à in ente morale, saranno emesse 400 azioni di L. 10 ciascuna. Art. 2° — Le azioni sono nominative e potranno essere acquistate s0- lamente dai soci. Art. 3° — Il capitale raccolto non potrà essere adibito ad altro scopo, nè potrà essere investito in impieghi aleatorii, ed i suoi frutti sino al ter- mine stabilito per cominciare il sorteggio saranno invertiti in tante azioni. Art.. 4° — Le azioni non danno dritto ad interesse. Art. 5° — Esso sono sorteggiabili annualmente. Il sorteggio comin- ° cerà quando saranno collocate almeno 200 azioni. Art. 6° — Il numero delle azioni da sorteggiare sarà determinato, anno per anno, dall’ammontare del frutto del capitale raccolto. Art. 7° — Il sorteggio sarà fatto nel gennaio di ciascun anno fra tutte le 400 azioni. Quelle sorteggiate saranno annullate. Art. 8° — L'ammontare delle azioni sorteggiate e non collocate andrà a far parte del capitale da costituire. Art. 9° — Questo capitale sarà amministrato dal Presidente, dal. Se- gretario, dal Cassiere e da 4 socii eletti, anno per anno, dall’assemblea. Art. 10° — Le spese per l’attuazione di questo progetto e per l’am- mimistrazione di questo capitale saranno a carico del bilancio sociale. Tale progetto; dopo larga discussione è approvato. > UA — Sono ammessi ad unanimità socii ordinari residenti, i sig. Cosimo Pa- ratore e Francesco Valenziano. Il presidente riferisce sulla gita fatta dalla Società nel Bosco degli Astroni. Si leva la seduta alle ore 16. Tornata ordinaria del 24 Luglio 1904 Presidente: Geremcca M.— Segretario : Curoro A. Socii presenti: Pierantoni, Monticelli, Tagliani, Abati, Annibale, Bruno, di Paola, Leuzzi, de Rosa. Si apre la seduta alle ore 14. Segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Bruno legge una nota Sulle difese foliari della Dactylopetalum Bateri e ne chiede la pubblicazione. Geremicca legge una nota del socio Paglia: Considerazioni biolo- giche sulla struttura della Salicornia herbacea e ne chiede la pubblicazione. Fanno osservazioni in vario senso i socii de Rosa, Tagliani, Monti- celli, Leuzzi, e si delibera di comunicarle all’autore. Annibale legge un suo lavoro su I? clima di Napoli nell’anno meteo- rologico 1902-9038 e ne chiede la pubblicazione. Leuzzi legge: Se vi sieno due foglietti o due strati nella dura madre cranica, come sieno in essa distribuite le fibre elastiche e come in essa decorre l arteria meningea media, e ne chiede la pubblicazione. Monticelli legge un articolo dell'avv. Zabban sull’Osservatorio Vesu- viano, esponente le stesse idee già propugnate al riguardo dalla Società di naturalisti. Si leva la seduta alle ore 16.15. Tornata ordinaria del 14 Agosto 1904 Presidente: Geremicca M.—Segretario: CuroLo A. Socii presenti: Piccoli, Tagliani, de Rosa, Rippa, Ammibaie, Praus, Pellegrino, Morgera, Bruno, Cerruti, de Franciscis, Bellini, Distaso, Caroli. Si apre la seduta alle ore 14. Segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Si approvano i processi verbali del 26 giugno e 24 luglio 1904. Rippa legge: Su di alcuni nuovi casi di teratologia vegetale e ne chiede la pubblicazione. PSPone: — Bruno legge un Primo contributo intorno alle ghiandole cutanee della Rana esculenta e ne chiede la pubblicazione. Legge inoltre per conto del socio Romano F.: Alcune ricerche citolo- giche sul nevrasse del Colombo e ne chiede la pubblicazione. Pellegrino legge: Sopra una speciale disposizione della sostanza mi- dollare nella capsula surrenale e ne chiede la pubblicazione. Piccoli legge: Su di un apparecchio per determinare volumetricamente il peso specifico e ne chiede la pubblicazione. I socii Tagliani e Praus fanno alcune osservazioni sul lavoro del socio Bellini, letto nella tornata del 15 maggio scorso, e ad essi l’ autore dà ampii chiarimenti. Sono ammessi ad unanimità socii ordinarii residenti i signori Bernar- dino Pirelli e Vincenzo Pettrilli. Si leva la tornata alle ore 16, 15. Tornata ordinaria del 20 Novembre 1904 Presidente: Grremicca M.— Segretario : Curoro A. Socii presenti: Aguilar, Trani, de Rosa, Monticelli, Balsamo, Abati, de Franciscis, Pirelli, Pellegrino, Bruno, Marcucci, Modugno, Morgera, Police, Leuzzi, Annibale. Si apre la tornata alle ore 14. Segretario presenta le pubblicazioni pervenute in dono. Si approva il processo verbale del 14 agosto 1904. Trani legge: Su la Pirata piraticus e ne chiede la pubblicazione. Geremicca legge per conto del socio Marcello: Sopra alcuni casì di teratologia vegetale e ne chiede la pubblicazione. de Franciscis riferisce sul risultato del referendum intorno alle pro- poste fatte dalla Società per l’ insegnamento delle scienze naturali nelle scuole secondarie. Il Presidente comunica che, in seguito alle dimissioni del cassiere Cutolo E., il Consiglio direttivo ha dato l incarico della cassa al socio Trani. Su proposta de Rosa si vota un voto di plauso al cassiere Cutolo E. per l’opera da lui lungamente e saviamente prestata nell’interesse della Società. Si leva la seduta alle ore 16,45. ZO = Assemblea generale del 18 Dicembre 1904 Presidente: Geremicca M. — Segretario: Curoro A. Socii presenti: Aguilar, Bruno, de Franciscis, Quintieri, Trani, Mon- ticelli, Pierantoni, de Rosa, Forte, Piccoli, Morgera. Si apre la tornata alle ore 13,50. Geremicca legge per conto del socio di Paola: Fenomeni geo-fisici osservati durante Vattività esplosiva del Vesuvio nel Settembre 1904 e ne chiede la pubblicazione. Aguilar legge: Su di uno sprofondamento avvenuto alla Solfatara di Pozzuoli e ne chiede la pubblicazione. de Franciscis continua l'esposizione sul risultato del referendum in- torno al progetto della Società per le modificazioni dell’insegnamento delle scienze naturali nelle scuole secondarie. Si delibera che la relazione venga stampata e diffusa e che sia pre- sentata al Ministro della P. Istruzione. Si delibera di studiare la questione dell’insegnamento della Geografia e si affida al Presidente la nomina di una commissione apposita. L'Assemblea piglia atto della seguente deliberazione sul funzionamento del Consiglio direttivo « Eccettuate le mansioni del Presidente e del Segretario, al quale è « anche affidato l'Archivio, il lavoro del Consiglio direttivo è distribuito « in 5 carichi: Economato e Cassa, Biblioteca, Bollettino , Conferenze, « Escursioni. I detti carichi sono ripartiti di comune accordo fra il vice « presidente ed i 4 consiglieri, assumendone ciascuno la piena responsabi- lità innanzi al Consiglio. Oltre al Cassiere ed al Bibliotecario, potranno « essere scelti, tra i socii, coadiutori di fiducia del Consiglio, per il mi- « gliore svolgimento dei singoli carichi. Per mancanza di numero legale , la elezione delle cariche è riman- data ad altra tornata. Si leva la seduta alle ore 16. A. CuroLo CONSIGLIO DIRETTIVO PER L’ ANNO 1905 De Rosa Francesco Presidente Capobianco Francesco Vice-Presidente Abati Gino Anile Antonino Cutolo Enrico De Franciscis Ferd. Pierantoni Umberto Segretario '. Consiglieri Aguilar Eugenio Bibliotecario Trani Emilio Cassiere im i t (I Pali NES Me Te N Pine ar Aida, Wai der erre let) dig; dvn toni: da Ada. Fani Vai» Amon a Hand w Luponio 1 a dg AD Ai Satie: pate: I TT pars: Praia; COITI ti ‘imaianoa ol e) aser l sla "% QaD: fidano guri jade rtl MNM i IA TL: I 7 si \ î ro: Lei LAS li Tei Lapidi A l'at, 056 refer lait oi ne bri; Ò tha Fa ars SE D Vedi nf fa Gi tall rr nt uit Ml SETTA ve. #44); 0 sù : i dI t; veto MERE Lai l'aa cid fs; Pi rl nina soreraldlogut)’ & " SRI e | ara I DI oa. Re i» i dl PST, n mumi na lap finte e of aiaihi smaltati, Dieci dr o E Sento th t_ ME: Rip rsadÈ ara eta li ia reni Dept 4 ° : ( A. | Nur state oh fap d- di MERI : sita velto ho io | idv TIVAVRIA Ta SIONE CITTIT ult nl Ain NO i e Um ti (iva cigno dà der "SUSE Me 7 LE batti to sitio (RS LT Stragi, "f Li memazen Wire STR) sol pe ECRENCO?DEI: SOCITI (81 dicembre 1904) —_— SOCII ORDINARII RESIDENTI . Abati Gino — Istituto di Chimica Farmaceutica, R. Università. . Amato Carlo — Via Tribunali, n. 339. . Anile Antonino — Istituto Anatomico (Santa Patrizia). . Annibale Ernesto — Gabinetto di Meteorologia, R. Università. . Balsamo Francesco — Vico Avvocata a Foria, n. 5. . Bassani Francesco — Museo dì Geologia, R. Università. . Cabella Antonio — Istituto Chimico, R. Università. . Cannaviello Enrico — Pignatelli, n. 15. . Capobianco Francesco — Sapienza, n. 18. . Cerruti Attilio — Via Medina, n. 1. . Cesarò Salvatore — Vico Berio, n. 2. . Cutolo Alessandro — Via Roma, n. 404. . Cutolo Enrico — Via Roma, n. 404. . Damascelli Domenico — Corso Vitt. Emanuele, n. 440. . De Blasio Abele — Rosariello alla Stella, n. 96. . De Franciscis Ferdinando — San Gennaro ad Antignano, n. 16. IT, . De Rosa Francesco — Via S. Lucia, n. 64. . D’ Evant Teodoro — Piazza Municipio, 84. . Di Ciommo Giuseppe — Istituto di Fisica, R. Università. . Di Gaetano Mariano — Vico Gigante, n. 28. . Di Lorenzo Giuseppe — Istituto di Mineralogia, R. Università. . Di Paola Gioacchino — Vico 2° Foglie a S. Chiara, n. 12. . Fittipaldi Emilio Ugo — Trinità delle Monache, n. 33. . Forte Oreste — Via Monteoliveto, n. 37. . Franco Pasquale — Corso Vitt. Emanuele, n. 397. 27. 28. 29. . Jatta Mauro — Direzione di Sanità, Roma. . Leuzzi Francesco — Mergellina, n. 174. . Massa Francesco — Via Fuori Portamedina, n. 20. . Milone Ugo. — Piazza Cavour, n. 168. . Monticelli Francesco Saverio — Ponte di Chiaia, n. 27. Della Valle Antonio — Via Salvator Rosa, n. 259. Filiasi Emanuele — Riviera di Chiaia. Geremicca Michele — Via del Duomo, n. 242. Giangrieco Angelo — R. Scuola Veterinaria. MIO E 35. Oglialoro-Todaro Agostino — Istituto Chimico, R. Università. 36. Pansini Sergio — Ospedale Clinico Gesù e Maria. 37. Patroni Carlo — Istituto Zoologico, R. Università. 38. Petitti Vincenzo — Via Sansevero, n. 3. 39. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, n. 27. 40. Paratore Cosimo — Via Luigi Settembrini, 68. 41. Petrilli Vincenzo — Vico Gagliardi, n. 12. 42. Pirelli Bernardino — Via Settembrini, 42. 43. Quintieri Luigi — Palazzo Angri. 44. Ricciardi Leonardo — Via Guglielmo S. Felice. 45. Rippa Giovanni — R. Orto Botanico. 46. Scacchi Eugenio — Museo Mineralogico, R. Università. 47. Tagliani Giulio — Istituto Zoologico, R. Università. 48. Tangari Filippo — Villa Quagliuolo, Posillipo. 49. Trani Emilio — Istituto Zoologico, R. Università. 50. Vastarini Cresi Giovanni — Corso Vittorio Emanuele, n. 440. 51. Viglino Teresio — Piazza Dante, n. 41. 52. Valenziano Francesco — Via Ferrara al Vasto, 20. — 2651 — SOCII ORDINARI NON RESIDENTI . Aguilar Eugenio — Via Paradiso alla Salute, n. 39, Napoli. . Barile Giovanni — Via Bernini al Vomero, n. 25, Napoli. . Barrese Vincenzo — R. Scuola di Agricoltura, Portici. . Bologna Raffaele — Via Sapienza, n. 51, Napoli. . Bellini Raffaello — R. Scuola Tecnica, Chivasso. . Bruno Alessandro — Via Bari al Vasto, n. 80, Napoli. . Calabrese-Milani Anna -- R. Scuola Normale, Avellino. . Capozzoli Rinaldo — Aquara (Salerno). Caroli Ernesto — Gabinetto d'Istologia, R. Università, Napoli. . D'’Adamo Antonio — Via Vergini, n. 19, Napoli. . Dal Poggetto Ugo — Salita Stella, n. 15, Napoli. . D’Avino Antonio — Liceo, Nocera Inferiore. . Distaso Arcangelo — Cavone a Piazza Dante, n. 70, Napoli. . Di Tullio Eduardo — Santa Teresella a Chiaia, n. 1, Napoli. . Diamare Vincenzo — R. Università di Perugia. x nofrio Angelo — Liceo di Conversano. D'Onofrio Angelo — Li € s . Falciani Adolfo — Via Roma, 406, Napoli. . Foà Jone — Vic edina, 9. Napoli. Foà Jone — Vico Medina, 9. Napol . Garetti Luigi — Via Beaumont, 3. Torino. . German uardo — Ospedale Clinico, Napoli. Germano Eduardo — Ospedale CI , Napol . Giglio Giuseppe — Vico II Port. S. Tommaso d’ Aquino, n. 15 Napoli. . Grimaldi Clemente — Modica (Siracusa). . Guerriero Angelo — Via Consolazione, n. 10, Napoli. . Jatta Antonio — Ruvo di Puglia. . Marcello Leopoldo — Via Balzico, n. 91, Cava dei Tirreni. . Mafcucci Ermete — Gabinetto di Anatomia Comparata, R. Università, Napoli. . Mascolo Guglielmo — Cava dei Tirreni. . Mazzarelli Giuseppe — Museo civico di storia naturale, Milano. . Modugno Giovanni — S. Cristofaro all’ Olivella, 40. Napoli. . Morgera Arturo — Via Duomo, n. 125, Napoli. . Motta-Coco Alfio — Via Etnea, n. 198, Catania. . Paglia Emilio — Sessa Aurunca. . Parlati Luigi — Salita Stella, n. 10, Napoli. . Pellegrino Michele — Via Nazionale, n. 12, Napoli. . Piccoli Raffaele — Istituto Tecnico, Caserta. . Police Gesualdo — Cucciottoli, n. 16 (Vomero), Napoli. . Praus Carlo — Casandrino (Aversa). . Raffaele Federico — R. Università, Palermo. . Romano Pasquale — Via Porta Medina, n. 44, Napoli. . Romano Francesco — Istituto d’Istologia, R. Università, Napoli. . Rossodevita Giovanni — Wia Pietro Trinchera, n. 2, Napoli. ue 42. Russo Achille — R. Università, Catania. 43. Sacchetti Gustavo — Cervaro (Caserta). 44. Savastano Luigi — Vico Equense. 45. Tagliani Giovanni — Via Vittoria Colonna, n. 26, Milano. 46. Vanni Giuseppe — Via Panisperna, n. 207, Roma. 47. Vigorita Domenico — Melfi. 48. Villani Armando — R. Scuola tecnica, Parma. 49. Zuppardi Enrico — S. Maria C. V. SOCII ADERENTI 1. Cutolo Costantino — Via S. Brigida, n. 39, Napoli. Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio (31 dicembre 1904) EUROPA Italia Acireale — Accademia di Scienze , Lettere ed Arti dei Zelanti e P. P. dello studio (Attî e Rendiconti). n Bologna — R. Accademia delle Scienze dell'Istituto (Rendiconti). Brescia — Commentari dell’ Ateneo. Catania — R. Accademia Gioenia (Bollettino e Memorie). Firenze — Archivio per l’Antropologia e l’ Etnologia. Società botanica italiana (Bollettino). Nuovo Giornale botanico italiano. Bullettino bibliografico della botanica italiana. Monitore zoologico italiano. R. Società toscana di Orticoltura (Bollettino). Società entomologica italiana (Bollettino). Genova — R. Accademia medica (Bollettino e Memorie). Museo civico di Storia Naturale (Annali). Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della r, Università (Bollettino). Rivista di Filosofia scientifica. Società ligustica. di Scienze naturali e geografiche (Atti). Rivista ligure di Scienze, Lettere ed Arti. Lodi — R. Stazione sperimentale del caseificio (Ammuario). Lucca — R. Accademia lucchese (Att). Messina — La Rassegna tecnica. Milano — Società Italiana di Scienze naturali e Museo civico di Storia naturale (Atti). Napoli — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche (Memorie, Rendiconti ed Annuario). Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli. Padova Palermo Perugia Pisa Portici Roma Rovereto- Sassari Siena Torino Trieste Venezia Ba — Associazione napoletana di Medici e Naturalisti (Gior- nale). Bollettino dell'Ordine dei Sanitarii di Napoli e Pro- vincia. GI Incurabili. IL’ Appennino meridionale (Bollettino). Zoologischen Station zu Neapel (Mittheilungen). L'Italia orticola. — Rassegna tecnica ed economica. Annali di nevrologia. - Rivista agraria. — R. Stazione bacologica (Annuario). La nuova Notarisia. __ Il Raccoglitore. — Il Naturalista siciliano. Giornale del Collegio degli Ingegneri agronomi. “— Annali della Facoltà di medicina e Memorie della Accademia medico-chirurgica. — Società toscana di scienze naturali (Memorie e Pro- cessi verbali). — R. Scuola superiore di Agricoltura (Arnuario e Bol- lettino). — R. Accademia dei Lincei (Rendiconti). R. Accademia medica (Bollettino ed Atti). R. Comitato geologico italiano (Bollettino). Ministero di Agricoltnra (Bollettino ed Annali). Laboratorio di Anatomia normale della R. Università (Ricerche). Annali d’ Igiene sperimentale. Accademia pontificia dei Nuovi Lincei (4/7). Società zoologica italiana (Bollettino). — Accademia degli Agiati (Att). — Studi sassaresi. — Rivista italiana di Scienze naturali. Bollettino del Laboratorio ed Orto botanico. — R. Accademia delle Scienze (Att). Club alpino italiano (Rivista e Bollettino). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della r. Università (Bollettino). — Museo civico di Storia naturale (Att). Società adriatica di Scienze naturali (Bo//elt2m0). — L'Ateneo veneto. Barcelona Madrid Zaragoza Lisboa Cherbourg Langres Montpellier Nancy Nantes Paris Vienne (/sère) Bruxelles Louvain — 255 — Spagna — Instituciò catalana d’Historia natural (Bullletò). — Sociedad espaîiola de Historia natural (Anales y Bo- letin). — Sociedad aragonesa de Ciencias naturales (Boletin). Portogallo — Broteria—Revista de Sciencias naturaes do Collegio de S. Fiel. Francia — Société nationale des Sciences naturelles et mathé- matiques (Mémoires). i — Societè de Sciences Naturelles (Bulletin). — Société d’Horticolture et d’Histoire naturelle de 1’ Hé- rault (Annales). — Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy de la Haute Marne (Bulletin des séances). Bibliographie anatomique. - Société des Sciences naturelles de l’ovest de la France (Bulletin). — Bulletin scientifique de la France et de la Belgique. Journal de l’Anatomie et de la Physiologie de l'homme et des animaux. Société zoologique de France (Bulletin et Mémoires). Muséum d’Histoire naturelle (Bulletir). La feuille des jeunes Naturalistes. Gazette médicale de Paris. — Société des Amis des Sciences Naturelles ( Bulletin). Belgio — Société royale malacologique de Belgique (Annales). — La Cellule. — 256 — Germania Berlin — Bericht iber die Verlagsthitigkeit. Naturae novitates. Botanische Verein der provinz Brandeburg ( Verhand- lungen). Index der gesammten chemischen Litteratur. Bonn — Naturhistorischen Vereines-der Preussischen Rhein- lande und Westfalens ( Verhandlungen). Niederrheinischen Gesellschaft fiir Natur-und Heil- kunde (Siteungsberichte). Leipzig — Zoologischer Anzeiger. Giistrow — Verein der Freunde der Naturgeschichte in Mecklen- burg (Archiv). Svizzera Chur — Naturfoschenden Gesellschaft Granbiinden’s (Jahres- bericht). Zurich — Societas entomologica. Austria Wien —.K. K. Naturhistorischen Hof-Musenums (Annaler). Zoolog. botan. Gesellschaft ( Verhandlungen). Prag — Ceska akademie cisare Frantiska Josefa pro vedy slovenost. a umeni (Pubblicazioni). Inghilterra Cambridge — Philosophical Society (Proceedings and Transactions). London — Royal Society (Proceedings and Obituary notices). Plymouth — Marine biological Association of the United Kingdom (Journal). Svezia Upsala - Geological Institution of the University of Upsala ( Bulletin). Kiew Moscou Tiflis Madras Tokyo Montevideo Asuncion — 257 — Russia — Société des Naturalistes (Mémoires). — Société impériale des Naturalistes (Bulletin). — Giardino botanico (Lavori) ASIA India — Government central Museum (Pubblicazioni). Giappone — Annotationes zoologicae japonenses. AMERICHE Uraguay — Museo nacional (Anales y Comunicaciones ; Seccion historico-filosofica). Paraguay — Revista de Agronomia y de Ciencias aplicadas— Boletin de la Escuela de Agricultura de la Asun- cion del Paraguay. Repubblica Arcentina Buenos Ayres — Museo nacional (Anales y Comunicaciones). Revista farmacéutica — Organo de la Sociedad na- cional de Farmacia. agi ga Chili Santiago — Deutch. wissenschaft. Vereins ( Verhandlungen). Société scientifique du Chili (Actes). Valparaiso — Revista chilena de Historia Natural. Colombia Bogotà — El Agricultor. — Organo de la Sociedad de los Agri- cultores colombianos. Costa-Rica San José — Museo Nacional (Anales). Messico Messico — Sociedad cientifica « Antonio Alzate » (Memorias y Revista). La Naturaleza. — Periodico cientifico de la Sociedad mexicana de Historia natural. Institùto geològico ( Boletin, Parergones). Stati Uniti Boston — Society of Natural history (Proceedings). Chapell Hill Elisha Mitchel scientific Society (Journal). Chicago — Academy of Sciences (Bulletin and Annual report). Madison (Wisconsin) — Academy of Sciences, Arts and Lettres (Tran- sactions). Wisconsin geological and natural History Survey ( Bul- letin). Minneapolis (Minnesota) — Minnesota botanical studies (Bulletin). The Geological and natural History Survey of Mim- nesota Zoological series. — Reports of the Survey Botanical Series. Missoula (Montana) — Bulletin ot the University gf Montana | Biological and Geological Series). Philadelphia — Academy of Natural Sciences (Proceedings). 2°) Saint-Louis — Academy of Science (Transactions). Missouri botanical garden (Annual report). Washington — United States Geological Survey (Annual report). U. S. Department of Agriculture. — Division of Or- nithology and Mammalogy (Bulletin North Ame- rican Fauna). U. S. National Museum (Bulletin). Smithsonian Institution (Annual report). U. S. Department of agriculture (.Jeardook). U. S. Department of agriculture. — Bureau of ani- mal industry (Annual reports). Canadà Halifax — Nova Scotian Institute of science. è | dun ha Nabte | - auntintigà To imita gii 3 Pb ipo atollo Pegi Ki) aodantgal: gi Zngrs rl cl i _ MA MENTO: ne Ve MT si È Abana) vazenine Re ampia bio ato — Li A hs £ LP r . ) - è ; 6 fe . Di . ? pi è x A Di n xa SN f ur: quis i di SAI i Ù È hurt a i F SA LL î A n LAP “ è 12 Tad | ,® : ra i vi Ù =» si È i 7. s! Tie Sd, Az DE n° Li x x fs i ; ui lè sin lalla ì fi (Ape te bad Lo] PUBBLICAZIONI PERVENUTE IN DONO (31 dicembre 1904) A, — Sul tabacco da fumo. — Napoli, 1844. (Dono del î Socio Aguilar). AnnIaLe E. — Il clima di Napoli nell’anno meteorologico 1902- 903 — Napoli, 1904. (Dono auti.). — Annual report of the board of public Education. — Philadelphia, 1874. (Dono Monticelli). — Appunti di Zoologia — Napoli (Dono Monticelli). Bakunin S. — Sulla evoluzione delle funzioni embrionali — Napoli, 1894. (Dono Monticelli). » — Sulla attività secretiva degli epiteliù. 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L'insegnamento delle scienze nelle nostre scuole secondarie corre grave pericolo! In un progetto di legge d’ iniziativa parlamentare , presen- tato dagli on. Morandi, G. Baccelli e Rubini, su la riunione di cattedre nelle scuole medie, e che trovasi già in discussione ne- gli Uffici della Camera, — pur di ridurre al minimo il numero degl’insegnanti, — sono inflitte alle materie scientifiche decapita- zioni ed umiliazioni d'ogni sorta. In questo progetto, che ben potrebbe intitolarsi « su la de- pressione della cultura scientifica », le scienze naturali sono più delle altre malmenate; ed è per ciò che la Società de’ Naturali- sti,-la quale per altre tentate o perpetrate offese al decoro della scienza ha fatto sentire la sua voce, modesta ma libera, —anche questa volta, innanzi ad una minaccia che potrà divenire ben presto un fatto compiuto, sente il dovere di levare alto un grido di protesta. E, per fare che la sua voce esca fuori dal ristretto ambito della cerchia consueta, ha convocato in largo numero pro- fessori e studiosi di scienze ed ha affidato a me il compito di far considerare agl’intervenuti la gravezza della cosa. È risaputo come già da tempo quelli che dirigono la eter- na discussione sulla riforma della Scuola secondaria in Italia vo- gliano far prevalere il concetto, che in un riordinamento delle materie di cultura generale debbano le scienze cedere il campo alle lettere; e non potendo essi avere pieno il coraggio di sop- primerle del tutto nell’insegnamento medio, si sforzano a rele- garle nell'ultimo posto. — 272 — Così appunto in un progetto di riforma scolastica, che il mi- nistro Nasi, prima di presentarlo alla Camera, fece scappar fuori, a sondare l opinione pubblica, sotto forma d’indiscrezione gior- nalistica, le scienze naturali ebbero assegnato, nella tanto attesa nuova scuola di coltura generale, l'umile ufficio di ancelle. Fu allora che la nostra Società, dopo maturo studio, mise fuori un « memorandum » !) e lo diffuse largamente fra quanti in Italia più s’ interessano della Scuola, chiedendo loro adesioni e critiche. Sono venute numerose queste e quelle , e mentre si era intenti a coordinarle per rafforzare il voto e la proposta che abbiamo deciso di presentare al Ministro, perchè ne tenga conto in una eventuale riforma dell’insegnamento secondario, ecco so- pravvenire improvviso questo progetto di legge; il quale, col- pendo a morte lo studio elementare delle scienze, induce pro- fondo scoramento nell'animo di tutti quelli che amano davvero la Scuola e la desiderano grande, nobile, efficace. * Analizziamolo pur brevemente questo progetto e solo—la nostra Società tiene moltissimo a dichiararlo forte—nell’interesse della cultura scientifica; e ricordiamoci in primo luogo che esso è nato dal connubio delle lettere con una scienza soprassatura di classicismo. A me sembra in verità che i signori letterati, nella fonda- mentale questione dell’orientamento da dare alla cultura generale, si lascino guadagnar la mano dallo spirito di classe. Essi, chiu- dendo gli occhi per non essere abbagliati dalla vivida luce che spande tutt’ intorno l’astro sfolgorante della scienza, s’intestardi- scono a proclamare, che le lettere hanno un valore educativo su- periore a quello delle scienze. Ma che cosa sono le lettere? vorrei loro domandare. Non vi accorgete che se dalla migliore produzione letteraria d’ogni tempo togliete il qualunque contenuto scientifico che possiede, cioè quel tanto di realtà che in fondo sempre vi sì annida, ren- dete scialba una gran parte di essa ? E, d’ altra via, come fate a negare i nuovi e sconfinati orizzonti che la scienza moderna ha schiuso all’arte? 1) « Per l’ insegnamento delle scienze naturali nelle scuole secondarie ». Considerazioni e proposte della Società di Naturalisti in Napoli, approvate nella tornata del 10 maggio 1903. Boll. della Soc. dì Naturalisti în Napoli, vol. XVII (1903), Napoli, 1904, p. 289. EC Ma che cosa è mai quel letterato la cui mente non è irra- diata dalla scienza ? E se a tanto si aggiunga, che la cultura dell’uomo moderno dev'essere armonizzata alle conoscenze dell’oggi,—chè altrimenti non s’ intenderebbe la vita che ci circonda e noi saremmo, in mezzo al progresso che incalza, fossili ambulanti,—non v'è chi non vegga, come la scuola moderna debba per lo meno dare ugua- le posto all’imsegnamento scientifico ed al letterario. E ciò senza considerare il grande ed indiscusso valore dell'educazione scien- tifica nello sviluppare e perfezionare lo spirito d’osservazione. * ® # Lasciamo però da parte ogni altra considerazione generale e facciamoci ad esaminare i pochi articoli del progetto, studian- doci di evitare che il soverchio amore ai propri convincimenti sia di velo alla serenità del giudizio. L'art. 1° dispone che « tutte le cattedre indicate in questa « lege, di mano in mano che rimarranno vacanti. . . .... «+00 4 + + +... non verranno più coperte definitivamente, « sinchè non siano riunite secondo le norme dei seguenti arti- « colì, » Dalle quali parole si rileva il danno grandissimo. che questa legge apporterebbe a quei modesti studiosi, che, insegnan- do nelle scuole secondarie, trovano, tra le ristrettezze della vita, pur modo di lavorare e produrre ed arrecano nel tempo stesso beneficio a sè ed alla scienza che coltivano. D’ ora innanzi essi dovranno lavorare fino all'esaurimento. Essi son pagati per la scuola e alla scuola debbono sacrificare tutte le loro forze. Nulla debbono sottrarre alla scuola per migliorare sè stessi: nulla che li possa un giorno far sedere ad una cattedra più clevata e ad un desco meno squallido! Quelli frattanto che si trovano nell’insegnamento ufficiale si dichiarino fortunati. Ce ne vorrà del tempo, prima che ad altri insegnanti di scienze tocchi la stessa fortuna ! Ma, se questa legge tanto chiede, a che mantenere scuole di magistero e facoltà scientifiche? A che conferire diplomi e gradi accademici, per un insegnamento che non si avrà modo di eser- citare ? Ed ecco svanite tante speranze di giovani prossimi a con- seguire il sospirato diploma di laurea o che, laureati già, ora o da tempo, aspettano, tra un concorso e l’altro, l’agognata cattedra ! 18 Se questo progetto di legge non si prefiggesse esclusivamente di realizzare una economia per migliorare apparentemente le sorti degl’ insegnanti, dicendo loro: siate pochi,—non importa poi se lavorerete molto e come,-—e raggiungerete per tal modo con mi- nor lentezza il culmine della carriera;—la qual cosa non signifi- ca che si consegua il necessario per vivere ;—se questo progetto di legge guardasse anche un poco agl’interessi veri della scuola e alle sorti della coltura nazionale, le cui radici traggono appun- to il primo nutrimento dalla scuola secondaria, ci domanderem- mo com'è che, occupandosi di rimaneggiamenti e modificazioni dell’attuale ordinamento scolastico, non si dia fimalmente ascolto alla voce del buon senso e non si spogli la scuola media di tutto ciò che non le appartiene e che solo il succedersi di avveni- menti ad essa estranei le hanno imposto. E ciò, leggendo le prime disposizioni contenute nell'art. 2° e riguardanti, tra i diversi or- dini di scuole, l'insegnamento tecnico. Riconosciamolo, o Signori; l’attuale Istituto Tecnico è una istituzione ibrida, un aggregato di scuole professionali, che vanno dalla ragioneria alla nautica, dall’agrimensura al commercio, dalla tecnologia all'industria, ognuna delle quali è fine a sè stessa, e tenute in compagnia di una sezione fisico-matematica, che è di preparazione esclusivamente ad alcuni pochissimi studii profes- sionali. È ormai nella coscienza di tutti gli studiosi del problema scolastico la necessità di una radicale riforma. In un razionale ordinamento della scuola secondaria, l’attuale congerie degl’ Isti- tuti Tecnici dovrà trasformarsi in istituti professionali specializ- zati, dipendenti dai ministeri cui per la loro indole potranno ri- ferirsi, e l’attuale sezione fisico-matematica dovrà essere trasfor- mata in iscuola media a tipo moderno , istituzione parallela ad una scuola media a tipo classico, ambo conducenti, ma ognuna per la sua via, all’ Università ed agl’Istituti Superiori, senza le viete distinzioni e restrizioni che oggi inceppano l’operosità del pensiero. Frattanto la cultura scientifica negl’ Istituti Tecnici è an- ch’essa seriamente minacciata, come rilevasi dall'art. 2°. Un solo professore dovrà insegnare dritto civile, commerciale e amministrativo, economia politica, scienza finaziaria, statistica curi e legislazione rurale ; sette materie, quasi tutto lo scibile g TSO — dico ed amministrativo, nelle sue più svariate applicazioni, fra cui non ultima la legislazione rurale. Nè miglior trattamento è fatto alle altre discipline. Un sol professore dovrà insegnare costruzioni, disegno di costruzioni, geometria descrittiva ed estimo urbano; uno solo disegno e cal- ligrafia. E parimenti un solo dovrà insegnare agraria, computi- steria agraria ed estimo rurale: apparentemente tre materie, ma di fatti tutta I enciclopedia rurale. E dagl’istituti tecnici passiamo ai nautici. In verità non si capisce che relazione abbiano le lettere e la medicina con la nautica. Ma, intanto, gl’ illustri proponenti di questa legge sentenziano senz'altro, che negl’ Istituti Nautici sa- ranno a cinque professori affidate quattordici cattedre. Fra i cinque aggruppamenti proposti, mi fermo solo a considerare il conglomerato italiano, geografia commerciale e storia, come quello dei più ibridi che immaginar si possa mai. Chi non riconosce di fatti la grande importanza che do- vrebbe avere lo studio della geografia commerciale in un istituto nautico, dove si mettono le basi appunto di quella cultura che giustamente deve richiedersi in un capitano della marina mer- cantile ? E che relazione hanno potuto essi scorgere tra l'italiano e la geografia commerciale? * Ed eccoci al punto che più direttamente ci riguarda. Nelle scuole tecniche, —in quest'altro ibridismo dell’ odierno ordinamento scolastico italiano, -——un sol professore dovrà insegnare matematica e scienze fisiche e naturali. Facendo l’ipotesi che il primo requisito in chi deve insegnare sia la competenza nella di- sciplina che insegna, sorge spontanea la domanda: Questo inse- gnante al quale verrà affidato il triplice compito dovrà essere un professore di matematica, uno di fisica o un professore di storia naturale ? Dovrà essere uno e trino! Un laureato in matematiche pure, di fisica e chimica, — lo sanno tutti, conosce solo quel pochino che ha dovuto studiare a scopo di cultura complementare pel conseguimento della sua laurea, e di storia naturale nulla, perchè nessun ramo di questa vasta disciplina si fa studiare ai laureandi in matematica. Nel caso poi che sì tratti di un professore di matematica laureato in ingegneria, — come spesso se ne trovano nelle scuole tecni- Lo «ZIO che, — le condizioni non muteranno di molto. Potrà egli co- noscere anche un po’ di mineralogia e di geologia petrografica e stratigrafica, ma dovrà confessare la sua piena incompetenza nelle scienze biologiche. Non discuto l’altro caso, quantunque non raro, di un insegnante di matematica sfornito di laurea, perchè il suo titolo di abilitazione legalizza, puramente e semplicemente, la competenza d’ insegnare quel tanto di matematica che è ri- chiesto dal grado della scuola al quale si’ riferisce. Donde rilevasi, che un professore di matematica altro non può insegnare con serietà ed efficacia, che la sola matematica. In condizioni relativamente migliori si troverà il laureato in fisica. È risaputo infatti come per conseguire la laurea in fisica bisogna fare un corso di matematiche molto ben nudrito, appena inferiore a quello dei laureandi in matematica. Di modo che un professore di fisica insegnerà bene anche la matematica, non così la storia naturale, e specialmente la parte biologica: e di ciò per convincersi basta guardare l'elenco delle materie, che sono richie- ste per la laurea in fisica. Dalle quali considerazioni si deduce che non il professore di matematica, nè quello di fisica possono insegnare con serietà, cioè con competenza, la Storia Naturale. Nè si opponga che, trattandosi di nozioni molto elementari, può supplire alla deficienza di studii fatti di proposito 1’ impa- raticcio imbastito volta per volta; perchè, — a parte il discredito in cui cade l’imsegnante innanzi alla scolaresca intelligente, quando non può dissimulare la sua ignoranza, l'insegnamento così fatto produce molto più male che bene, come quello che semina a larga mano nelle menti giovanili idee false, concetti vieti, defi- nizioni erronee, che 1 insegnante improvvisato, nella ingenuità della sua incompetenza , 0, peggio ancora, nella sicumera della sua ignoranza, ha racimolato in libri, di cui non può giudicare il valore. È vano illudersi, o Signori, nella falsa credenza, che per in- segnare le nozioni elementarissime di una scienza basta avere di essa una conoscenza superficiale. Le nozioni elementari, per es- sere veramente tali, debbono consistere nelle idee fondamentali della scienza. Molti ancora vi sono, i quali scambiano con le no- zioni elementari le causerzes superficiali da salotto. Queste hanno lo scopo di adornare la mente di una vernice policroma, quelle dovrebbero avere il compito d’inicidere nella mente del giovane i capisaldi della scienza, in modo che egli, volendo o dovendo, possa servirsene come corredo sussidiario o come fondamento va- CRI — lido di più sviluppate o più minute conoscenze della stessa scienza. E fino a quando questo concetto di sana didattica, in mezzo a tanto scalpore di dottrine pedagogiche, non diventerà coscienza di coloro che reggimentano la cultura nazionale, le scuole, co- munque inquadrate ed ordinate, faranno opera vana, camuffando l'ignoranza con la veste del sapere. Come non bastasse la creazione di un professore di matema- tica, fisico-chimica e storia naturale, questo non lodabile progetto di legge ne inventa o ne conferma due, ancora più poliedrici, per quelle scuole che hanno la missione altissima di produrre gli educatori del popolo. È così nelle scuole complementari non unite alle Normali vi sarà il professore di matematica, computisteria, scienze fisiche (leggi fisica, chimica, storia naturale) e igiene, cioè un insegnante di sei materie, un saggio vivente di quei catechi- smi di tutte le scienze, che furono tanto in voga nel primo ven- tennio del secolo scorso, un professore, del quale a rappresentare la svariata dottrina, potremmo, in un quadro decorativo, collocare nel mezzo la matematica, che dà la sinistra alla computisteria e con la destra stringe insieme la fisica, la chimica, la multiforme storia naturale e la variegata igiene. Un po’ distante, in verità, l’igiene dalla computisteria! La tenuta dei libri commerciali e le norme per mantenersi sani, la scrittura doppia e i batterii pato- geni, la lettera di cambio e l'alimentazione razionale. Quale ridda turbinosa del pensiero ! Qualcuno potrebbe domandare: A qual professore verrà asse- gnato l’insegnamento di tante disparate materie? Ma non si preoc- cupi. Il progetto di legge non tiene nessun conto della compe- tenza dell’ insegnante; lo scopo si è, che un povero diavolo si sfacchini e si avvilisca, sotto l’obbligo d’insegnare sei materie co- munque messe insieme, e si trasformi in una macchina parlante di nuovo modello, tipo diciotto ore settimanali. * Nelle scuole complementari e Normali femminili il conglo- merato che si propone è meno caotico, per una certa parvenza di omogeneità : agraria, fisica, chimica, storia naturale e igiene. Si potrebbe intitolare , in questa piccola e graziosa università — 278 — femminile, facoltà di scienze naturali pure ed applicate. Ma una facoltà in cui non saranno a temere dissensi e bizze, perchè tutta concentrata in un solo professore, il quale innanzi alla sua co- scienza d’insegnante onesto non potrà essere titolare che di una sola cattedra. Sarà, secondo i casi, un professore di agraria che insegnerà, fra l’ altro, anche la fisica e l’igiene, o un pyofessore di fisica che, insieme alle altre materie, insegnerà V’agraria, o, fra le tante possibili combinazioni, un professore di nulla, che inse- gnerà tutto. Io credo intanto che nell’attuazione graduale della legge, per lo stato presente delle cose, il professore di agraria, intendo il laureato in iscienze agrarie — avrà la minore probabilità di rima- nere sulla breccia, e all’ agraria sarà serbata definitivamente in questa scuola la stessa sorte dell’ igiene: un insegnamento cioè solo di nome. Nè è da meravigliarsi molto, quando si consideri che in questo stesso progetto di legge si ha il coraggio di affi- dare l'insegnamento dell’ agraria, nelle scuole tecniche con indi- rizzo agrario , esclusivamente per incarico provvisorio , preferi- bilmente ad un professore della stessa o di materia affine. Se proprio in una scuola agraria si fa questo posto all’ agraria, è logico il trattamento che le vien fatto in una scuola normale, dove si educano non quelli che dovranno estrarre dai campi le ricchezze di una futura Italia industriale, ma appena, forse, i modesti coltivatori dei campicelli scolastici. Ed è pur vero che, adoperando spesso a sproposito certe pa- role, si finisce col travisarne il significato. Non a tutti è noto il significato vero della parola agraria. E però non sia vano il ripe- tere che I’ agraria non è una scienza sola, ma un complesso di scienze, la vera enciclopedia di tutte le scienze e di tutte le arti che insegnano a sfruttare direttamente o indirettamente la pro- duttività del terreno. Ond’è, che, anco a voler stringere tutto in una trattazione elementarissima, vi è bisogno di tempo e di co- noscenze pratiche, se non sì vuole che l’ insegnamento si riduca ad una burletta che disonori la scuola. Già sarebbe troppo a di- scapito della serietà di questa, attuandosi il progetto, la gaia pro- posta, nello stesso art. 2°, di un insegnante bino di francese e calligrafia. E veniamo alle scuole classiche , a queste tanto discusse e calunniate scuole classiche, In queste scuole, si dice, più che nelle altre, vi sono alcuni professori che lavorano poco e fruiscono dello stesso stipendio di quelli che lavorano molto. Per rimediare a questo sconcio, la soluzione più semplice e più equa, quella che avrebbe rispettato il decoro degl’insegnanti e la serietà della Scuola, e nello stesso tempo avrebbe eliminata la vera causa del dibattito, sarebbe stata di elevare lo stipendio ai professori che insegnano di più. L’ attuale progetto di legge ammanisce invece un rimedio ben diverso, che mentre disordina ancora più la già non molto ordinata scuola, non provvede a mi- gliorare quel gramo stipendio, che oggi non dà i mezzi di vi- vere, ma appena quelli di vivacchiare stentatamente. Voi, o professori delle scuole medie, invocaste una perequa- zione del lavoro, per ottenere, dai risparmii delle cattedre sop- presse, un maggior compenso ai vostri nobili sudori. Disilludetevi! Ponderando bene l’art. 9° di questo progetto, s'intende che il suo vero scopo si è di rimediare alla stasi che gli attuali ruoli del personale hanno prodotto nelle promozioni da classe a classe. Ed infatti, non provvedendo più alle vacanze che sì produrran- no nelle cattedre dei professori che lavorano poco e raggrup- pando queste cattedre in un solo insegnante, non vi sarà biso- gno per moltissimi anni di assumere nuovo personale e così verrà realizzata un’economia, che permetterà con minor lentezza il pas- saggio da una classe all’altra, facendo balenare altresì alla mente degli ultimi arrivati il miraggio di una rapida promozione a ti- tolare. Quanta miseria ! Lo stato italiano non ha voluto, o, diciamolo pure,— per la speciale ed unica condizione della patria nostra, -non ha potuto e non potrà liberarsi del grave peso della Scuola secondaria; e non sa, e non può escogitare che mezzucci , palliativi, irrisioni financo, per alleviare le povere sorti di un esercito di piccoli ed oscuri lavoratori, i quali, inseguendo un ideale o combattendo con la indigenza, vanno formando nelle scuole la coscienza della na- zione. D’oggi innanzi, mentre nel liceo il professore di lettere passa le lunghe ore nel commento dei classici e nella correzione dei compiti, vada il professore di fisica e quello di storia naturale e, più ancora, quello di filosofia peregrinando da scuola a scuola, da cattedra a cattedra, pur di raggiungere il massimo normale di diciotto ore d’insegnamento. La prima parte dell’art. 3° suona proprio così: « Nelle città dove sono due o più licei, i professori BO): — delle cattedre di filosofia, di fisica e chimica‘e di storia natu- rale addetti ad uno di essi saranno obbligati ad insegnare le < stesse materie in un altro ». Nè si creda che con tale disposi- zione i professori delle stesse materie nei licei delle piccole città dove non sono altri istituti vadano esenti da questo crudo trat- tamento, perchè vi è art. 8°, il quale dà il colpo di grazia a tutti. « Chi....mnon insegnando più di tre materie in un solo istituto, « ovvero una o due materie in più di un istituto, faccia meno « di diciotto ore settimanali di lezione, comprese quelle assegnate « agli esercizii pratici, e non abbia la cura di un gabinetto o « la revisione settimanale dei lavori degli scolari, potrà essere « obbligato a compire le diciotto ore d’ insegnamento nel me- «<« desimo o in altro istituto della stessa città ». Il più bersagliato senza dubbio è il professore di storia na- turale del Liceo , perchè l' art. 3°, dopo aver disposto che inse- gni anche nell’ annesso ginnasio, ad evitare una non troppo chiara interpretazione , aggiunge in un ultimo capoverso : « Il « professore di storia naturale del liceo cui è unito il ginnasio, « avrà anche obbligo d’ insegnare in un altro liceo o in un altro « ginnasio >». Ed ecco in tal modo perequato il lavoro, facendo almeno una volta salva la competenza e quindi la serietà dell’ insegna- mento. La qual cosa non è, quando sì tratta di ginnasii non uniti a liceo, prescrivendo lo stesso art. che « nel ginnasio non « unito al liceo l’ insegnamento della Storia Naturale sarà dato dal professore di matematica . ... » Giova notare che attualmente le cose stanno proprio così in questi ginnasii non uniti ai licei, perpetrandosi in essi, contro ogni principio di buona didattica e contro la dignità dell’ inse- gnante e la serietà della scuola, lo sconcio di costringere i pro- fessori di matematica ad insegnare cose che non conoscono. Ma questo sconcio, che ora si vorrebbe legalizzare, dura in verità da anni parecchi, da quando cioè il ministro Baccelli sti- mò di aggiungere agl’ insegnamenti del ginnasio quello ancor: della storia naturale, e, non potendo creare i professori pel nuo- vo insegnamento, con un criterio che dopo tanti anni vediamo nell’ attuale progetto raggiungere la sua più alta affermazione, affibiò la nuova diseiplina all’ unico scienziato del ginnasio , al professore di matematica. E fu così che in un mattino di otto- bre dell’anno di grazia 1882 i professori di matematica dei gin- nasil d’Italia si svegliarono fregiati di un nuovo titolo da ag- giungere alla loro modesta carta da visita ed oppressi da un — 281 mastodontico programma di botanica e zoologia, che andava dalla terza alla quinta ginnasiale, attraverso all’anatomia, la fisiologia e la sistematica delle piante e degli animali. Sembrava quasi uno scherzo. I più, dopo vane proteste , dovettero chinare la fronte al divino volere, pochi tennero fermo a non assumere l’insegna- mento di una materia che ignoravano e fu loro concesso di met- tere dei supplenti a proprie spese. Ampia dimostrazione questa della serafica bontà di quegl’ insegnanti. Vero è che contemporaneamente alla istituzione del nuovo insegnamento l Italia fu inondata da un libro scritto appunto parola per parola sulla falsariga di quei programmi, il quale per- mise di ridurre al minimo l’opera degl’improvvisati maestri, dan- do loro il modo di sbrigarsela coll’assegnare alla scolaresca, volta per volta, un certo numero di pagine del testo brevettato. Ma le idee si snodano l’ una dall’ altra, e l’anno appresso, mossi forse dall’insuccesso di quella prima pruova e dai clamori degl’ insegnanti, fu affidata al professore di storia naturale del liceo la croce dell’ insegnamento ginnasiale. Ed eccovi spiegato come nei soli ginnasii non uniti a liceo l’insegnamento della sto- ria naturale rimase una specialità dei professori di matematica. Non credano intanto i professori di fisica, quelli di chimica e quelli di storia naturale degl'Istituti Tecnici che la miseria dei loro colleghi del liceo non li tanga , perchè per essi, come per tutti, vi è sempre l’ art. 8°, ‘in forza del quale potranno essere obbligati ad insegnare fino al limite delle diciotto ore settimanali. Ma, lasciando da parte le sorti degl’insegnanti e guardando solo a quelle dell’ insegnamento , non si può tacere che stringe il cuore il vedere la Chimica e la Storia Naturale negl’ Istituti Tecnici aventi la sola sezione di Ragioneria giudicate alla stessa stregua della Calligrafia, quando l’art. 5° dispone appunto che in quest’ istituti la Chimica, la Calligrafia e la Storia Naturale si af- fideranno per incarico temporaneo (compensato, secondo l’art. 6°, con semplice remunerazione) preferibilmente ai professori delle stesse o di materie affini, della stessa o di altre scuole governa- tive. Di modo che, nella ipotesi più favorevole per la scuola, l’in- segnamento; della chimica e della storia naturale potrà essere affidato al professore di fisica dello stesso istituto, ed ecco così di un colpo soppresse due cattedre, Ai” - pere E prima di passare oltre a rilevare cosa che molto da vicino riguarda le scienze nostre, voglio ricordare, per mostrare sempre più quanto questo progetto di legge s’ inspiri al vero bene del- l insegnamento , che nello stesso art. 5°, la materia fondamen- tale per una scuola tecnica con indirizzo industriale, cioè la tecnologia industriale, e la materia fondamentale per una scuola tecnica ad indirizzo commerciale, qual’ è la computisteria , ven- gono non altrimenti affidate che per incarico temporaneo a pro- fessori della stessa o di materie affini della stessa o di altre scuole. * E * Innanzi a così strani criterii, non farà meraviglia il veder trattata la geografia in questo progetto peggio dei più modesti insegnamenti. È già una vergogna, o Signori, che la gioventù delle nostre scuole classiche specialmente sia del tutto digiuna di cognizioni geografiche. Nel liceo l’ insegnamento della geografia non esiste e nel ginnasio vi è solo di nome. Nè, se vien fatto male o tra- scurato del tutto, la colpa si può dare al professore della classe, che è condannato ad insegnare italiano , latino, greco , storia e geografia. La geografia, come vedete, è segnata in ultimo e siate certi che proprio in ultimo resta. Un bravo professore di ginnasio superiore diceva candida- mente al suo preside , il quale — esempio raro — un giorno gli raccomandava 1 insegnamento della geografia, che egli talvolta l’unica ora settimanale assegnata a questa materia era costretto ad adoperarla nello studio del greco. y Ed è così appunto che i migliori alunni del ginnasio passano al liceo e poi all’Università e poi nell’esercizio professionale, con un corredo di cognizioni geografiche che non va più in là dei soli nomi delle capitali d'Europa e, al massimo, dei fiumi prin- cipali d’ Italia. Quanto sarebbe stato più nobile, se i professori dei ginna- sii d’ Italia, invece d’invelenirsi contro gl’insegnanti di materie scientifiche, avessero chiesto ancora una volta, nell’ interesse vero della Scuola, che è poi V interesse della cultura nazionale, di essere alleggeriti dell’ insegnamento della storia e di quello spe- cialmente della geografia, da affidare ad un apposito professore! Ebbene, innanzi ad una condizione tanto deplorevole della generale cultura geografica, il progetto di legge che c’intrattiene suona un vero regresso. Esso segna l’ultima ora ad un insegna- lciagi mento, che, trascimandosi in mezzo a mille stenti, trova modo, se non di prosperare , di vivere almeno all’ ombra degl’ Istituti Tecnici. L'art. 4° dispone: « Negl’ Istituti Tecnici frequentati da non « più di 120 alunni... ... la storia e la geografia formeranno « una sola cattedra. Negli altri con maggior numero di alunni, «i due insegnamenti potranno essere affidati a due professori, « ciascuno dei quali dovrà, occorrendo, fare tante ore settimanali « di lezione, nelle classi così ordinarie come aggiunte, quante « sono prescritte per la storia e la geografia riunite in una cat- « tedra ». Donde si rileva che, avendo riserbata la possibilità di tener distinti i due insegnamenti ai soli istituti che hanno numerosa scolaresca, nella maggioranza dei casi storia e geografia saranno insegnate da un solo professore, il quale, com'è facile intendere, quasi sempre sarà un professore di storia. Purché il conto torni, purchè sia raggiunto il limite di ore imposte da un falso concetto di perequazione del lavoro, che i socialistoidi della scuola hanno spifferato in adunanze e congressi, il legislatore non si preoccupa se s’insegni storia o geografia, e come, e ‘da chi. Signori, molte cose sì seguitano a dire per semplice consue- tudine, vera inerzia del pensiero. Allorchè il concetto della mo- derna geografia era ancora avvolto nelle nebbie del lontano av- venire, la storia, una nobile matrona, che era detta maestra della vita,—sì mostrava vaga nel classico aspetto per due fulgidi occhi: la cronologia e la geografia; espressione figurata dei rapporti, che gli avvenimenti dell’ umanità hanno col tempo e con lo spazio. Ma non sono al certo questi semplici rapporti di spazio tutta la geografia; ma la geografia non è la storia del come le razze ed i popoli si hanno ripartito nel corso dei secoli il possesso della terra. Allorquando la Geografia si racchiudeva ad un dipresso in questi brevi confini, intendevasi come il professore di storia in- segnasse anche geografia; ma oggi questo connubio è un assurdo. Oggi, che la geografia è diventata un ramo, e dei più poderosi, sul tronco esuberante delle scienze naturali; oggi, che la geogra- fia, msieme con le altre scienze fisiche e con le lingue vive, costituisce la vera forza fattiva del cervello moderno ed agguer- risce nella fatale lotta di espansione , che debbono combattere per esistere le nazioni .e le razze, s' impone, agli uomini ed ai consessi che hanno il mandato di regolare la cultura nazionale, Sage — l'obbligo di assicurare in tutte le scuole 1° insegnamento vero ed efficace della geografia nella sua pienezza di scienza fonda- mentale. Siamo sicuri che l imminente Congresso geografico na- zionale vorrà formulare un voto in questi sensi, voce autorevo- lissima in mezzo a quelle che si potranno levare, auguriamocelo, da quei sodalizi che s’interessano veramente alle sorti del Paese. Nutriamo speranza altresì che le Facoltà di scienze dei no- stri Atenei mostrino il bisogno, pel decoro della cultura scienti- fica nazionale, d’ istituire una laurea in geografia 1). * * * Questo, o Signori che pazientemente mi avete ascoltato , il nostro credo, queste le nostre aspirazioni. Facciano i corpi accademici, nei quali si racchiudono tanti tesori di scienza e di esperienza, sentire pure una volta la loro voce in queste palpitanti questioni della Scuola. Non si può alla leggiera ripudiare il valore educativo dell’ insegnamento scienti- fico nella scuola secondaria. Se la cultura generale deve rispon- dere ai tempi, essa non può disinteressarsi del pensiero scienti- fico moderno. Anzi è necessario che l'insegnamento delle scienze nelle nostre scuole medie sia svecchiato e reso più consono al vero fine educativo moderno. I diritti della scienza sono sacri, i bisogni della cultura sono imprescindibili; nella lotta degl’individui, come in quella dei po- poli , il sapere assicura la vittoria. Troppo di frequente, per manomettere la Scuola, si prende ad insegna la povertà del bilancio dello Stato. Stiano sull’avviso gli onorevoli rappresentanti della nazione, perchè non sia loro strappato un voto alla lesta, in una fredda e svogliata discus- sioncella di seduta antimeridiana. Si ricordino essi che agl’inte- ressi della scuola spettano gli onori delle grandi discussioni, nella pienezza della luce meridiana, perchè nella scuola si prepara la cultura, la coscienza, la forza della patria nostra. M. GEREMICCA. 1) Questi concétti sull’ insegnamento della geografia ebbi il piacere di esporre in apposita relazione, a nome della Società dei Naturalisti, nel V Con- gresso Geografico Italiano, tenutosi nella nostra città ; ed al riguardo, su proposta mia e di altri congressisti, furono emessi voti per fare: 1° che non si attui la progettata riunione della cattedra di geografia a quella di storia In seguito alla lettura della precedente relazione, fu presen- tato dal Consiglio Direttivo ed approvato all’ unanimità il se- guente : ORDINE DEL GIORNO « La società di Naturalisti in Napoli, convocata oggi 13 marzo «< 1904 in assemblea straordinaria, con lintervento e l'adesione < di numerosi professori. di scienze e di uomini politici; udita la « relazione critica fatta dal Presidente, prof. M. Geremicca, sul « progetto di legge d'iniziativa parlamentare per la riunione di « cattedre nelle scuole medie; compresa del danno che verrebbe « per questa legge alla cultura scientifica secondaria e allo stato « degl’insegnanti; delibera di dare pubblicità alla detta relazione « e di esplicare tutta l'energia, perchè la proposta legge non sia «< approvata dal Parlamento ». Appena tolta la seduta, quest'ordine del giorno fu comuni- cato per telegramma al Presidente del Consiglio e al Presidente della Camera. Al qual telegramma si benignò di rispondere sol- lecitamente S. E. Orlando, ministro della P. I., promettendo di ‘prendere in benevola considerazione il voto emesso dalla nostra Società di Naturalisti. negl’ istituti tecnici; 2° che in tutti gli ordini di scuole sia istituito l’inse- gnamento della geografia ed affidato ad apposito professore; 53° che venga ordinato nelle Università ed Istituti Superiori un corso di studii geografici pel conseguimento di una laurea in Geografia. PONFOTE CB) Rippa G. — Sulla Olmediella Cesatiana. Nota (con 8 figure) Rippa G. — Su di alcune Flacurziacee nettarifere. Nota (con 6 figure). De BLasio A. — Tombe preistoriche di Colle Sannita (Benevento). Nota (con 3 figure) : MarceLLo L. — Breve illustrazione delle Solanacee ializze MonticeLLI FR. SAv. — Osservazioni intorno ad alcune specie di _ Heterocotylea. Nota (con 5 figure) . ; Y Dr PaoLa G.— Le perturbazioni magnetiche durante la fase erut- tiva vesuviana del 1903. Nota . 5 x MoxriceLLi FR. Sav. — Giuseppe Jatta. Commemorazione 5 Leuzzi F. — Una singolare articolazione tiro-ioidea. Descrizione e ricerche fetali e morfologiche (con 6 figure) . MorcERA A. — La relazione tra il testicolo ed il deferente di al- cuni rettili (con la tav. I.) ; - PoLice G. — Sui centri nervosi dei cheliceri e del rostro zelo COR pione. Nota È Bruno A. — Sulle difese foliari cani Dadi Bur teri. Nota (con 2 figure) : > PeLLEGRINO M. — Sopra una particolare gio delle Si midollare nella capsula surrenale. Nota . ; Piccori R. — Apparecchio per determinare volumetricamente il peso specifico. Nota (con 2 figure) ; 5 3 BeLuiNi R. — L’ influenza dei mezzi come causa di variazioni e di dispersione nei mol'uschi. Osservazioni i Rippa G.— Su di alcuni nuovi casi di teratologia vegetale. Notai Disraso A. — Sul sistema nervoso di Dentalium entalis (con 3 fi- pure) 5 E ANMBALE E. — Il clima di Napoli nell anno meteoralosi ico ) 1902- 908. Nota ì Bruno A. — Sulle LIERdOlS cutanee Sora Boni esc Lulenta Prsno contributo (con la tav. Il). PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE Consiglio direttivo Elenco dei socii : î È ; : Elenco delle pubblicazioni pervenute în cambio Pubblicazioni pervenute in dono Alligato L'INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE SECONDO IL PROGETTO DI LEGGE MoranpI-BAccELLI- RUBINI SU LA RIUNIONE DI CATTEDRE NELLE SCUOLE SECONDARIE . Gli Autori assumono l'intera responsabilità del loro soritti » » » » » » » » 271 ss; id «i Ai di ata = e, s e uo @ ® I : % n € . vu - de Vi | LI DI _ Di (O) IV n @ da . mn P g né CI ll de i i d Li Da A ci a N . Ù . L | ® De, 8 S è COR È SR Ra S| ì PRA SS “a pig ( De va eVe)a ; foglio(8 pagine). «..\\\ ;» 2 25 > 3.50) »&—- (rob B0007 3/, foglio (12 pagine) | y-. 3.50 » 5 — |». 6.75 >. 9 1 foglio (16 pagine) —. > 4 — (55 — |» 8—-.| >» 10—- N.B.- Nei sopra segnati prezzi va inclusa la legatùra e la covertina senza stampa. Prezzo del presente volume L. 12,00. (pr x boo E) RAD | Ss viag LEM E CUOR CIR e gee o ee E I — DI DI k >» TRI Ra “o » _< r, i Tage i se pmi PIT e ODI II pa V, 2a; a v MS o Re 2 SL DIL si: DEDI o VIDI D | vyWy Vw iv IvuL ay VOI LAIVA > ei i» SS Ra, to 23 53 9, ia, AA - "f